Guardando attraverso gli occhi_Robert Mungai Mbugua
_Racconto finalista sesta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Maria Rosaria Silvano
Gufo: “Quando mi sono appollaiato ho visto il villaggio. Era l’alba. I
bambini giocavano ad acchiapparsi. Riuscivo a sorridere nonostante avessi
il becco. Mi divertivo molto a guardarli correre su e giù e mi chiedevo
come sarebbe stato giocare con loro. Notai una capanna che si trovava
sotto il ramo. All’improvviso fui avvolto dal fumo che veniva dal
basso. Mi chiedevo che cosa stessero cucinando. Il fumo saliva a tal punto
che decisi di spostarmi su un altro ramo. Una vecchia signora mi vide,
realizzò che ero un gufo ma si fermò soltanto a guardarmi. Il suo
sguardo si soffermò su alcuni bambini che incominciarono a guardarmi.
I nostri sguardi si incrociarono. Avevano sguardi innocenti e coraggiosi.
Mi ero appollaiato lì per un pò, poi girai la testa dall’altra parte.
Peter: “Nonna quell’uccello ha degli occhi grandi come quelli di un essere
umano, che cos’è?”.
Nonna: “E’ un gufo, nipote mio. Era giovane ed energico, assomiglia a
suo padre”.
Peter: “Perché ha degli occhi così grandi?”. Chiese.
Nonna: “Mentre stavo spiegando a Peter che il gufo ha degli occhi grandi
per vedere bene di notte, scoppiarono tutti in una fragorosa risata. Stavo
cercando di accendere il fuoco per preparare qualcosa da mangiare per
noi. La legna non era abbastanza secca da accendere il fuoco velocemente.
Parlammo del gufo e di come mai era lì e spiegai tutto a Peter”.
Nonna: “Presi la pentola ed entrai nella capanna dove il fumo era più
tollerabile. Andai fuori, raccolsi un pò di legna e la misi sul fuoco. L’acqua
incominciava a bollire in una pentola sorretta da tre pietre. Ne ver-
sai dell’altra, aggiunsi un pò di cereali ed uscii fuori. Il sole diventava
sempre più caldo e l’aria sempre più umida. I bambini continuavano a
giocare sotto il sole cocente. Poi un bambino mi si avvicinò mentre cercavo
di stirare la spalla che mi faceva male, data la mia veneranda età.
«Nonna, posso stare con te sotto questo albero?» «Sì, nipote mio», risposi
mentre lui si sedeva accanto a me sotto l’albero. La brezza vorticosa
mi rinfrescava mentre parlavo con mio nipote. Improvvisamente
udimmo la voce della mamma chiamare Peter. «Peter dove sei? Sono
qui mamma», rispose Peter mentre si alzava. La mia schiena non
mi faceva più tanto male. Sua madre uscì dalla capanna e venne da noi.
Avevo sete e chiesi a Peter di andarmi a prendere dell’acqua. Anche
sua madre voleva sedersi, ma dall’altra parte vi erano delle chiazze bianche
vicino a lei. Spiegai che si trattava delle lacrime del gufo e si sedette
al posto di Peter.
Peter: “Mi alzai e guardai mia madre e mia nonna. Andai a prendere dell’acqua
per la nonna. Portai l’acqua in una calebassa che diedi alla nonna
e osservai le sue mani deboli e il suo sguardo spento. Mi soffermai a
pensare alla sua età. Afferrò la calebassa con le sue fragili mani e incominciò
a bere. Ingoiava l’acqua lentamente, mentre io continuavo a pensare.
Il suo sguardo incrociò il mio mentre beveva. Le sue fragili dita sembravano
consumate. Mi restituì la calebassa che riportai nella capanna”.
Nonna: “Mi ero dissetata. Ridiedi la calebassa al ragazzo. Pensai che
era un bravo ragazzo, sorrise, assomigliava al padre. Lo guardai per un
pò mentre si recava verso la capanna. I suoi occhi erano attenti e fiduciosi.
Ritornò e mi indicò alcune chiazze bianche sull’erba. Era un bel
ragazzo e mi chiesi cosa sarebbe stato di lui”.
Peter: “I segni bianchi sull’erba mi ricordarono che il gufo aveva pianto
la notte scorsa. Raccontai la storia a mia madre, mentre mia nonna
ascoltava. Fu un terribile sogno e mi spaventava. Mi svegliava la notte.
Fu un sogno terribile e il verso del gufo mi spaventò. Riuscivo a sentire
il verso del gufo, era silenzioso, ma si poteva sentire da lontano. L’avevo
sentito per un pò, prima di ritornare a dormire. La nonna mi guardava
mentre finivo di raccontare la storia. Ascoltò con attenzione ogni
singola parola. Più tardi, la mamma mi interruppe e mi chiese di andare
a prendere un pò di acqua dal fiume”.
Peter: “Ritornai alla capanna sotto il sole cocente di mezzogiorno. Presi
una grande calebassa e mi diressi verso il fiume. Le acque del fiume
erano limpide e terse; presi un pò di acqua e ritornai a casa. Mi fermai
a guardare il fiume pensando che cosa avrei dovuto fare dopo. Su una
roccia c’era una piccola rana che stavo fissando da un pò di tempo. Nel
guardarla mi resi conto che si stava riparando dal sole caldo. All’improvviso
vidi un piccolo serpente. Dal colore mi accorsi che non era velenoso
o pericoloso. Sebbene fosse piccolo mi misi a giocare con lui.
La rana mi guardava a debita distanza. Il serpente voleva mangiare la
rana che si era messa in salvo. Incominciai a giocare con il serpente stuzzicandolo
con un bastone. Lo irritai e mi morse il dito. Buttai via il bastone
e corsi gridando verso casa. Giunto a casa dissi alla nonna cosa
era successo. Lei voleva venire al fiume ma non se la sentiva perché faceva
molto caldo. Mia madre chiese ad un vicino di uccidere il piccolo
serpente. Stavo piangendo quando ritornammo al fiume. Nel raggiungere
il punto in cui si trovava la calebassa, indicai il luogo dove si trovava
il piccolo serpente. Era ancora lì, vicino alla calebassa, dall’altra
parte del fiume e la piccola rana era anche lì. Il piccolo serpente si nascondeva
vicino alla calebassa appoggiata in terra. La calebassa venne
sollevata e il piccolo serpente era lì. Il mio vicino adirato prese il bastone
e schiacciò il piccolo serpente verde”.
Rana: “A breve distanza dal fiume riuscii a sfuggire ad un piccolo serpente.
Nonostante fosse piccolo mi faceva paura. Ho visto tutto: il ragazzo
arrivare, il serpente che mi voleva mangiare, il serpente che ha
morso il dito del ragazzo. Ho visto persino come il vicino ha ucciso il
serpente. Peter ha preso la calebassa e l’ha riempita di acqua. Poi l’ha
restituita al suo vicino quando è tornato a casa. Attraversava a fatica il
fiume all’altezza delle sue ginocchia e veniva verso di me. Avevo paura
e decisi di non saltare in acqua. Lo guardai impotente quando mi prese,
mi mise nella sua tasca e mi portò a casa. Mise la mano in fondo alla
tasca e mi afferrò. Ero così piccola che poteva prendermi nel palmo della
mano a dita strette. La luce, un nuovo ambiente mi scioccò, non c’erano
stagni, fiumi o paludi. Il posto era asciutto e più tardi seppi che era il recinto
di Peter. Quando mi lasciò cadere dalla sua mano non riuscivo a saltare.
Il posto faceva paura e c’era molto rumore. Quando fui a terra guar-
dai impotente un gatto avvicinarsi al ragazzo. Era buio e in stato d’abbandono.
Era vicino a me, a pochi metri. Mi guardò e si chiese come
poteva mangiarmi. Il ragazzo guardava stupito. Il serpente voleva mangiarmi;
anche il gatto voleva mangiarmi. Non si avventò su di me, ma
guardava il mio esile corpo. Se non fosse per le mie piccole dimensioni
avrei potuto essere un menu perfetto per un gatto. Il gatto andò via
dopo avermi osservato per un pò. Ero salva. Il ragazzo si allontanò dalla
capanna per portare qualcosa da mangiare alla donne che non la smettevano
più di parlare. Diede loro del cibo. Poi ritornò e si sedette vicino
a me”.
Peter: “Più guardavo la ranocchia e più mi sembrava interessante. Pensai
che avrei dovuto mangiare qualcosa e ritornai alla capanna. Portai
con me qualcosa da mangiare. Mentre stavo mangiando sentii un rumore
provenire da lontano. Era un suono piacevole. Preso dall’entusiasmo lasciai
il cibo vicino la ranocchia. Non ci fece caso, mi guardava soltanto
con i suoi piccoli occhi lucenti. Mi alzai da terra e corsi dirigendomi
verso il suono che proveniva dal villaggio. La festa del villaggio era appena
iniziata. La gente si stava radunando e camminava per dare inizio
ai festeggiamenti”.
Rana: “All’inizio il ragazzo quasi mi investì con il suo cibo, quasi mi
calpestò mentre si alzava. Povera me, pensai, morirò soltanto perché sono
una piccola rana. Allora le donne che erano sedute sotto l’albero si
alzarono e vennero verso la capanna. La nonna di Peter e sua madre vennero
a prendere il piatto mezzo vuoto che era vicino a me e lo riportarono
alla capanna. Mi stava venendo fame e non potevo mangiare cibo
umano. Affamata com’ero, non avevo altra scelta se non quella di dirigermi
verso la foresta e scomparire”.
Gatto: “Era quasi il tramonto, quando udii un suono provenire dal granaio
e decisi di vedere cosa fosse. Andai lentamente e attentamente verso
il granaio. Trattenevo il respiro a mano a mano che mi avvicinavo.
Guardavo il sacco per capire da dove venisse il suono. Un topo sembrava
divertirsi mangiucchiando quello che c’era nel sacco. Mi avventai
con una tale precisione che lo presi. Fu la mia cena. Ero sazio. Mi
leccai tutto e ritornai alla capanna”.
Peter: “Attraversai la foresta e il fiume recandomi verso l’altro villag-
gio. Il suono diventava sempre più chiaro e reale. Le voci delle donne
sembravano echeggiare per l’aria. I tamburi cantavano per loro, boom,
boom, risuonavano. Quando arrivai al villaggio non vedevo l’ora di vedere
la festa del raccolto. Era già incominciata, ma il ritmo dei tamburi
non era così intenso. Vidi mia madre arrivare dietro di me perché mi
aveva seguito da casa. I tamburi risuonavano da ogni angolo. La gente
era seduta ovunque, occupava qualsiasi piccolo spazio. Alcuni impazienti
danzavano al ritmo dei tamburi e delle trombe. I loro piedi nudi sembravano
più abituati al ritmo e alla polvere. Si respirava un’allegra atmosfera.
Alcuni uomini anziani festeggiavano seduti vicino ad un albero.
Gli uomini più anziani sorseggiavano un pò di birra da una grande
calebassa. Le donne cucinavano mentre gli altri mangiavano.
Incominciai ad avere paura quando vidi i miei coetanei. La musica e la
danza riecheggiavano per l’aria. La gente ballava. I ragazzi più giovani,
che sono sempre più irrequieti e più smaliziati, cercavano di fare i
furbi, prendendo un pò di birra. Diventava tutto sempre più divertente.
La festa e la danza del raccolto erano in pieno svolgimento. Era bellissimo
soprattutto quando si udì un nuovo ritmo. Tutto era elegante e realizzato
con stile. Il ritmo, i jingle, la danza e gli aromi si diffondevano
per l’aria a mano a mano che danzavo, più di quanto pensassi. I ritmi
cambiavano il nostro modo di danzare e il nostro umore. Più lentamente,
più velocemente, i ritmi avvolgevano la nostra mente. Tutto era semplicemente
africano, più culturale e intenso. Quando la musica si fermò
mia madre venne verso di me e disse che potevamo andare a casa. Smisi
di ballare e decidemmo di rientrare.
La festa non era ancora finita, ma dovevamo ritornare a casa a prenderci
cura della Nonna”.
Nonna: “Faceva caldo vicino al fuoco. Mi sedetti accanto a Peter e a sua
madre. Gli feci alcune domande sulla festa. Mio nipote sentiva freddo e
si coprì con una coperta. Un gatto, che aveva finito di mangiare, si stava
ancora leccando i baffi. La madre di Peter disse che stavano celebrando
la festa del raccolto. Erano tutti felici. Ero anziana e non riuscivo a stare
sveglia così a lungo. Decisi di andare a dormire. Peter e sua madre rimasero
ancora a parlare. Suo padre sarebbe arrivato il giorno dopo. Peter
chiese se suo padre gli avrebbe portato un regalo. Sua madre disse:
«Lo sai che tuo padre porta sempre un regalo quando ritorna a casa».
Non aspettai che terminassero la loro conversazione e mi spensi come
una candela.
La mattina successiva il tempo era cambiato, faceva freddo, era nuvoloso
e ventilato. Mi alzai dal letto e uscì fuori. Era mattina presto, faceva
fresco e Peter non si era ancora svegliato. Chiamai sua madre che
preparò il tè della mattina. Dopo aver fatto colazione ed essermi rigenerata
con una buona tazza di tè uscii. Una signora anziana non poteva
uscire con quel tempaccio. Mi chiesi dove fosse andato il sole. Se fosse
stato qui avrebbe potuto rinvigorire il mio corpo debole e mi sarei
sentita molto meglio. Mi sedetti vicino ad uno sgabello accanto al fuoco.
La mamma di Peter prese la zappa e si recò verso il giardino. Peter
si alzò e venne a prendersi una tazza di tè, sbadigliando ancora assonnato.
Lo guardai e pensai che aveva sempre amato suo padre. Dopo qualche
sorso di tè mi chiese dove fosse sua madre. Gli risposi che era andata
in giardino. Era sempre di buon umore. Il tempo passava mentre
noi eravamo vicino al fuoco a riscaldarci. Peter uscì un pò fuori. Fui distratta
da Peter che disse: «Sta arrivando Papà». Dalle parole di Peter mi
accorsi che cosa stava succedendo. Tirai un sospiro di sollievo quando
entrò nella capanna. Peter non vedeva l’ora che lui entrasse. Gli andò
incontro mentre entrava in casa. Quando appoggiò il suo bagaglio in terra
sorrise calorosamente nonostante la stanchezza. «Ciao Nonna», disse,
«Figlio mio, come sei stato?» Le mie fragili dita incontrarono la sua
ferma mano. Stavo invecchiando e stavo perdendo la vista e la memoria.
Mi alzai con il mio corpo debole. Si rattristò e disse: «Mamma non
ti alzare». Mi risedetti e le mani incominciarono a tremare. Sicuramente,
pensai, l’età avanza. Ero felice di essere in famiglia e decidemmo di
scambiare quattro chiacchiere. Mi sentivo in preda all’agitazione che aveva
travolto la mia mente come una tempesta. Pensai a cosa dire al padre
di Peter”.
Padre di Peter: “L’anziana donna di cui ero il figlio mi osservava con
amore materno. Mandai Peter a chiamare la mamma. Peter corse immediatamente.
Parlai con la nonna di Peter mentre aspettavo che mia
moglie ritornasse dal giardino. Era felice del mio ritorno a casa. Ero stato
via per qualche settimana, ma a lei era sembrato che fosse passato
tanto tempo. Forse la sua memoria non era più così ferrea perché aveva
dimenticato quando ero partito. Il suo viso si illuminò quando entrai
nella capanna. Mi accolse con un sorriso raggiante che mi assicurò che
stava bene. Le volevo bene non solo perché era mia madre, ma anche
perché era un bell’esempio per mia moglie e Peter. Non sentivo più la
stanchezza, mi sentivo molto meglio”.
Mamma di Peter: “Quando entrai nella capanna sentii chiaramente mio
marito conversare con la nonna di Peter. Non vedevo l’ora di vedere mio
marito. Fui colta dall’ansia quando lo vidi. Fu gentile come sempre. Dissi:
«Ciao, marito mio» e lui rispose anticipando un sorriso al saluto. La
nonna di Peter guardava con il cuore in mano. Sembrava si ricordasse
quando, ancora ragazzina, si era sposata. Il suo stupore risvegliava tutte
le emozioni di quel giorno. Dopo una lunga conversazione preparai
qualcosa da mangiare per lui e continuammo a parlare. Si interruppe per
un momento e si ricordò qualcosa che aveva dimenticato. «Peter», lo
chiamò, chiedendogli di cercare una scatola blu nella borsa. Peter non
riusciva a decidere se guardare nella borsa o andare fuori. Disse qualcosa
su una rana e uscì fuori. Stava cercando qualcosa fuori. Poi ritornò
dicendo che non era riuscito a trovare la sua rana. Andò verso la borsa
di suo padre e prese una grande scatola che aprì eccitato. «Wow»,
non poteva crederci. Il suo stupore meravigliò tutti, anche suo padre.
Ma è mio figlio? pensai. Aprì la scatola e trovò una macchina giocattolo
che suo padre gli aveva promesso. Ancor prima di parlare uscì con
la macchina giocattolo nelle mani. Tutti lo seguimmo mentre si recava
verso l’albero senza lasciare la macchina. Tutti lo osservammo in silenzio;
si sedette e si inginocchiò. Guardò in alto e incominciò a parlare”.
Peter: “Guardai in alto e vidi il posto dove il gufo era solito appollaiarsi
e guardai ancora più in alto”. Dissi: «Padre, grazie di tutto, grazie per
aver cura di me, dei miei genitori e della nonna. Benedici coloro che si
prendono cura di me».
Quando finii, i nostri sguardi si incrociarono. Sicuramente Dio aveva
visto tutto.