I brevissimi 2022 – Nero, Italo Caputo_Brindisi
_Anno 2022 – (Nero)
Trattengo il fiato. Accarezzo la parete ruvida, avvertendone ogni rugoso rilievo. Sperando
di poter vedere.
Quando ci hanno fatto scendere giù nei tunnel della metropolitana, ho sentito qualcuno
lamentarsene. Perché non sopporta gli ambienti chiusi, diceva. O perché ha la fobia dei
germi, diceva. Ma comunque ci hanno fatto scendere sui binari e ci hanno fatto
camminare per parecchi minuti. Ci hanno indicato un punto illuminato da alcuni fari
appesi in alto. C’erano anche coperte, pacchi di cracker, alcune bottiglie d’acqua. C’era
gente piegata in ginocchio che pregava sotto la direzione di un sacerdote. Altri che si
dimenavano per farsi dare qualcosa dalli infermieri messi a disposizione.
Ci avevano detto di restare lì. Di stare sereni. Che anche se sentivamo il rumore delle
esplosioni, anche se la terra avesse tremato, noi eravamo al sicuro. Ci hanno detto che
tutti erano al sicuro lì sotto. Anche il claustrofobico e il germofobico.
E quando erano iniziate, le esplosioni, rimanemmo tutti lì. Fermi. Avvolti nelle coperte.
Anche mentre la terra tremava e alcuni calcinacci venivano giù dal soffitto dei tunnel,
rimanemmo tutti lì. Fermi.
Ma un’esplosione più forte e più vicina fece tremare il tunnel come se dovesse franare,
spegnendo poi tutte le luci. Avvolgendoci tutti nel buio più assoluto.
Quando tutti hanno iniziato a gridare e a correre non ci ho capito più niente. Gridai a mia
moglie e a mia figlia di avvicinarsi. Statemi vicino, li ho detto. Poi qualcuno mi è caduto
addosso. E poi un altro. Ho sentito centinaia di piedi passarmi sopra, colpendomi la
testa. Un colpo sulla tempia porto via anche quel poco che gli occhi erano riusciti a
mettere a fuoco. Le orecchie fischiavano più forte delle bombe lì fuori, come se la testa
fosse pronta a esplodere.
Quando la maggior parte dei piedi che mi avevano calpestato era ormai lontana, capii
d’averle perse. Sia mia moglie, sia mia figlia.
Ecco perché trattengo il fiato. Perché accarezzo la parete ruvida. Sperando di poter
vedere. Anzi, di poterle vedere.
Ora che i bombardamenti sono finiti e sono avvolto dall’oscurità, sento rimbombare ogni
piccolo rumore. E più passa il tempo e meno rumori sento. Mi chiedo come sia possibile
perdersi in un tunnel. Solo andando in direzioni diverse. Forse avevo inseguito la
direzione sbagliata.
Voltandomi e rivoltandomi, in preda al dubbio, dimentico anche la direzione che stavo
inseguendo. È davvero così facile perdersi? Non so più cosa fare, dove andare.
E poi un cigolio familiare. Una pesante porta che si apre. Un’accogliente porta che si
apre. Ma non è per lasciarmi entrare. No. Non vedo nessuna luce. Non vedo nulla.
C’è qualcuno che è entrato dalla porta. Ne sento i passi, forse di più di qualcuno.
E poi, finalmente, un contatto. Delle mani, delle mani calde. Le sento prendere le mie,
stringermi le dita. Mi getto istintivamente tra quelle mani, trovando delle braccia ad
avvolgermi. Non sono più solo e c’è qualcun altro, insieme a me, nell’oscurità.
Sento una voce in lontananza. È la voce di mia figlia. La sento dire qualcosa ma non
capisco cosa. Quando provo a voltarmi in direzione della sua voce, quelle mani e quelle
braccia che mi avevano accolto iniziarono a stringermi. A tenermi stretto a loro. A tutti i
costi.
Sono passate diverse ore e sto ancora qui, seduto su una sedia. Al centro di una piccola
stanza. Se la luce sia accesa oppure no, non saprei dirlo. Tanto sono gonfi i miei occhi,
da impedirmelo. Mi hanno picchiato, affogato, tagliato. Mi avranno spezzato tre o quattro
dita. Eppure non sembra bastare. Ciò che dico non sembra andar bene. Ma io sono
onesto con loro, chiunque siano. Dico la verità quando affermo che mi interessa solo
raggiungere mia figlia. Dirle che va tutto bene anche se non si vede nulla.
Sarà che non parliamo la stessa lingua. Ma non ci posso credere che non mi capiscono.
In fondo, chi è che non ha mai avuto paura del buio?