Gli occhiali di Pasolini
_di Michele Salomone.
Non iscoprire se libertà
t’ cara che ‘l volto mio è
è charciere d’amore
Leonardo da Vinci
Conosco perfettamente il gruppo di case verso le quali Pasolini volgeva lo sguardo nella primavera del 1964. Per meglio dire, cui restituiva lo sguardo: quelle pietre, infatti, lo stavano a loro volta guardando (“noi siamo esseri guardati dalle cose, nello spettacolo del mondo” veniva dicendo Lacan in quelle stesse ore del ’64, nel corso di un suo Seminario). Le cose guardano fisso, anche quando sono morbide come quelle case incerte, umide e segrete dei Sassi di Matera e Pasolini per sostenere quello sguardo spudorato, per restituirlo senza smarrirsi, si era tolto gli occhiali. Li teneva mollemente nella mano destra, che – semicontratta a pugno – gli sosteneva contemporaneamente il capo, mentre il gomito poggiava sul muretto.
Raramente tra i suoi occhi e il mondo mancava quel diaframma, Pasolini era miope ma usava lenti oscurate anche e soprattutto per schermirsi e tendere, a un tempo, innocenti agguati visivi. Senza occhiali, egli era nudo. Ma lo sguardo dei Sassi che lo interrogavano era insostenibile; come replicare se non ricorrendo al duplice effetto prodotto dal denudamento del suo?
Effetto di esposizione definitiva (senza lenti oscuranti), effetto di sfuocamento, con la restituzione del visus al suo deficit originario. Quel doppio “movimento” accompagna la visione alla profezia. Il profeta assoluto, come Tiresia, cieco, perchè deve essere libero e, come osservava Leonardo, l’atto iconico delle cose conduce invece la libertà dell’osservatore nel carcere dell’amore. Per attingere a quella libertà profetica, Pasolini si priva degli occhiali, sceglie di pagare il prezzo dell’amore in pegno di una provvisoria libertà
Inforcare o meno gli occhiali condizione che non rettifica tanto la dimensione dello spazio osservato ma ne muta quella temporale. Senza occhiali, dunque senza amore, Pasolini si fa profeta e “vede” con ogni probabilità quello scorcio, come io lo vedo oggi: levigato, ammirato, insonne,… Lo “vede” e non lo ama: quelle antenne, quel verde estraneo al cuore refrattario del tufo….; ne teme la deriva de-sacralizzata, destino di ogni arcaismo sottratto alla custodia dei suoi provvidenziali anacronismi, l’inquietudine mondana introdotta dalla moltitudine degli sguardi turistici che affluiranno a osservarne la dimensione a-temporale, per ci stesso “forzando” quelle pietre alla temporalità cui si erano ostinatamente negate. Non tenne a lungo quel suo sguardo veggente e menomato dalla libertà, Pasolini; tornò presto al suo tempo, al suo presente, ai suoi inseparabili, amorevoli, occhiali neri.
Solo il Profeta di fianco, che molti chiamano Messia, non ebbe bisogno di lenti per spaziare nel tempo e guardare con sufficienza il presente di Pasolini, il mio e – con ogni evidenza – oltre ancora.