I Brevissimi 2020 – Blue cocktail, Nicoletta Fanuele_Chiaromonte(PZ)
Anno 2020 – (I colori dell’iride – Azzurro)
Quel pomeriggio di primavera del 28 aprile 1958, nella galleria d’arte al numero 3 di rue des Beaux-arts si inaugurata una mostra dal titolo quasi incomprensibile.
La gente era in attesa di entrare in una sola, piccola, stanza vuota. Gli ospiti venivano fatti defluire a gruppi di due o tre alla volta. Tutt’intorno impenetrabili vetri dipinti di blu scuro, una pesante tenda di raso blu all’ingresso, una moquette di colore azzurro. Nessun’opera d’arte, o almeno nessun oggetto che potesse giudicarsi tale. All’interno della piccola sala si poteva sostare soltanto pochi minuti, poi si veniva gentilmente accompagnati verso l’uscita.
Ciò che il pubblico avrebbe dovuto apprezzare era il gesto dell’artista. Un gesto detto, ma non fatto, conclamato, ma astratto.
Nessun trucco né inganno, perché l’artista mostrava tutto: non c’era niente da vedere. E lo faceva esibendo l’invisibile. Sollevò apprezzamenti e critiche, reazioni sensibili e disquisizioni intellettuali.
Quello spazio puro, immacolato, strizzava l’occhio allo spettatore fino ad attrarlo. Il potere era esercitato dal colore blu, definito sin dal ‘700 come un colore attraente come pochi altri, e da tutte le declinazioni di azzurro a cui dava vita.
Lo spazio vuoto della Galerie funzionava e fungeva da catalizzatore extraoggettuale. Non c’era nulla da vedere, eppure lo spazio era ritualizzato al punto da condurre gli spettatori a rivedere completamente le proprie abitudini percettive e intellettuali.
Klein dipinse di bianco le mura della galleria, ma non realizzò nulla di determinato, si limitò a cancellare i segni antecedenti, le tracce sulle pareti lasciate dal pubblico che vi era transitato precedentemente.
La finestra blu, i tendaggi dello stesso colore, la moquette azzurra, la vetrina vuota partecipavano alla liturgia dell’esposizione, fino a diventare il palcoscenico di una perfetta messa in scena.
Nei giorni precedenti all’inaugurazione della mostra, l’artista si era persino preoccupato di spedire un invito scritto a tutti gli ospiti: un biglietto bianco su cui si stagliava una scrittura elegante e il fine inchiostro bluette.
Anche George, con sua grande sorpresa, si era visto recapitare nella cassetta postale l’invito.
Dopo lo spaesamento iniziale, George si era recato alla mostra all’ora e nel luogo indicati sull’invito.
Aveva atteso con impazienza, poi, all’ingresso, la grande sorpresa: nelle sale dell’esposizione non c’era niente. Un niente profondo, poi una profondità blu.
Tra l’incredulità totale, l’unico elemento che riuscì a catturare la sua attenzione fu la moquette dalle delicate venature azzurrine. Vacillò per un attimo e gli sembrò quasi di sprofondare tra le tenui increspature azzurre.
Al termine del tour del nulla, agli spettatori fu offerto un aperitivo che Klein aveva battezzato “blue cocktail”, a base di gin, cointreau e blu di metilene.
George agitò per qualche istante l’intruglio contenuto nel bicchiere e poté notare le stesse tenui increspature azzurre, che poco prima avevano rapito il suo sguardo.
Il mattino seguente George poté osservare gli effetti concreti dell’esposizione. La leggenda autorizzata dall’artista narra che i residui dell’esperienza abitarono il corpo degli spettatori per una settimana: tanto durò la permanenza del cocktail nel corpo di ciascuno.
L’esperienza estetica terminò, a distanza di una settimana, con l’ultima espulsione: quella mattina lo sciacquone risucchiò via anche le ultime tracce, che avevano assunto un velato colore azzurrino.