Il dolore schivo_Annalisa De Lucia
_Ci sono allieve e allievi
C’è il sorriso e c’è la rabbia
Ci sono i disagi e la spensieratezza
Ci sono disagi e disagi
Il disagio urlato e quello silenzioso, quello nascosto dietro uno sguardo immutabile e sfuggente che ha il sapore dell’indifferenza. Il disagio silente ha troppi muri da scavalcare prima che lo si possa raggiungere, ha vicoli contorti e oscuri che ingannano anche chi prova a leggere tra e righe fragili di chi non sa dire e chiede senza sapere come.
- ha una madre scomoda, etichettata nel paese in cui vive per i suoi pantaloni aderenti leopardati, le labbra rosse pronunciate, il tacco 15. Una vittima del blaterare insulso fintamente moralista di gente annoiata. F. non viene spesso a scuola. Ha accumulato giorni di assenza che non le permettono di essere ammessa agli esami. F. ha il dolore schivo, nascosto in profondità, un abisso senza nome, una maschera di indifferenza che allontana chiunque voglia chiedere: perché…?
- non ha i segni dei tagli sulle braccia. F. non indossa il cappello in classe per attirare l’attenzione. F. non piange quando è interrogata perché non ha studiato. F. non scrive lettere alla professoressa per dirle perché sta male. F. non racconta neanche all’amica del cuore che la mattina, se non ha studiato a memoria tutte le materie, vomita prima di venire a scuola. F. non dice che ha difficoltà a studiare, che è lenta e fa fatica a tenere tutto a mente. F. non dice quel che sente, forse l’immagine da riscattare di una madre ingombrante, il desiderio di vivere altrove in un posto a sud del mondo dove altre madri cercano i loro figli ancora e ancora. Dove F. possa parlare nella nuova lingua così bene da sostituire la sua lingua madre. F. ha il viso spesso coperto da lunghi capelli bruni. Cammina a testa bassa, non fa ginnastica, non suona uno strumento, non ama la tecnologia. Sembra altera a chi la guarda e non la vede. F. ha quell’abisso sigillato nel silenzio, non consente accoglienza, non attira attenzione ma un giudizio superficiale, una certa antipatia, un’etichetta che ne spieghi quel gusto perverso di
sapere senza conoscere, di dire di lei e sparlare di chi le vive accanto, di punire qualcun altro attraverso lei, forse.
E in un piccolo paese questa sembra una vittoria.