I brevissimi 2024 – I topi hanno fame, Michele Leombruni_San Venanzo(TR)
Anno 2024 (Le stagioni: Inverno) – menzione
Alla fine di un inverno più lungo e rigido del solito, un povero piccolo topo stava soffrendo terribilmente la fame. Tremava, aveva un saporaccio amaro nella bocca secca e il suo aspetto era pietoso. Stava per arrendersi e mangiare sassi, in modo da morire almeno a stomaco pieno, quando un cavallo passò da quelle parti. Era uno splendido ronzino, tremendamente in forma. Muscoli pieni, adipe spesso, un corpo perfetto che non pativa né fame né freddo.
Un ultimo barlume di vita assalì allora il topo, un guizzo folle e selvaggio, dettato dalla fame sì, ma anche dall’invidia.
Il topo si lanciò sul cavallo e ne azzannò una caviglia. Gli portò via di netto un lembo di carne e fuggì via. Lo riempirono di gioia e coraggio i nitriti di dolore della bestia appena deturpata e lo stomaco pieno della calda carne ricca di ferro.
Un’estasi.
Il giorno dopo, il topo ancora ghignava. Chissà che malattie ho attaccato a quel cavallo, continuava a ripetere in preda a risate incontrollabili. Gli altri topi, affamati come lo era stato lui, lo ascoltavano basiti. Ormai da giorni si erano dati al cannibalismo, specie verso anziani e bambini, e non speravano più di cavarsela. Le parole del topo li sconvolse. Erano stupefatti dal rischio che aveva corso eppure, a guardarlo adesso, come rinato, si chiesero perché non avessero osato prima nulla del genere. Cosa avevano da perdere?
Un’epifania.
Rapiti da un sacro furore, venne indetta un’assemblea. Non ci furono discussioni, né leader. Erano tutti d’accordo. Si organizzarono dalla sera per la mattina. Alle prime luci dell’alba uscirono compatti come un esercito dalle loro tane, più numerosi di quanto chiunque avesse mai immaginato, e presero a rosicchiare gli stinchi di tutte quelle enormi creature che avevano evitato finora, finché le povere bestie non crollavano a terra. A quel punto gli aprivano il ventre e le spolpavano vive. Tutto accadeva in una manciata di secondi. Non lasciavano scampo alle loro vittime, di cui rimanevano carcasse parzialmente smangiucchiate e chiazzate di feci.
Il regno animale fu soggiogato dai topi. Sincronizzati come stormi che migrano, organizzati come colonie di formiche, numerosi come i granelli di sabbia in un deserto, assalivano ogni creatura vivente, senza distinzione. Dapprima per nutrirsi, poi, sempre più, per il dominio assoluto. Folle oceaniche di topi emergevano improvvise, divoravano e sparivano nel nulla. E più uccidevano, più aumentava in modo esponenziale il loro numero e la loro ferocia. Neanche gli esseri umani riuscivano più a contenerli. Non erano più delle povere piccole creature, ma un cataclisma brulicante e invisibile come le malattie che spazzano via intere popolazioni. L’orgoglio, più che la carne, li saziava adesso. Il genocidio, il loro limite: l’esistenza stessa di altre creature che potessero limitarli.
Presero possesso di intere città, ma il grembo della Terra era il loro rifugio quando venivano attaccati. Là dove non si era mai spinto nessuno, loro scavarono megalopoli tecnicamente superiori a tutte le civiltà di vermi e talpe che li avevano preceduti. Quando il campo era libero occupavano comode poltrone, lussuose scrivanie e sontuosi letti.
Su tutto ciò copulavano, mordevano e defecavano.
Infine, col giogo del terrore, costrinsero gli umani a rivelargli tutto quello che sapevano.
E quando li ebbero in pugno, proprio quando erano al loro apogeo, di colpo, arrivò la fine.
L’inverno finì cogliendoli alla sprovvista. Ormai non temevano più la fame o altro. Il freddo era passato, eppure i topi provarono un brivido.
Un gelo li divise e le loro azioni si fecero scoordinate, lente, fallimentari. Fatto mai visto prima, cominciarono le liti. Formarono fazioni contrapposte e si uccisero a vicenda, fino a sterminarsi.
Rapidamente come erano apparsi, i topi scomparvero. E tutti dimenticarono i topi.
Chi o cosa erano i topi?