Hugh, Eleonora Ghiotto_Genova
Racconto finalista Premio Energheia 2020_XXVI edizione – sezione giovani
Miglior racconto per la realizzazione di un cortometraggio.
Sei di mattino: entri al supermercato 24h su 24 sotto il tuo appartamento in South Bank. A quell’ora non c’è mai gente – ti è capitato spesso di trovarti solo con la cassiera e Bob del banco salumi. Sei sovrappensiero, l’aria del supermercato ti disorienta un po’. Le luci al neon ti fanno venire l’emicrania. Ti ricordano il lavoro, anche se nel tuo ufficio non ci sono lampadine così. Avvicinati al reparto ortofrutta, deciso a comprare delle arance per la tua Cindy. Speri di tornare all’appartamento prima che si svegli, per prepararle la colazione. Cindy ama la spremuta d’arance e tu ami Cindy. Quindi le prepari la spremuta tutte le mattine. Facile. Scegli i frutti migliori da mettere nel sacchetto di carta. Pensi al sollievo di svegliarsi ogni mattina abbracciato a quel corpo minuto, il viso immerso nella sua chioma bionda. Non riesci ad immaginare sensazione più desolante di un letto vuoto, solo il tepore del proprio corpo a scaldare le lenzuola. Immaginala in quel momento, avvolta nella coperta scura, rannicchiata sul bordo del materasso. Desideri di averle dato un bacio prima di uscire, uno di quelli leggeri che lei patisce, sul collo pallido. Alzerebbe la spalla di scatto, borbottando un “dai”. Ti darebbe le spalle per poi ripiombare in un sonno profondo e tu saresti uscito di casa senza quella strana sensazione addosso. Come se ti stesse sfuggendo qualcosa.
«Ha la carta punti?» domanda la rossa alla cassa. Mastica una gomma. Perché mai poi, così presto al mattino, ti chiedi. Soffrirà sicuramente di mal di stomaco. Rispondi di no e paga le tre sterline che le devi. Presa la busta esci dal negozio. Respira a pieni polmoni la fredda aria mattutina.
Sali le scale di casa, ti senti a disagio. Apri la porta, il tuo appartamento ti sembra diverso. Ti senti un ladro con la refurtiva sbagliata tra le mani. Sciocchezze, è casa tua, per Dio! Sbaglia strada per andare in cucina, un pastore tedesco corre a farti le feste – ti sei spaventato.
«Hugh, dai, è solo un cucciolo!» lo sguardo della donna cadde sul sacchetto del supermercato. «Gli hai preso le crocchette? Vedi stai già cedendo!» ride. Allunga la mano bruna e si appropria del sacchetto. Al polso brilla un bracciale con inciso un nome: Iman. Iman.
«Caro, mi hai anche preso i croissant! Il mio uomo!» e ti stampa un bacio in bocca. Poverino, ti pare di avere la testa piena d’acqua… «Ti preparo il caffè» mormora, come se fosse la vostra routine. È la vostra routine, Hugh. Siete solo voi due e il cucciolo. Apri lo sportello dello scaffale di destra, prendi il barattolo.
«Avevi spostato il caffè, tesoro?» metti la moka sul fornello, posa le crocchette sul tavolo.
«Ma se è sempre stato lì, amore!» Devi essere stressato. O è quello, o stai andando fuori di testa. No, sei solo stanco. Colpa di tutti i viaggi che fate, tu e Iman, Cracovia, Budapest e Bratislava, poi Marrakech, Pretoria e Dakar. È una pellegrina, lei, e tu la seguiresti in capo al mondo. Ricordi quando la incontrasti a Parigi? Pensa ai boulevard poco affollati, alle ore passate ad ammirare la grigia Senna. Giornate di pioggia, croissant sotto l’ombrello. I suoi ricci scuri afflosciati dalle gocce. Riempi la ciotola dell’acqua di Francis – vedi? Sai come si chiama il tuo cane. Adesso è sdraiato sul divano. Ha un muso dolce. Prendi le crocchette, scuotile per attirarlo. Saltellerà felice, balzando sulle sue zampe troppo grandi?
«Papà, perché agiti i cereali?»
Voltati di scatto, ti senti stordito. Come se fossi appena sceso da un ottovolante. Hai un gran mal di testa, maledette luci al neon, la bambina seduta a tavola è come un alieno. Hai sentito bene, benissimo, ti ha chiamato papà.
«Il cane… i…»
“I” che cosa? Hai tra le mani cereali. A quarant’anni la mente inizia già a giocarti dei brutti scherzi. Confusione in cucina, piatti, stoviglie, tavola apparecchiata. Tua moglie entra dal salotto, capelli corti sottili, piume di pulcino, occhi vivaci: è di fretta. Ruba un biscotto dal tavolo: «Ma se il cane non l’hai voluto! Sei ancora mezzo addormentato?». Bacio fulmineo, carezza alla figlia, afferra la borsa.
«Volo al lavoro. Porti Alice all’asilo? Sai, tua figlia, ti ricordi? Alice» ti prende in giro, buona giornata bell’addormentato.
Certo, certo che non avete un cane, con Alice piccola, tu non ti fidavi. Adesso non riusciresti ad accudire un cane, tutte le tue attenzioni ruotano attorno a quel soldo di cacio lentigginoso. Ogni volta che la guardi è come se la prendessi tra le braccia la prima volta, appena nata. Sollievo, gioia, orgoglio, timore. Completezza. Amore puro. Sei ancora frastornato dal sonno, ma come potresti scordare ciò che tu e Sonia avete creato? Posa il mento sulla sua testolina, ammira il suo disegno. Dice che vuole diventare un elefante, ancora non svelarle che gli uomini possono solo essere uomini. Falle i complimenti, appendi il foglio al frigo. Sai che più felice di così non sei mai stato. Non vorresti altro, resteresti aggrappato a questa vita per sempre, dimenticarsi cosa significa restare in silenzio e sentirsi solo involucri. Alice, il tuo piccolo sole, ti scalda l’anima. Va a prendere lo zainetto, cos’è questa sensazione? Distacco, la senti all’altezza dello stomaco. Panico, un brutto déjà-vu. Nodo alla gola, trattieni le gocce d’acqua, ti scivolano via dalle mani. Alice, resta qui, aspetta un attimo. Non vuoi distogliere lo sguardo, seguila nel corridoio, bianco, luci di scarsa qualità, pressione sulle tempie. Una porta da bambini, legno e una lettera di plastica appesa. Spalancala e piomba nella camera spoglia. «Alice?» chiamala, chiamala quanto vuoi.
Tanto la stanza è vuota e tu sei solo, Hugh. Svegliati e vivi, maledizione.