I brevissimi 2011 – Corindone di Nicolò Petrelli_Montelupone(MC)
anno 2011 (I sette peccati capitali – l’avarizia)
Sono un uccellino blu in gabbia, un esotico souvenir, da un cofanetto di madreperla lo osservo immobile e come uno psicologo lo studio: è magro, sottile, affilato, la pelle quasi trasparente è tesa, una tela pronta per essere dipinta, come un’opera di Fontana è squarciato da ulcere, ecchimosi lo ricoprono creando dei contrasti chiaroscurali, è un lenzuolo steso al vento ed ondeggia mosso da tempeste invisibili.
Lo vedo tremare, il respiro è pesante e la fronte imperlata di sudore, il cuore batte ancora, ma il suono è leggero, quasi impercettibile, sta svanendo. Occhi grandi e secchi mi scrutano, mi denudano, denti mordono l’aria, come se cercasse di divorare lo spazio stesso, le gengive sanguinano macchiando i denti avorio: è affamato; ma ci sono solo io in questa stanza e lui è nudo davanti a me.
Mi accarezza, mi bacia, parole dolci come il miele escono dalle labbra aride, tagliate dalla sete e sottili come fili: mi ama, mi protegge, sono il figlio della profezia, ottenuto con infinite difficoltà, sono Isacco, ma lui non mi sacrificherà, non mi venderà, renderà l’anima a Dio da peccatore, ma non mi venderà. Grida la sua sfida al cielo, deride l’Angelo della Morte, incapace di spaventarlo: cosa può saperne lui lassù in Paradiso, dove la grazia abbonda per tutti, della bellezza infinita del possedere, della meravigliosa sensazione di piacere che si ha nel pronunciare o anche solo nel pensare l’aggettivo “mio”.
Il silenzio avvolge la stanza, la fame lo sta consumando e accovacciato sul pavimento mi stringe tra le dita nodose, non mi abbandonerà neanche da morto, non può, ma soprattutto non vuole.
Che valore ha la vita di fronte a me?
Il mio nome è zaffiro e sono una pietra lucente, il suo nome non lo ricordo, ma è per avermi troppo amato che ora non vive più, è per avermi troppo amato che non ha mai vissuto.