L'angolo dello scrittore

Dove arriva la giraffa

_di Riccardo Barlaam_

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L’Economist – il settimanale della city londinese e dei mercati finanziari, il giornale senza firme per linea editoriale, dove tutto ciò che è scritto è misurato, garantito, vagliato dalla serietà dei suoi redattori e della sua linea editoriale – nel numero in cui ha dato la copertina alle peculiarità della situazione italiana dopo il voto (con foto di Grillo e Berlusconi e un titolo che lascia poco spazio ai dubbi Send in the clowns, ovvero “Arrivano i clown”) ha dedicato la contro-copertina all’Africa.

Nella foto c’è una giraffa con un collo lunghissimo e il titolo che racconta uno special report di 14 pagine sul continente a più rapida crescita nel mondo. Definito, in tempi di crisi e vacche madre generalizzate, il continente della speranza.

Che cosa hanno fatto per raccontare l’Africa quelli dell’Economist. Hanno inviato un loro giornalista a vistarla, in lungo e in largo. Il viaggio, partito dal Senegal, ha attraversato tutto il continente, passando per una trentina di paesi, da nord a sud fino a concludersi, dopo 112 giorni e 25.400 chilometri di strada, davanti al mare di Città del Capo. È un reportage un po’ particolare perché non racconta i colori e le suggestioni dell’Africa, della sua natura e della sua gente ma cerca, attraverso un filo lungo tutto il viaggio, di fotografare nei diversi paesi visitati, la situazione economica.

economia2Le notizie, secondo la lettura del settimanale dei mercati finanziari, sono positive. Ci sono più vincitori che perdenti, a sorpresa si potrebbe dire (ma neanche tanto per chi segue quello che raccontiamo ogni mese su questa rubrica) in questa storia in cui si parla di Africa. Come sempre quando si parla di economia, i numeri aiutano a capire più degli aggettivi.

Il reportage parte dall’immagine di due amici, in un bar sulla spiaggia della penisola di Capo Verde, in Senegal, che mentre bevono un cappuccino guardano con l’Ipad le storie di chi sta peggio di loro. Leggono da internet le notizie di uno dei paesi più poveri del vecchio continente.

Lo sviluppo umano in Africa sta facendo passi da gigante. Tra il 2000 e il 2008 la percentuale di ragazzi che frequentano le scuole secondarie è cresciuta del 48% nei paesi dell’Africa subsahariana. Molti stati hanno allargato i loro programmi educativi e diminuito le tasse di iscrizione. L’aspettativa di vita in tutto il continente, nonostante la piaga dell’Hiv, è aumentata del 10% e anche la mortalità infantile in molti paesi africani sta diminuendo in maniera consistente.

La differenza la sta facendo il boom dell’economia. In media, il reddito pro capite è aumentato di oltre il 30% negli ultimi anni, e le previsioni (provate a rileggervi sul sito di Nigrizia quello che ho scritto il mese scorso) sono tutte positive. Secondo l’Economist, nei prossimi 20 anni il reddito pro capite aumenterà di un altro 10% (altri parlano di un aumento ancora più significativo). Il Pil nella prossima decade si stima crescerà al ritmo medio del 6% annuo, contro molti paesi del vecchio mondo in recessione. E questo non solo a causa degli investimenti esteri passati dai 15 miliardi di dollari del 2002, ai 37 nel 2006 ai 46 miliardi del 2012.

eonomia7Merci e servizi, una volta disponibili solo per pochi, ora sono alla portata di tutti. In Africa oggi ci sono tre telefonini per ogni quattro persone, la stessa diffusione dell’India. Entro il 2017 almeno il 30% delle abitazioni avranno una tivù a colori. Strano ma vero: la Nigeria oggi produce più film in termini numerici di quanto non faccia l’America. Registi, sceneggiatori, scenografi, attori, musicisti…si sta creando una vera e propria industria dell’intrattenimento africano.

Tutti i sondaggi dicono che almeno due terzi degli africani sono convinti che il prossimo anno le prospettive saranno migliori rispetto a quello appena passato. Il doppio di quanto non accade in Europa, dove c’è invece molto più pessimismo. È difficile, ricorda il reporter dell’Economist, tentare di dare una lettura generale al fenomeno, perché ogni paese africano è una realtà a sé. In ogni caso ci sono delle linee significative che danno l’idea di come questa parte del mondo stia cambiando, e in fretta.

Alla fine della guerra fredda, solo tre paesi africani, sui 53 di allora, avevano dei regimi democratici. Oggi il numero è salito a 25, 25 democrazie su 55 paesi, democrazie certo che hanno diverse ombre, instabili, deboli quanto volete, ma così è. I regimi autoritari, con un uomo solo al comando, si stanno diradando (l’Economist ne conta 12). E poi ci sono gli altri, quelli ibridi, per così dire, che sono a metà strada, incamminati sulla via della democrazia e del multipartitismo.