I piccioni fanno “gruu, gruuu”, Maria Gabriella Esposito_Il Cairo
Finalista Premio Energheia Egitto 2022
Il cellulare squilla. È il suono dello Skype. Sullo schermo del telefono appaiono i piccioni di Kathryn Spence fatti di vecchi giornali e rifiuti di strada. Sono l’icona del gruppo Skype. È mia figlia che da Boston chiama, probabilmente, per chiedermi qualche consiglio su come preparare un pasto veloce ma sano. Studia Biologia alla Boston University, ma in fondo è una musicista, una appassionata di chitarra elettrica, una rock star!
Ha ricevuto una borsa di studio e dal caldo dell’Egitto si è trasferita al freddo del Massachusetts. Come tutti i genitori mi preoccupavo di come farà a mangiare, cosa cucinerà. Preoccupazioni inutili, vista la grande tradizione culinaria della nostra famiglia.
La nonna Isabella ha sempre trascritto tutte le ricette dei pasti che preparava sulle schedine che rinchiudeva nel cassettino di legno, che il nonno Alfredo aveva costruito con le sue mani. Sul coperchio il nonno aveva accuratamente attaccato, con dei minuscoli chiodini dorati, un piccolo ovale di pelle rossa con su inciso “Le ricette della nonna Isa”.
“Ciao mamma, come stai? Ti posso suonare la canzone che sto scrivendo?”
“Certo, sono tutta orecchie!”
La video call inizia e vedo la sua immagine con la cuffia, il microfono, il computer, l’amplificatore e la chitarra. Sulla parete dietro di lei c’è una foto di profilo della Sfinge di Giza con i piccioni appollaiati sulla testa, e un’altra foto delle tre generazioni (la nonna, la mamma e la nipote) alla moschea di Ibn Tulun, una delle più grandi e antiche in Egitto, del periodo storico Abbaside. La musica è forte e lei canta e mi manda il testo della sua canzone con un messaggio. Ascolto compiaciuta e orgogliosa … Tutto d’un tratto si ferma e mi dice:
“Ho fame! “
“Preparati qualcosa di veloce, un petto di pollo in padella e una insalata…”
“Che triste il pollo con l’insalata! Magari fossi qui con la nonnina, allora sì potremmo preparare qualcosa di buono. Non vedo l’ora di finire gli esami e andare in Italia per fare con la nonna i super delicious gnocchi.”
E sì, le nostre estati in Italia sono una sorta di viaggio culinario a casa della nonna. Le immagini dei nostri incontri si susseguono, una dopo l’altra. I ricordi, le sensazioni, i profumi, i suoni, i rumori… In particolare quelle dell’ estate, poco prima della partenza di Nazly per l’Università…
Era un sabato mattina di fine agosto. Come di consueto anche quella estate eravamo a Salerno, e dopo una serie di telefonate per concordare l’orario, finalmente l’incontro. Il nostro saluto è un forte abbraccio che non finisce mai e un bacio su ognuna delle due guance. Il profumo di cassetti ordinati, con i panni conservati con i sacchettini di lavanda, pervadeva tutta la casa. Quel sabato in particolare faceva molto caldo. Era la fine dell’estate, le finestre erano tutte aperte affinché il venticello rinfrescasse l’ambiente portando gli odori della sabbia e del mare.
Sui balconi i piccioni grugavano, il loro personale e caratteristico verso che li contraddistingue nell’orchestra della natura.
Il primo passo era cambiarsi i vestiti. Abiti scollati, leggeri e colorati, grembiuli con la pettorina cuciti a mano, cuffietta bianca per i capelli, rigorosamente usa e getta.
E dopo le mani: il rituale di lavarsi le mani! Il sapone di Marsiglia, aromatizzato con estratti di limone e di arancia, scendeva sulle mani che partivano in una danza con l’acqua, lasciando la schiuma disperdersi nel lavandino bianco candido. L’ asciugamano era di lino. Anche questo candidamente bianco, con una frangia di cotone fatta a mano. Eccoci pronte per avviarci verso la cucina.
Ognuno aveva il proprio compito. La nonna appoggiava con cura il tagliere di legno costruito a mano dal falegname Giuseppe, che aveva la bottega nella stessa strada dove la nonna abitava da quando si era sposata. Aveva un bordo alto di tre centimetri in modo da contenere qualsiasi farina e impasto si facesse.
Sulla cucina qualcosa bolliva nella pentola di alluminio smaltata di blu all’esterno e bianco all’interno. Ecco, era il momento di porre la farina a cupola sul tagliere e… Driin, Il timer suonava! I venti minuti di cottura erano trascorsi. Nazly apriva il coperchio e il fumo dell’acqua bollente le appannava gli occhiali… Le patate per gli gnocchi erano pronte. Evviva! La nonna diceva che le patate dovevano essere vecchie, perché sono più farinose e ricche di amido, poco acquose e non assorbono molta farina.
E da quel momento in poi era tutto un susseguirsi di azioni sincronizzate, di mani abili che pelavano le patate, di soffi sulle punte delle dita arrossate dal calore dei tuberi bollenti. Cling…clang…lo schiacciapatate si apriva e si chiudeva per accogliere le patate e trasformarle in una pioggia di vermicelli giallognoli. Le povere patate ridotte in poltiglia si accasciavano sulla cupola della farina bianca. La nonna lavorava l’impasto con acqua tiepida, mentre l’odore delle patate bollite pervadeva la cucina.
Ci davamo da fare con mani esperte a creare i piccoli e lunghi salsicciotti dello spessore di poco più di un dito. Sei mani che prendevano i piccoli pezzettini di impasto di circa due centimetri, premendoli leggermente con le dita sul retro di una grattugia, così da ottenere la classica forma leggermente concava e picchiettata. Un pezzetto dopo l’altro, e ancora, e ancora …sembravano non finissero mai!
Eravamo lì, chiacchierando e canticchiando le arie delle opere preferite della nonna, un’altra delle sue passioni oltre la buona cucina. Ridevamo ai nostri gorgheggi che, tranne quelli della nonna Isabella, non erano proprio alla Maria Callas e, per scherzo, ci spruzzavamo a vicenda un pochino di farina sul viso.
Ed ecco, occorreva prendere i vassoi di cartone di pasticceria, quelli dei dolci che si comprano per il pranzo della domenica, puliti, riciclati e spolverati con una manciata di farina per potervi adagiare gli gnocchi, senza sovrapporli l’uno all’altro, fino al momento di lessarli e condirli.
Le voci erano squillanti e ci stringevamo esultanti per essere riuscite ad incontrarci ancora una volta…
Mi sembrava di sentire le nostre voci allegre, le nostre canzoni e di vedere le nostre danze…
“Pronto? Ci siete? Mi sentite?” La nonna finalmente è riuscita a collegarsi con Skype.
“Ciao nonna sei riuscita a rispondere alla chiamata Skype di gruppo! Che brava, che nonna cibernetica di novantadue anni che ho! Mamma sei ancora lì?”
“Si certo, ero assorta nei ricordi.”
“Ho deciso, mi preparo gli gnocchi con il pesto di Trader Joe’s.”
“Trader chi?” domanda la nonna.
“Nonna, il supermercato che vende prodotti biologici. Magari potessi mandarmi nello schermo un piatto di quelli fatti da te!”
“Magari, ma non ti preoccupare, presto ci incontreremo nuovamente e questa volta gli gnocchi li faremo alla Sorrentina!”
“Va bene, vi voglio bene, devo andare. Ciao nonna, ciao mamma.”
Il collegamento Skype finisce e mi sembra di sentire il profumo degli gnocchi. Nazly, la nostra zoomer della generazione Z lo sa benissimo che gli gnocchi virtuali non sono buoni come quelli veri della nonna!
Penso a quanto mia madre sia stata brava a tramandare di generazione in generazione la sua ricetta. L’ha sempre custodita gelosamente con quelle della pastiera napoletana, il gattò di patate, il casatiello napoletano, gli spaghetti con olive e capperi, gli struffoli, il pandispagna, la crema pasticciera e tante altre.
Tre generazioni, tre ere diverse, tre paesi diversi, tre donne lontane ma accomunate da un’unica ricetta di gnocchi, che rimane eterna come le Piramidi di Giza in Egitto.
Intanto apro il balcone e ascolto i piccioni che fanno “gruu, gruuu”!