Guy Scott: il primo leader democratico bianco in Africa.
di Pietro Veronese.
C’è una foto dello scorso agosto che ritrae il vicepresidente dello Zambia e signora ricevuti alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti e signora. Tutti e quattro sorridono per la circostanza. La coppia zambiana è bianca, Guy Scott e Charlotte Harland-Scott. La coppia americana che li inquadra, lui a sinistra, lei a destra, è nera: Barack e Michelle Obama. Qualcuno ci potrebbe vedere il mondo alla rovescia: due bianche a rappresentare un Paese africano e due afroamericani ad accoglierli in quella che fino a pochi anni or sono era una Casa molto Bianca. Ma tutti appaiono contenti e nessuno sembra farci caso, come è giusto che sia. All’epoca i media non hanno considerato l’avvenimento una notizia degna di nota.
Adesso che il presidente dello Zambia è morto(si chiamava Michael Sata ed era una persona interessantissima, di umili origini, eletto a furor di popolo), Guy Scott lo ha sostituito, sia pure per un periodo di soli 90 giorni al termine del quale ci saranno nuove elezioni. Al momento il capo dello Stato zambiano è dunque lui. E all’imporvviso il colore della sua pelle è diventato una notizia. A dir la verità non tanto in Zambia, dove è una personalità nota e popolare da tempo, quanto sui media anglosassoni, in particolare quelli britannici, e di riflesso da noi. “Il primo bianco a guidare uno Stato africano dalla fine dell’hapartheid in Sudafrica vent’anni fa”(The Economist”. Tutti hanno seguito più o meno su questo tono, chi meno, chi peggio come il londinese Telegraph che ha fatto un titolo (poi cancellato) sul ritorno alla white rule, cioè all’epoca in cui i bianchi dominavano e governavano la Rhodesia, di cui l’odierna Zambia faceva parte.
La cosa imbarazzante è che questa attenzione al colore della pelle è tutta nostra, tutta europea. Il settantenne Scott è nato in Zambia, è uno zambiano a tutti gli effetti e tale lo considerano i suoi concittadini, anche se suo padre era uno scozzese di Glasgow. Si è laureato a Cambridge, ma parla perfettamente i due idiomi maggiormente diffusi nel suo Paese, il Nyanja e il Bemba. È in politica da tempo e chi ha ascoltato i suoi comizi dice che è un tribuno anche più brillante di quanto non sapesse esserlo Michael Sata.
Con il defunto presidente Scott era in piena sintonia, condividendone il nazionalismo economico che ha per principale bersaglio la penetrazione dei capitali e della imprese cinesi in Zambia, specie nel settore minerario. Adesso nel partito al potere è in corso una lotta per la successione e non è chiaro se Scott abbia intenzione di presentarsi. Ma questa è un’altra storia, che non il colore della pelle non c’entra nulla.