Gru, Ofir Ashery_Tel Aviv
Menzione ex aequo Premio Energheia Israele 2022
Traduzione a cura di Ofir Ashery
Colline gialle e nude si stendono all’orizzonte. Sopra di loro, sullo sfondo azzurro, splende un grande sole. Fa caldo, tanto caldo che sembra si possa vedere il calore con gli occhi. Fa vorticare l’aria stanca che si posa a terra. Rimpicciolisce gli scorpioni e le ombre sotto le rocce. Spinge i serpenti nelle tane e piega le teste dei fiori di tuorlo che crescono solitari, quasi per caso, fuori dal terreno arido.
Fa tanto caldo che sembra si possa persino sentire il calore, come se i suoni gocciolassero dall’aria. Il calore si sente in un vento lontano e smarrito. Si sente in una mosca pesante che passa e scompare. Qualcosa cinguetta, forse una marmotta. La pietra sopra la pietra crepita con un suono chiaro e acuto. Un avvoltoio urla dalle profondità del cielo. Si sente di nuovo un vento caldo; una mosca pesante. Una lucertola cade sulla sabbia. Un asino raglia in lontananza. Di nuovo cinguettio, di nuovo vento… E ora i passi si avvicinano. I piedi pesanti e deboli stanno macinando le pietre sotto di loro. E qualcosa viene trascinato per terra, contorcendosi, tirando un cespuglio secco, grattando la terra. Un sospiro di dolore attraversa l’aria.
“Tranquillo”, dice una voce maschile rotta e profonda. Tutto resta immobile; si sente un respiro pesante. Un attimo dopo il movimento ritorna. Il vento fischia, una mosca vola, i passi si fanno sempre più vicino e qualcosa viene trascinato. Il respiro si fa più veloce. “Tranquillo, tranquillo”, borbotta l’uomo.
Ora si vedono i piedi che si avvicinano. Piedi nudi, carnagione spessa, dalle unghie sfregiate, che schiacciano spine e pietre. Di seguito, a terra, appare colui che è trascinato, un tenero ragazzo dai riccioli neri. Se ne sta tutto attorcigliando alle prese con una ruvida corda. Singhiozza e i suoi occhi, i suoi grandi occhi marroni da cerbiatto, turbinano confusi verso il cielo. Singhiozza e bagna il suolo sotto il suo corpo nudo.
L’uomo che lo trascina si ferma in cima a una collina rotonda. Il sudore gli cola dalla barba. Le sue mani forti fanno oscillare il ragazzo che piange e lo posizionano su una grande sporgenza rocciosa. Una bocca rosa è piena di polvere bianca e grida a bassa voce. I grandi occhi del ragazzo sono attirati verso il cielo, pregando di librarsi in volo. Anche gli occhi neri dell’uomo sono alzati. Qualcosa cinguetta, cade un sasso, passa una mosca, e poi silenzio completo, senza fiato. Per un lungo momento i due sembrano essere alla ricerca di una nuvola inesistente. Ma alla fine, un avvoltoio urla, il vento si mette a soffiare e gli occhi neri piombano sul ragazzo. Una mano forte afferra un viso bagnato, un ginocchio preme su un bacino tremante, un collo è teso su una roccia, un lungo coltello tremola, si alza, viene stretto tra le dita, pugnala il cielo, e poi, poco prima che venga scoccato il colpo, appare l’angelo.
L’angelo si tuffa dal cielo su fili di luce, è avvolto in una trama di azzurro e oro, il suo viso è rotondo e femminile. Scivola giù velocemente, le sue gambe grassocce danzano nell’aria, le sue mani bianche sono tirate in avanti, verso il coltello affilato, verso la mano ferma, verso il ragazzo. Vuole fermarli, dire qualcosa, ma fallisce. Il coltello trema, il ragazzo soffoca e l’angelo confuso continua a planare nell’aria. Passa sopra i due, muove le gambe con movimenti spaventati di nuoto, si aggrappa con tutte le sue forze ai fili di luce e lancia uno sguardo impotente verso il firmamento.
“Cut!!!” Una voce forte cade sulle colline.
“Cut!!!” Urla l’angelo che oscilla nel cielo.
“Cut!!!” Ride il ragazzo e si asciuga le labbra.
“Cut…” Sospira l’uomo e si toglie la barba.
“Gru!!!!” Chiama la voce alta. “Cosa sta succedendo oggi con quella fottuta gru? Qualcuno andrà a vedere che diavolo sta succedendo?!”
Un ragazzo dalle gambe magre corre oltre la sporgenza rocciosa e scompare oltre la collina. “Acqua! Acqua!” Grida. “Acqua! È svenuto – il gruista è svenuto!”
Due ragazzi corrono con l’acqua e passano sotto l’angelo, che sta ancora girando in cielo, ma è già appeso ai fili e mormora tra sé una melodia rassicurante. Nel frattempo, il regista, un uomo grasso e sudato, impreca, si accende una sigaretta e si dirige verso la sporgenza rocciosa.
“Isaaaacco”, si rivolge al ragazzo che si è già coperto di una tunica azzurra e ora si scrolla la sabbia dai riccioli. “Isacco, dimmi: tuo padre ti ha mai schiaffeggiato? L’ha fatto o no? E come hai reagito? Ti sei arreso. Esattamente. È così che voglio che tu reagisca anche qui. Ecco, sei già dopo lo schiaffo, non prima, ricorda, non piangi, non ti giri, non urli; non fai niente. Sei sottomesso, sei devoto. Questo è tuo padre e tu gli appartieni. Ti fidi di lui. E Abraham – è stato bello, buono, ma ancora questo… questo appiattimento… sei apatico, apatico! Ne abbiamo già parlato, voglio che tu ti immedesimi. Voglio che tu senta il personaggio. Voglio che tu ce lo offra. Mostracelo! Dimostraci che capisci quello che stai facendo. Che ne sia ben consapevole: stai uccidendo tuo figlio! Non essere patetico: lo senti, non lo reprimi. Sentilo! Sentilo! Voglio che tu lo senta nei tuoi occhi, nelle tue mani. Ecco, metti la mano su di lui. Più forte. Sul viso. Scusa Isacco, solo un momento. Ecco, sì, schiaccialo. Stringi tuo figlio. Lo senti? Senti il polso? Premi più forte. C’è un impulso? Molto bene, dai, su dacci un momento, chiudi gli occhi. C’è il polso… eccolo… Ora dimmi – è il suo polso o il tuo? O è il mio? Non lo sai? Molto bene! Ottimo! Esattamente! Questo è tuo figlio – questo sei tu! Stai sacrificando il tuo unico figlio, quello che ami! Quindi offricelo a noi! Sacrificalo a Dio! E se non hai un Dio, sacrificalo a me! Sacrificalo per il bene di questo film! Offrilo a noi! Da capo! Ognuno al suo posto! Gru! Cosa c’è che non va con questa gru oggi?”