Appunti di viaggio

Il corpo e le parole

afri2_ Associazione Energheia_2000.

L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante,
colui per il quale ogni terra è come la propria casa è già un uomo forte,
ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero.
Ugo da San Vittore (XII sec.)
Che stupore ricevere centotrenta e più racconti dal Kenya! La “loro” Africa, raccontata
su carta trovata al mercato, scritta a mano con infinita pazienza, battuta a macchina
in piazza da dattilografi pubblici, spedita via e-mail nel percorso contrario al
generale flusso di informazioni. Certo la lingua scelta per comunicare è stata l’inglese
e non una delle lingue tradizionali del luogo, Kikuyu, Luo, Kamba, Luya, Kalenjin,
Swahili. Però per noi un pezzo di Africa è arrivato anche con le pagine che ci sono
state spedite, nelle quali oltre alla parola scritta abbiamo colto un odore, un’impronta,
un calore di corpo e di movimento. Quando l’oralità si fa giovane scrittura la
parola si incarna, richiama un canto, una danza, un corpo che racconta, un corpo che
ama. E speriamo che questa sensazione possa ancora giungere così potente anche a
voi lettori.
“Porsi in una forma di contatto diverso. Per potersi guardare negli occhi occorre
una vicinanza fisica: ciò in tutta la cultura africana ha un’importanza molto grande,
che spesso noi non riusciamo a capire. Il senso della vicinanza fisica necessario
per uno sguardo attento all’altro è importantissimo anche per cambiare il nostro
modo di relazionarsi, perché comporta lo scendere da un approccio troppo astratto,
razionale, cerebrale, a qualcosa che è più immediato, spontaneo, umano”1.
Leggere queste storie può servire ad avere un altro sguardo, a decentrarsi, ad allontanarsi
per un attimo dai propri riferimenti e dirigersi verso quelli di altre culture
per scoprire le differenze e le connessioni. Scopriremo, forse, che altre culture sono
profondamente vitali ed in grado di parlarci, che si tratti dei codici della conversazione,
dei ritmi della giornata, dei legami sociali, dei riferimenti letterari ed artistici.
Sicuramente chi scrive e chi legge resta imbrigliato in un’altra mappa del mondo,
sempre nuova, in continua trasformazione ed in un movimento imprevedibile. E’
l’immagine che abbiamo percepito dell’Africa e che vogliamo trasmettere attraverso
Africa Teller, una scommessa di poter creare ponti letterari in grado di generare
sogni.
In questa raccolta di racconti ritroviamo il mito e le contraddizioni laceranti del presente,
c’è un sogno ed una realtà densa e complessa, ci sono gli antichi segni del
villaggio e l’anomìa della metropoli; c’è tutto lo spazio che va dal rito ad internet.
E dalle introflessioni di questo spazio ci giungono parole, come piccole radici che
richiamano un canto o un corpo che si muove, tracce per altri racconti a venire.
L’immagine di un cimitero alla periferia di Nairobi, una tomba senza nome ed undolorosa
storia familiare ai margini dell’Aids2. Sembrerebbe quanto di più lontano
dall’intento di creare un ponte diretto tra giovani scrittori africani e lettori italiani,
dalla voglia di stimolare la conoscenza ed il dialogo attraverso delle storie. Eppure
il racconto, che apre questa raccolta, nella sua cruda verità di morte e sofferenza
ci trasmette un senso di forza e di amore per la vita, di fuga e di appartenenza,
di credo e di speranza, di voglia di cambiare. Non fosse altro che per questa capacità
della parola di raccontare la sofferenza, e di darle un respiro ed un volto, varrebbe
la pena leggere tutte d’un fiato queste storie ed entrare in contatto con giovani
scrittori che apparentemente sono lontanissimi.
“I vincitori contemporanei nel benessere del loro sistema economico girano su se stessi
in una curiosa stasi di vita spirituale e culturale. Hanno dimenticato la morte. Hanno
dimenticato l’ineluttabile interconnessione di tutte le cose. Arrogandosi il diritto
di stare al centro del mondo, quando in realtà il centro è ovunque, i vincitori contemporanei
parlano all’universo in nome di tutti e male. E’ ora che ascoltino. L’Africa
trasuda storie. In Africa le cose sono storie, contengono storie e producono storie
al momento giusto, nel sogno, quando siamo aperti all’aspetto segreto degli oggetti e
degli stati d’animo”3.
Non tanto tempo fa lo scrittore keniano Ngugi Wa Thiong’o concludeva il romanzo
Un chicco di grano con uno sguardo verso il futuro “la gente cerca di dimenticare,
ma non ci riesce. Le cose non sono così semplici. Abbiamo bisogno di parlare,
di aprirci l’un l’altro i nostri cuori, di esaminarli e poi fare insieme progetti per
il futuro che desideriamo”.
Non tanto tempo fa c’erano tre mondi. La categoria di “terzo mondo” fu inventata
agli inizi degli anni cinquanta in Francia, appena qualche anno dopo che Henry S.
Truman aveva dichiarato tutto l’emisfero Sud “area sottosviluppata”. E per molti
di noi la tripartizione del mondo fu un’immagine così chiara che immediatamente
associammo al terzo mondo l’idea dell’inferno. Così ideologia dello sviluppo e geopolitica
si erano combinati con l’immaginazione letteraria dantesca ed abbiamo associato
sempre la povertà con la colpa ed il male e lo sviluppo con la redenzione.
Non tanto tempo fa c’erano tre mondi. Forse fin dalla notte dei tempi, gli africani
credevano all’esistenza di tre mondi.
“Il primo mondo è quello che ci circonda, ossia la realtà tangibile e visibile, nella
quale rientrano gli esseri umani, gli animali, le piante ed anche gli oggetti inanimati
come le pietre, l’acqua e l’aria. Il secondo è il mondo degli antenati morti da
tempo ma, in un certo senso, non morti del tutto, non sino in fondo, non definitivamente.
In senso metafisico essi esistono ancora e possono perfino prendere parte
alla nostra vita reale, influenzarla, plasmarla. Il terzo mondo è il ricchissimo regno
degli spiriti, autonomi ed indipendenti, ma al contempo presenti in ogni creatura,
in ogni entità, ovunque ed in ogni cosa. Acapo di questi tre mondi sta l’Essere
supremo, l’Ente supremo, Dio”4. È l’immagine di un terzo mondo che permea di
sé ogni cosa. Ed è già un’immagine che, paradossalmente, è più vicina a chi, non
molto tempo fa, raccontava del degrado di periferie ed uomini nelle opulente metropoli
dell’occidente. Oggi l’immagine prevalente è quella di un unico mondo: i
più ottimisti lo chiamano mercato, un solo, grande, unico mercato; i più pessimisti
lo chiamano Gaia, ma forse tanto allegro non lo è. Oggi ci aspettiamo una nuova
immagine del mondo, un’immagine che possa essere plurale, policentrica,
un’immagine di mondi. Abbiamo bisogno di storie che ci facciano immaginare nuovamente
il mondo.

Breve bibliografia:
Bottegal, Di Gregorio, Di Sapio, Martinenghi – Noci di cola, Vino di palma,
Cres Edizioni Lavoro,1997
Fanon F., I dannati della terra, Edizioni di Comunità, 2000
Kizito Sesana R., Occhi per l’Africa, Emi, 1999
Kapuscinski R., Ebano, Feltrinelli, 2000
Miguel P., Honga, La Meridiana, 1994
Nigrizia, Africa vieni fuori, speciale 2000
Ngugi Wa Thiong’o, Un chicco di grano, Jaka Book, 1997
Se ne andranno le nuvole devastatrici, Jaka Book, 1975
Petali di sangue, Jaka Book, 1979
Okri B., La tigre nella bocca del diamante, Minimum fax, 2000
Pugliese C. (a cura di), Racconti dall’Africa, Mondadori, 1993
Sachs O. (a cura di), Dizionario dello sviluppo, ed. Gruppo Abele, 1998
Said E. W., Cultura e imperialismo, Gamberetti, 1998
Saracino M.A. (a cura di), Altri lati del mondo, Sensibili alle foglie, 1994
Un angolo d’Africa. Il Kenya visto dai suoi scrittori, Morcelliana, 1984