Gli atti dell’incontro con lo scrittore Nicola Lagioia.
Gli atti dell’incontro con Nicola Lagioia, durante la presentazione della sua ultima fatica letteraria: La ferocia_Einaudi editore_ottobre 2014.
Angela Pellegrino_Benvenuti a tutti, questa sera l’associazione Energheia per celebrare i suoi venti anni presenta lo scrittore Nicola Lagioia, poliedrico autore di Bari, con la sua ultima fatica letteraria: La ferocia_Einaudi editore. Il suo romanzo si apre con una scena in cui una ragazza – semi-nuda e insanguinata -, cammina sulla statale Bari Taranto, nei pressi di Bari e viene ritrovata qualche ora dopo, morta. Da qui si scopre che è la terzogenita di una ricca famiglia di costruttori baresi. Un racconto noir, con un ritmo serrato e con una galleria di personaggi che vengono ben descritti, durante la narrazione. Una vera e propria saga familiare ambientata nel Sud Italia. L’autore mette in scena l’odierna crisi che stiamo vivendo sotto diversi punti di vista. Vorrei iniziare chiedendogli subito il perché del titolo la ferocia. Forse raccoglie in sé il sinonimo di un mondo in cui tutto è violento, spietato?
Nicola Lagioia_Grazie per essere qui a tutti voi. Questo romanzo è la storia del crollo di una ricca e potente famiglia del Sud, una famiglia di costruttori baresi; una famiglia che intrattiene rapporti non leciti con il potere in senso lato, politico ed economico. Sappiamo come il denaro e la corruzione vadano di pari passo. Fin qui una storia sul genere dei Buddenbroch di Thomas Mann, un caposaldo della letteratura dei primi del Novecento e che narra anche lì una famiglia potente. Un espediente come un altro per poter raccontare l’intera società, i poteri e le piccole disgrazie che sopraggiungono in questo connubio con il potere, i mass media e che possono capitare in qualunque cittadina italiana. Prendiamo ad esempio le campagne che si costruiscono per la gestione di appalti, specie nel settore della sanità, agli accordi tra la criminalità organizzata e gli agganci con i ruoli chiave del potere. Un modo per rappresentare l’intera Italia, prendendo come spunto la città di Bari. In questa famiglia, nella mia descrizione, accade che chi é al proprio interno o si adegua a determinate regole o soccombe. Pensiamo un attimo ad una famiglia alto borghese, gelida e anaffettiva, con un determinato applomb agli occhi della società. Il percorso dei diversi eredi è alquanto emblematico. C’è chi manifesta una sensibilità diversa, tanto da portarlo al suicidio. Ovvero, il più sensibile diventa matto. Altra possibilità che si ha è quella di andare al di sopra delle proprie righe e ci si imbatte nella droga. O ancora ci si adegua a quella che è la linea della famiglia. Tre diverse tipologie di reazione al potere. Nella famiglia del mio romanzo ci sono anche due pecore nere, due figure sbagliate. Una è Clara, la protagonista che come accennava Angela viene ritrovata morta all’inizio della storia, sul ciglio di una strada, lunga la statale tra Taranto e Bari e che a prima vista sembrerebbe un sucidio. L’altra figura, protagonista del romanzo è Michele, il suo fratellastro, nato da una relazione extra coniugale del padre Vittorio Salvemini, il capostipite della famiglia barese. Tra i due si stringe una tacita alleanza, quasi per far fronte comune a questa famiglia devastante. Un rapporto quasi morboso tra i due nella loro fase adolescenziale. Lui si allontana dalla famiglia per non farsi risucchiare in questo vortice di potere ed è costretto a tornare sui suoi passi nel momento in cui viene a conoscenza della morte della sorella. Da qui indagherà su questa vicenda, in maniera molto naif, andando a dipanare una matassa intricata di situazioni e personaggi. Tutta questa premessa per arrivare al motivo del perché di questo titolo, la ferocia. Erano quasi cinque anni che non pubblicavo un libro e molte cose intorno a me sono cambiate. L’ultima volta ero qui a presentare un libro e con una situazione nazionale abbastanza preoccupante, ci ricordiamo che c’era un Ministro dell’Economia che affermava come la crisi non sarebbe mai arrivata in Italia. Lo stesso che diceva come con la cultura non si mangiasse. Oggi, a distanza di quella data, la situazione, se vogliamo è peggiorata, il clima si è fatto più violento, la gente si è incarognita. Che cosa è allora la ferocia? La famiglia Salvemini è considerata una famiglia di pescecani, figuriamoci in tempi di crisi, non guardano in faccia a nessuno, diventano più spietati. È una sorta di ritorno dello stato di natura, laddove ai nostri occhi pensiamo di esserci emancipati, ovvero quando saltano i vincoli della convivenza pacifica. Nel momento in cui pensiamo di esserci liberati della legge della giungla, dove di solito prevale il più forte, in un tempo di crisi, nei momenti di fragilità, si ritorna ad uno stadio quasi animalesco, mors tua, vita mea. Si ripombia in questo stadio nonostante la presunta civiltà che ci siamo costruiti intorno. Faccio un esempio. Immaginiamo un piatto di pasta per ciascuno di noi, e poi, man mano questi piatti diminuiscono fino a ridursi ad un unico piatto per tutti. Quand’è che scatta la violenza per la conquista di quell’unico piatto tra di noi? In quel momento prevale la ferocia. È un romanzo in cui ci sono anche molti animali. Molti attribuiscono la ferocia ad un animale, non certo all’uomo. Sappiamo come il XXI secolo sia iniziato in maniera diversa da come lo si era immaginato pensiamo alle bombe atomiche, o ai campi di concentramento. Gli animali non fanno tutto questo. Noi, invece, ne siamo capaci, a differenza degli animali e ciò accade ai due protagonisti Clara e Michele, ad autosabotarci, a toglierci quell’istinto di sopraffazione che altrimenti ci porterebbe continuamente a sbranarci l’un l’altro. Lo facciamo occasionalmente, non so se toccati dalla grazia o cosa. Allo stesso modo, i due protagonisti riescono a compiere questo miracolo del volersi bene, in un mare di male che quasi li annega. Una forma di amore molto rozza, se si vuole, un mondo migliore di questo, in cui non fosse più possibile, da parte nostra, sradicare l’istinto di prevaricazione, darebbe meno speranze rispetto ad un mondo anche peggiore di questo in cui sarebbe possibile autosabotarci.
Angela Pellegrino_Quello che viene fuori dal romanzo è l’opposto della ferocia, un amore che può esserci tra due fratelli, anche in forma morbosa, ma che cerca di far uscire qualcosa di positivo da uno scenario completamente negativo.
Nicola Lagioia_Questo, forse è il romanzo più notturno, più cupo che abbia scritto. Però c’è un aspetto in cui mi apro alla speranza, pur nel pessimismo più alto. Quando scrivevo sembrava sempre notte, anche quando descrivevo la città di giorno. Però il libro inizia con un’epigrafe di uno studioso della fisica quantistica: la previsione è certa soprattutto se riguarda il futuro, perché è vero che c’è questa famiglia di palazzinari che attacca tutto e non si fa problemi di nulla. Ricordo l’acquisto della mia famiglia di una villetta a Castellaneta Marina, in un complesso residenziale, costruito all’interno di una macchia mediterranea che negli anni precedenti aveva subito un esteso incendio, tale da distruggerne diversi ettari. Dopo questa devastazione ambientale si erano formati ampi spazi che consentirono una speculazione edilizia, come per l’appunto questo complesso di case. Mia madre chiese al geometra che curava la vendita di queste villette, come fosse avvenuto l’incendio e questi, in maniera molto ermetico le rispose, ah, autocombustione. Ecco, questa è un’esaltazione del libero arbitrio. Quello del mondo animale è di tipo circolare, ovvero non ci sono scelte. In quello umano, nel mondo della ferocia è ancora possibile scegliere. Nel film Arancia meccanica, il cattivo di turno viene sottoposto ad una cura denominata Ludwig che lo redime. Ecco in un mondo di ferocia dell’uomo c’è ancora la possibilità di scegliere. C’è la speranza. È anche un romanzo d’amore, un romanzo sentimentale, quasi incestuoso tra i due fratelli. In altri termini l’indagine è il pretesto per innescare un effetto domino sulla famiglia, con Michele che ha il fantasma della sorella come spirito guida nelle sue ricerche. Qui, parto da un concetto che più volte ho espresso. A mio avviso, le persone che noi abbiamo realmente amato, o con cui abbiamo avuto un rapporto estremo, di odio o di amore, indipendentemente dalla loro volontà e nostro malgrado, depositano in noi la loro forma. Noi portiamo dentro di noi delle forme di vita autonoma di persone con cui abbiamo avuto delle relazioni. E la forma di queste persone, amate, così intime, ci interroga di continuo, ci perseguita, litiga con noi e noi con essa. È anche un romanzo di possessione. Così come accade in Cime tempestose, dove i due protagonisti lottano tra loro, in questo caso, Michele lotta con il fantasma di una ragazza morta, la sorella. In questa situazione cupa e tenebrosa c’è la speranza, incarnata da Michele.
Angela Pellegrino_ Un aspetto che vorrei sottolineare è l’eccessiva libertà dei figli, che vivendo in una famiglia molto ricca e benestante non hanno regole, ma nel contempo vanno contro le regole della famiglia. È interessante a questo proposito il profilo della ragazza che va alla continua ricerca di qualcosa. Qual è il rapporto tra la libertà e le regole all’interno di una famiglia così delineata, con tanti buchi neri e che sembra immutabile.
Nicola Lagioia_La famiglia da me descritta solo in apparenza è perfetta. In questi anni vi è stato un crollo dell’autoritarismo, ma anche un crollo dell’autorità con i ragazzi che sono stati completamente abbandonati a se stessi. Accanto a questa mancanza, è sorta una iperaffettività, un controllo eccessivo che però nasce più da un bisogno dei genitori, che non da parte dei ragazzi. Questo argomento riguarda la famiglia Salvemini, ma anche altre famiglie comuni, in cui gli adulti rimettono il mandato e non si occupano dell’educazione dei loro figli, demandandolo alla società o alla scuola. Io ho cercato di descrivere Clara in una certa maniera – ma la mia non è una interpretazione autentica -, si sa che ogni lettore si costruisce il proprio personaggio, dandogli una propria vita. Nel momento in cui scrivi qualcosa quella cosa non appartiene più a te autore, ma diviene parte del lettore. Più il personaggio è riuscito e più sfugge all’autore. E quindi i personaggi godono, quasi, di vita autonoma. Quel che voglio sottolineare del personaggio di Clara è che in un romanzo di fine Ottocento o del Novecento, sarebbe stata una ragazza perduta. Clara fa la ribelle, ma una ribelle particolare; fa un gioco paradossale e molto pericoloso. La sua provocazione consiste nell’avanzare verso il prossimo a guardia bassa, prestando continuamente il fianco, lasciando libero l’altro, chiunque esso sia, di farle del male. Infatti, gli altri ne approfittano di Clara. Qualcuno direbbe, allora Clara è una masochista. Ma, in effetti, non lo è. Perché andando a guardia bassa, lascia libero l’altro di poter fare non solo il male, ma anche il bene. Se si sta sulla difensiva, ci si preclude la via del male, ci si difende bene. Se invece si dimostra di essere vulnerabile, si lascia l’altro libero di fare qualunque cosa, non solo del male, ma paradossalmente, anche del bene. Il libero arbitrio, in questo caso, ritorna. E in funzione di questo suo modo di vivere, Clara paga questa sua condizione, venendo uccisa. L’atto di ribellione di Clara è che io ti do anche la possibilità di fare del bene.
Angela Pellegrino_Nel romanzo ci sono molti animali, alberi, piante, che vengono molto ben descritti. La loro presenza è per farci ricordare che non siamo soli al mondo e che c’è qualcosa di altro da noi?
Nicola Lagioia_È vero, non siamo soli al mondo. Il libro si apre con le falene e alcuni insetti che quasi contrastano con la ferocia. Pensiamo agli scarafaggi che sopravviverebbero ad un conflitto nucleare, un qualcosa che va al di là della nostra stessa vita. Non siamo gli ultimi arrivati. Tutti sanno che se si ipotizzasse l’età della terra, anziché quattro miliardi di anni, nell’arco di un solo anno, l’uomo sarebbe comparso alle 18.00 del 31 dicembre. Questo ci dice che siamo gli ultimi ad essere arrivati sul pianeta, però noi classifichiamo ogni cosa secondo i nostri modi di sentire e così capita che non siamo, spesso, in sintonia con la natura. Non sappiamo come gli insetti, o altri animali sentano o meglio percepiscano il mondo, diversamente da noi. Pensiamo ad un insetto, ad una formica, ad una farfalla come una scatola misteriosa. Ecco perché un romanzo non può solo fermarsi al mondo realistico, ma debba andare anche al di là. Qualcuno ha definito il mio romanzo metafisico. Non so se lo sia, ma il mondo è anche intuizione, noi percepiamo una parte limitata del mondo, i nostri sensi sono limitati. Un romanzo che senta la presenza di qualcosa di oscuro, non percepibile con le nostre sole forze, la materia oscura, campi gravitazionali fortissimi in cui dovrebbe esserci materia, ma che sfugge attualmente alla nostra visione. Nel romanzo può anche esserci questo, può provare a inglobare di tutto, perfino quello che l’autore capisce fino ad un certo punto, perfino un elemento misterioso. In questo c’è la differenza di questo romanzo rispetto al mio romanzo precedente Riportando tutto a casa. Pensiamo a Simenon che partiva prendendo ad esempio un elenco telefonico, vedeva i nomi delle persone, i loro cognomi, le vie, ci costruiva un canovaccio e il romanzo era pronto. No, io in questo romanzo parto dai difetti delle persone, il romanzo deve essere una esperienza conoscitiva, ho bisogno di sentire il fallimento del personaggio sul collo, tale da darmi da un lato una spinta e dall’altro debbo scoprire delle cose mentre scrivo. Il mio primo romanzo era nato da un’idea di raccontare un periodo di grandi trasformazioni, gli anni Ottanta a Bari. Qui, invece, ho iniziato da questa immagine primaria, da Clara, da questa ragazza che cammina sanguinante sul ciglio della strada, non come immagine splatter, ma da un’icona tipica della letteratura gotica. Avevo questa immagine di Clara, calda e informe ed ho impiegato mesi per capirlo e pian piano ci ho costruito il romanzo, costruendole intorno un mondo, per l’appunto, spietato. Quindi ho iniziato da una cosa che non mi è stata immediatamente chiara, ma questa stessa non chiarezza, questa figura informe, rappresentava questa mia urgenza di scrivere qualcosa, talmente forte che ho impiegato tempo per metterla a fuoco, tanto da lasciarla a raffeddare in senso figurato per vederne la sua effettiva forma.
Angela Pellegrino_Il romanzo si presta, a tuo avviso per la sceneggiatura, per la trasposizione in un film, per il ritmo e l’intensità?
Nicola Lagioia_Questo bisogna chiederlo ai produttori, non ho mai scritto per il cinema. Dal punto di vista artistico, i migliori film, tratti dai romanzi, sono quelli che lo tradiscono. Pensiamo ai film di Kubrik che non sono aderenti ai libri, ai romanzi da cui sono stati tratti. Sarebbe meglio in mano ad un bravo regista che sia in grado di trasformarlo, piuttosto che ad un bravo regista ossequioso nei confronti del testo e tale da non aggiungere nulla. Non darebbe alcun valore all’opera.
Angela Pellegrino_Curi Pagina Tre su Radio Tre e una Collana italiana Nichel della Minimum Fax. Qual è la situazione dei giovani scrittori italiani e quali posssono essere le aspettative?
Nicola Lagioia_A mio avviso non esistono giovani scrittori, ma scrittori giovani, indipendentemente dalla loro età anagrafica. Un esempio è Gesualdo Bufalino che Sellerio ha lanciato quando aveva superato i cinquant’anni. Quando si parla di giovani scrittori è solo un trucco che si fa per evitare l’età. Credo che sia un lascito di Pier Vittorio Tondelli che valorizzava le antologie degli scrittori under 25. In questa maniera la giovinezza non è solo un dato anagrafico, ma diviene anche un elemento estetico. In letteratura, invece, la gioventù non è un valore. Nella storia della letteratura accanto a Thomas Mann che scrisse un romanzo maturo a venticinque anni, ci sono stati degli scrittori anziani che ormai sessantenni, ricordando la loro giovinezza, hanno scritto un romanzo. Quanto alle piccole case editrici, la giovinezza che li caratterizza non è solo un modello estetico, è, il più delle volte un obbligo, in quanto, per esigenze di bilancio debbono pubblicare autori al loro primo o secondo libro, giovani e sconosciuti. Per quanto riguarda i giovani autori credo che ce ne siano diversi interessanti per la letteratura, tra questi ne cito alcuni: Francesco Maino, Giorgio Vasta, Michele Mari, Giorgio Falco. Invece non sono ottimista per quanto riguarda il mondo dell’editoria, pensiamo ai quotidiani. Credo che poiché la letteratura sia nata nelle caverne, con l’uomo preistorico, finirà quando finirà l’uomo.
Angela Pellegrino_ Hai raccontato un tipo di Sud, la tua regione, armonico e notturno, dando un’altra visione, non solo orizzontale, ma anche verticale. Mi riferisco alla comune accezione della Puglia con la Pizzica, il Salento, il mare.
Nicola Lagioia_Credo che il motivo di ciò sia nel fatto che sono andato via da questa terra quando ero giovane. In questa maniera si è creato un vero e proprio strappo, aprendo una ferita con il mio passato. Di solito gli scrittori scrivono il loro primo libro parlando della loro terra, poi cominciano ad acquisire gli strumenti del loro mestiere e fanno altro. Io no, ci sono arrivato dopo, ho fatto il contrario. Ho dovuto rimuginare e rimescolare le cose. Ancora oggi, raccontare la mia terra, la Puglia, Bari rappresenta una ferita aperta e come tale non devi farla sanguinare troppo, altrimenti rischi il dissanguamento, e muori. Nello stesso tempo non devi chiuderla, o rimuginare tutto, altrimenti ti imponi una distacco dalle cose che non ti serve. Nel mio romanzo m’interessava descrivere una terra e Bari e questa era un luogo concreto, un mondo degli affari e degli imprenditori. A questo proposito, sul tema degli affari a tutti i costi, vi racconto la vicenda di un mio parente, imprenditore e venditore di tessuti, che alcuni anni fa venne ricoverato urgentemente in ospedale per un ictus. Così mi precipitai al suo letto da Roma, e durante il primo colloquio, lui, appena strappato dalla morte, mi fece: “Ma tu non conosci Nicki Vendola?” Io, esterrefatto, gli rispondo lindamente “No”. E lui, di rimando: “Ma come… ha presentato una sera un tuo libro a Bari”. “Ah, è vero” gli risposi, “Ma perché questa domanda?”. Mi disse: “Pensa, la suora mi ha detto che qui cambiano le lenzuola due volte al giorno e ci sono ben 600 posti letto. Magari se parli con Nicki si potrebbe avere un appalto delle lenzuola”. Ecco, questi contrasti, nella mia terra sopravvivono ancora oggi, sono stimolanti, ma non sono la cartolina della movida, ormai stereotipata. Credo che sia un continente che non si finisce mai di esplorare, ed in realtà sia importante riuscire a sintonizzarsi sulla storia e sull’atmosfera della regione. Quando si nasce in un posto, invece di un altro si è inevitabilmente influenzati. A me piacciono molto quei romanzi in cui sembra che la storia sia raccontata dai morti, come Faulkner, perché noi siamo gli ultimi arrivati.
Angela Pellegrino_A che età hai iniziato a scrivere e come è iniziata questa tua passione?
Nicola Lagioia_Io era un patito di fumetti. Un grande lettore di fumetti. A casa dei miei nonni, che erano coltivatori diretti, c’erano libri in casa; invece a casa dei miei, no. E questo nonostante fosse una generazione già alfabetizzata. Non entrava nemmeno il quotidiano. Dai miei nonni c’era la divina commedia illustrata da Dorè. Immaginate un bambino che vede questi libri con le immagini, parte subito la fantasia. Vi erano anche i racconti di Oscar Wilde e spesso chiedevo a mia madre di leggermi qualcuno di questi, chiedendole espressamente di leggere le note in fondo. In pratica mi facevo leggere i libri. Poi c’è stata la fase in cui ero un patito delle edicole. Sognavo di avere un parente con un’edicola, così da poter leggere continuamente tutto quello che si pubblicava. In quel periodo disegnavo fumetti, ma non di elevato livello. Facevo anche i colofon dei libri. Mi ricordo il titolo di uno di questi: La storia dei gatti. Poi ho avuto la fortuna di frequentare il circolo Arci di Bari, Dedalus, dove, con i miei amici che facevano politica, avevamo creato un cenacolo di poeti, senza mai aver fatto la tessera al circolo. In questo luogo leggevano i nostri scritti e ci criticavamo aspramente. Leggevamo riviste, Kakfa, Majakosky e ci confrontavamo cercando di capire come scrivessero i diversi autori. Era una vera palestra del confronto e della conoscenza.
Angela Pellegrino_Quali sono oggi i tuoi progetti?
Nicola Lagioia_Adesso curo la rassegna stampa delle pagine culturali su Radio 3, ma ho un contratto mensile, non annuale, o di tre quattro mesi. Faccio parte del gruppo che seleziona i film alla Biennale di Venezia, ma anche qui è a tempo. La casa editrice Minimum fax, di cui curo la collana Nichel è piccolissima. Non saprei. È così tutto precario. Mi adopero nel fare tante cose, così se perdo qualcosa mi rimane altro. I piani quinquennali non son realizzabili. Collaboro con un blog Minima et Moralia, che pur essendo tra i primi tre blog più letti, non è sostenibile economicamente, non dà entrate. L’importante è mantenere qualcosa.
Angela Pellegrino_Desideri aggiungere qualcosa sul tuo romanzo? A me è piaciuta una frase riguardo agli uomini d’affari che compare nel tuo libro: “… gli uomini d’affari devono mantenere alta la soglia della consapevolezza perché se lasciassero apparire i loro pensieri nella loro contradditorietà, non potrebbero seguire quel che nel mondo reale fanno”. Un modo di descrivere il mondo reale di oggi, in modo sincero e senza veli.
Nicola Lagioia_ Anche il mondo di ieri era come quello di oggi. Gli uomini d’affari ci sono sempre stati e si sono sempre comportati così. Ad esempio, nell’ambito del progetto Fiat ha vinto la parte peggiore di quel modello. Perché se negli anni ’60 e ’70 il capo guadagnava 60/70 volte rispetto al suo operaio, oggi guadagna 700 volte di più. Pensiamo a quanto è accaduto con la rivoluzione informatica nel mondo dell’editoria. Prima s’inviano i testi a mano e occorreva copiare. Oggi basta fare un clic e tutto viene inviato via e.mail. Il modello informatico ha creato un modello ambiguo. Tempo fa, ricordo che in un corso per editori, una docente, capo redattrice di un’importante casa editrice ci insegnava che era in atto una rivoluzione informatica e che nel futuro, come poi è accaduto, avremmo impaginato il giornale o il libro al computer. Immaginate che tutto questo fa guadagnare un terzo del tempo agli operatori. Una studentessa alzò la mano e disse. “Guadagnate un terzo di più?”. La risposta fu scontata: “No!”. La replica fu: “Ma come? Lavorate un terzo di meno e producete un terzo di più. Allora il denaro è andato da un’altra parte”. Ecco, credo che questo possa essere posto ad esempio di come funzioni l’economia. Il mondo è andato in maniera diversa da quello che ci si augurava e come sempre lo squilibrio che ne deriva porta alla barbarie.
Angela Pellegrino_Grazie a tutti voi e grazie ancora a Nicola Lagioia.