I brevissimi 2022 – La promessa, Corrado dal Maso_Roma
_Anno 2022 (Nero)
“ Neri già sono i boschi, il cielo è ancora azzurro? ”
(Paul Desjardins in “Alla ricerca del tempo perduto” – M. Proust)
Esitò nell’entrare, anche se già conosceva la strada.
Poi si decise, e prese a salire la scalinata che si apriva di fronte al portone, di malavoglia, svoltò per il lungo corridoio del primo piano, scansò un infermiere -o un medico, non ci fece caso, non aveva nulla da chiedere- sfiorò senza alcuna emozione una barella su cui era adagiato, coperto da un lenzuolo, un fagotto lungo e rigido.
Ascoltava il rumore dei suoi passi.
Tonfi sul marmo lucido del pavimento, pesanti come una punizione.
Chiodi su una croce.
Colpi di tamburo sul ponte di una galera.
Scortato da quell’eco inesorabile andò avanti, fino ad una porta socchiusa. Ci si soffermò un momento, come per raccogliere le idee, o le forze, trattenne il respiro, finalmente la varcò.
Allora, entrato che fu, ancora una volta provò la sensazione di trovarsi come per un sortilegio in un vecchio film triste, in bianco e nero: una camerata dal soffitto alto, con le finestre chiuse; nella penombra dei neon che se ne stavano, fiochi e svogliati, appollaiati in cima alle pareti, una fila di letti per lato, spaziati tra di loro da un comodino e una sedia; povere cose, alluminio, formica grigiastra, lenzuola e copriletto ordinati, ma mercenari; malati anonimi come comparse e, in un angolo, una suora silenziosa che sgranava un rosario.
Chiedendosi di nuovo perché lei, che non c’era, lo avesse messo in un posto così, con tutti i soldi che avevano, si diresse verso un letto e si sedette di fianco.
Lo stridio della sedia sul marmo riempì per un momento la stanza, poi tornò il silenzio.
Lui guardava nel vuoto, compunto.
Suo padre, steso, fissava il soffitto.
Stettero così a lungo, senza che i loro occhi si incontrassero, poi il vecchio cominciò a parlare.
Biascicava un bisbiglio monotono e lugubre, forse per l’ambiente, o per le cose che diceva, sempre le stesse sicuramente, lui neppure le ascoltava; e non perché fossero incomprensibili per quanto bassa era quella voce malata, ma semplicemente perché al cospetto di un genitore che moriva, anziché provare pena dolore affetto tenerezza rimpianto, attenzione, era preso a rimuginare tra sé tutt’altri sentimenti.
Amarezza.
Per come le vicende della sua famiglia fossero andate a finire.
E rancore.
Dunque, quel bisbiglio era nulla.
Solo frasi, chiacchiere, ricordi.
Ordini.
Ordini…?! All’improvviso un impulso occulto lo costrinse ad ascoltare, a concentrarsi sulle parole che quel corpo, oramai distante nei suoi sentimenti da anni, e tra poco da lui per sempre, pronunciava. Gli stava facendo una richiesta, che giunse repentina, dura e tagliente come una coltellata, riuscendo -quasi che tante volte non fosse già successo- a ferirlo di nuovo, come nuovo sembra ogni singolo supplizio, ogni tormento inferto dal carnefice a colui che continua a subirli.
Gli disse, con una voce che sorprendentemente s’era fatta quella viva e imperiosa di un tempo: “Devi farmi una promessa …” e si voltò lento dalla sua parte, mentre lui a quel punto già lo fissava, cosicché i loro occhi finalmente si incrociarono, come lame: “… voglio morire sereno, sicuro, anche felice: devi fare pace con tua sorella”.
Si fermò, senza neppure ansimare.
Sereno? Sicuro? Felice? Tutto quello che a lui era mancato da sempre, vivendo, come in un cantuccio buio, solingo e recondito, in una famiglia che pareva campare solo per nutrire, crescere, compiacere, far affermare una bambina viziata e dispotica, poi ragazza vanitosa e arrogante, e ora donna scaltra e crudele. Insomma, quella che il padre aveva chiamato sua sorella, e che per lui non era altro che una persona abietta, capace di circuire una madre debole, assente, morta anzitempo, ed un padre duro e parziale, che ora si credeva in diritto di rantolare gli ultimi ordini prima di morire.
Avvampò, e stava per vomitargli contro tutta la bile amara che serbava dentro da anni ma invece qualcosa dentro, dal profondo, lo fermò.
“Prometti” incalzò l’altro.
“Te lo prometto” sibilò lui.
Il padre socchiuse gli occhi, placato.
Non si dissero altro e, in breve, lui uscì.
Sapeva che non sarebbe tornato.
Sapeva, soprattutto, che non avrebbe mantenuto quella promessa.
Che il suo spergiuro sarebbe stato la sua vendetta.
E si sentiva felice, appagato.
Affrancato, finalmente.
Fuori, nel frattempo, s’era fatto scuro.
E scuri s’erano fatti i contorni delle cose.
Incerti, precari, confusi.
Così pure, ben presto, labile come la luce del giorno che spirava , anche il suo animo.
Aveva davanti una sera buia.
Poi, una casa solitaria.
Dopo, di certo, una lunga notte nera.