Il dilemma di essere un africano cristiano_Mercy Muchai
_Racconto finalista quarta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Mariella Vaccaro
Mi chiamo Kamau. Dicono che io abbia 70 anni ma non ho modo di verificarlo
perché mia madre è morta e pare che nessuno lo sappia con certezza.
Vivo in un piccolo villaggio nel Kenia centrale. Pratico l’agricoltura
di sussistenza in un piccolo shamba (appezzamento di terreno) e allevo
alcune capre, delle galline e due mucche. Sono padre di 15 figli e ho tre
mogli. Questa è la mia storia.
Qualche giorno fa il pastore passò da casa mia e mi parlò a lungo di
Gesù. Rimasi talmente colpito dai suoi racconti che desiderai approfondire
la mia conoscenza di questo Gesù di cui lui parlava. Aspettai
con ansia la sua visita successiva. Quando ritornò gli dissi ciò che
avevo deciso e lui ne fu molto contento, ma aggiunse che c’era qualcosa
che io dovevo fare prima di poter essere battezzato. Gli risposi,
felice, che ero pronto a fare qualunque cosa e, a quel punto, lui lanciò
la bomba: disse che avrei dovuto mandare via due delle mie tre
mogli. Rimasi scioccato: come potevo far questo a loro e ai loro figli,
dove sarebbero andate, come avrei potuto spiegarlo alle loro famiglie,
quale errore avevano commesso per meritare tale trattamento?
Queste domande, e molte altre ancora, mi venivano in mente
mentre il pastore attendeva una mia risposta.
Dopo un po’ gli dissi che avevo bisogno di tempo per riflettere. Lessi
del disappunto sul volto del pastore; non mi sembrava, invece, che
lui notasse il groviglio di stupore e confusione che invadeva il mio
animo. Promise che sarebbe ritornato nella settimana successiva per
sapere se avessi preso una decisione. Nei giorni seguenti non riuscii
a pensare ad altro e spesso mi chiedevo quale connessione ci fosse
tra il diventare cristiano e ripudiare le mie mogli.
Nelle sue prime visite il pastore aveva enfatizzato l’importanza della parola
di Dio riportata nella Bibbia. Mi aveva detto che la parola di Dio
era infallibile e aveva insistito sul fatto che Dio era lo stesso, ieri oggi
e sempre. Mentre lottavo con il mio dilemma, decisi di leggere la Bibbia
per scoprire ciò che Dio aveva da dire a me; fortunatamente avevo
frequentato i corsi di alfabetizzazione per adulti e sapevo leggere nella
mia lingua (kikuyu).
Incominciai a leggere le storie delle principali figure del Vecchio Testamento.
Leggendo scoprii che Giacobbe aveva avuto molte mogli e
così anche Davide; addirittura Salomone ne aveva avute 700. La scoperta
più importante fu che tutti questi uomini godevano pienamente del
favore di Dio. Tutto ciò fece aumentare la mia confusione, mi chiedevo
perché fosse necessario che io ripudiassi le mie due mogli mentre
Salomone aveva potuto mantenere le sue 700.
Dopo circa due settimane il pastore ritornò. Io ero pronto per essere battezzato,
avendo scoperto che non era necessario che io mandassi via le
mie mogli. Quando lo spiegai al pastore, lui mi disse che la poligamia
era un peccato e mi spiegò che, con il mio essere poligamo, in realtà io
infrangevo le leggi di Dio. Io gli chiesi di leggere ad alta voce i 10 Comandamenti
in modo che potessimo verificare quale legge io stessi infrangendo.
In realtà, non esiste una legge che stabilisca in modo specifico
che è sbagliato praticare la poligamia.
Il pastore spiegò che era implicito nel comandamento ‘Non commettere
adulterio’. Io non potevo essere d’accordo con lui perché, nel rispetto
delle mie tradizioni, ero sposato con tutte e tre le donne e quindi non
commettevo adulterio. Il mio ragionamento non divertì il pastore il quale
continuò a dirmi che stavo commettendo un peccato e che ero un grande
peccatore bisognoso di essere salvato da questa barbara usanza. Tutto
ciò non mi aiutava a risolvere il mio dilemma, anzi mi ritrovai ad essere
ancora più confuso.
Il pastore non smise mai di provare a convincermi a mandare via le mie
due mogli, ma io rimasi inamovibile. Dopo alcuni mesi successe qual-
cos’altro. Una delle mie figlie decise di sposarsi. Io ero molto felice e
non vedevo l’ora che arrivasse il giorno in cui i parenti acquisiti fossero
venuti a trovarci.
Finalmente quel giorno arrivò e preparammo in loro onore una festa che,
a mio parere, fu un successo. La cosa più importante era che la famiglia
dello sposo era cristiana. Arrivò il momento in cui gli anziani di entrambe
le famiglie si riunirono per discutere della dote da pagare. Dopo
esserci sistemati, uno degli anziani della nostra famiglia chiese agli
altri quanto volessero offrire. Il loro rappresentante si alzò e come prima
cosa fece un lungo discorso sulla redenzione. Non potevo fare a meno
di chiedermi se ciò fosse necessario in quel particolare momento; non
avevo la più pallida idea di quale fosse il punto del suo discorso.
Concluse dicendo che secondo la loro fede era sbagliato compiere i riti
tradizionali del matrimonio, che includevano il pagamento della dote.
L’anziano continuò a dire che, essendo questo un rito molto importante,
era necessario che venisse effettuato. L’unica differenza sarebbe
stata la sua denominazione: invece di ‘pagamento della dote’doveva essere
definito ‘donazione di un regalo’. L’anziano insistette nel dire che
tutte le successive visite non sarebbero state chiamate con i loro nomi
tradizionali bensì tea party o feste di riunione familiare.
Mentre lo ascoltavo non riuscivo a capire bene fino a che punto suonasse
ridicolo ciò che dicevano. Fino a quel momento avevo tenuti gli
occhi fissi a terra; decisi di sollevare lo sguardo per cercare di leggere
le espressioni sul volto degli anziani della mia famiglia: mi sembrò che
anche loro fossero scioccati quanto me. In quel momento l’unica cosa
che mi venne in mente fu l’assurda ipocrisia che veniva diffusa.
Quella notte, mentre mi rigiravo agitato nel letto, ripensavo a ciò che
era successo durante il giorno. Non riuscivo a capire che cosa ci fosse
da cambiare nei nomi tradizionali. Il giorno seguente decisi di sentire il
parere del mio amico pastore in modo che lui potesse illuminarmi su
questo evento. Mi spiegò che la maggior parte delle nostre usanze, se
non tutte, erano avvolte nel male e che il modo migliore per trattarle consisteva
nell’abbandonarle completamente. Mi spiegò che il punto di
partenza stava nel ridare un nuovo nome a tali pratiche: io pensai che
una rosa sarebbe stata sempre una rosa con qualsiasi altro nome e che
quindi non fosse rilevante dare un nuovo nome alle nostre usanze. Dal
momento che non avevo ancora discusso faccia a faccia con il pastore
la questione delle mie mogli, decisi di non proseguire oltre con quell’argomento.
I giorni che seguirono furono pieni di estrema confusione e contraddizioni.
Non avevo nessuno con cui confidarmi e sicuramente non avrei
raccontato alle mie mogli quale fosse la causa della mia angoscia. Come
avrei potuto spiegare loro che mi veniva chiesto di mandarle via? I
mesi successivi furono pieni di preparativi per il matrimonio di mia figlia.
Dopo il matrimonio decisi di entrare a far parte della Chiesa del
mio amico pastore. Quando partecipai alla prima messa egli mi informò
che ero il benvenuto nella sua chiesa ma che non potevo essere considerato
un membro a tutti gli effetti perché non ero battezzato. Mi disse
che non potevo né ricoprire cariche importanti nella chiesa né leggere
la Bibbia sull’altare durante la messa. Tali divieti non erano necessari
dal momento che io non avevo comunque intenzione di fare quelle attività.
Il motivo per cui ero entrato a far parte della Chiesa era che sentivo il
bisogno di un appagamento spirituale. L’esperienza che stavo realizzando
nella Chiesa era per me molto positiva. Una domenica particolare accadde
una cosa piuttosto assurda: una donna, seduta alcune panche davanti
a me, venne cacciata scortesemente via dalla panca e posta di fronte
alla comunità dei fedeli. Il pastore, che sembrava molto infuriato, le
ordinò di spiegare all’intera comunità perché fosse andata a cercare aiuto
da uno stregone. Evidentemente qualcuno aveva riferito al pastore che
la donna era andata a far visita allo stregone.
Per difendersi, la donna affermò di essere andata da un guaritore tradizionale
e non da uno stregone. Come forse saprete, esiste una grande
differenza tra un guaritore tradizionale e uno stregone. Il guaritore lavora
per il bene della comunità, mentre lo stregone lavora per la sua distruzione.
La donna disse di aver sofferto di forti dolori alla schiena per
circa due anni. Era andata in vari ospedali e i medicamenti che le avevano
dato non le avevano fatto passare il dolore. Questo era talmente
forte che non le consentiva di stare né seduta né in piedi, era costretta
a stare stesa sulla schiena. Un giorno un amico era andato a farle visita
e le aveva suggerito di andare da un guaritore. Lei aveva pensato che
fosse una buona idea, in quanto era aperta ad ogni suggerimento che potesse
giovarle. Un sabato mattina aveva deciso di andare dal guaritore,
il quale le aveva dato delle erbe.
Appena ebbe finito di spiegare la sua situazione, il pastore le ordinò con
rabbia di uscire dalla chiesa e di non tornare finché non avesse compreso
la gravità del suo peccato e non fosse stata pronta a pentirsi di fronte all’intera
comunità di fedeli. La donna uscì inorridita per l’umiliazione
che aveva dovuto sopportare. Mi resi conto che il pastore aveva già deciso
in precedenza di scomunicarla e pertanto non aveva prestato alcuna
attenzione a ciò che lei aveva raccontato.
Non riuscivo a capire perché fosse un peccato utilizzare la nostra medicina
tradizionale. A quel punto il peso che stavo sopportando diventò
troppo grande per me. La vita mi sembrava talmente ingiusta che quella
notte, per la prima volta dopo tanto tempo, mi addormentai piangendo.
Mi domandavo il perché di tutti quegli avvenimenti. In tutto questo,
una questione era sempre presente nella mia mente: se fosse possibile
per me, in quanto africano, essere un buon Cristiano.
Per quale motivo le mie usanze tradizionali apparivano in contraddizione
con gli insegnamenti cristiani? Ciò significava che i miei antenati, morti
prima di me, erano andati tutti all’inferno? Tutto ciò che mi resta da
fare è continuare a praticare la mia fede nel modo migliore che conosco,
nella speranza che arrivi qualcuno che possa darmi delle spiegazioni.
Prego sempre che Dio voglia perdonarmi per aver seguito le mie
tradizioni così come mi sono state tramandate dai miei antenati da tempo
immemorabile.