Il frastuono nel silenzio, Martina Del Greco_Lograto(BS)
Finalista Premio letterario Enerrgheia 2024 – Sezione giovani
“…Dichiaro l’imputato incapace di intendere e di volere per ragioni che esporrò a
breve, tuttavia non resterà impunito. Pertanto le azioni scorrette e immorali compiute
per …” nell’aula di tribunale le urla della gente, indignata per il verdetto, coprirono la
voce del giudice, il quale a colpi di martello cercava di ripristinare il silenzio per
completare la lettura della sentenza. L’avvocato dell’accusa si aggiunse alla voce del
popolo, urlando: “Vostro onore non può cavarsela in questo modo! Questa è
un’ingiustizia nei confronti della mia assistita e di tutta la cittadina che vuole
giustizia!”. Il giudice, infuriato per la situazione creatasi, diede un ultimo colpo col
martello, per poi riconquistare l’autorità, e proclamare a gran voce: “La seduta è
sospesa, e il verdetto è rinviato a domani, in aula saranno presenti l’accusa, la difesa
e una sola testata giornalistica. Inoltre, Avvocato Brown, se si permetterà ancora una
volta di mancarmi di rispetto, sarò costretto a denunciarla per oltraggio alla corte e
mandarla fuori da quest’aula. Domani alle 9.30 la sentenza finale”. Detto ciò, il
giudice Campbell prese le carte dello scomodo caso che gli era stato assegnato, e
uscì dall’aula con il vociferare dei giornalisti e degli spettatori che lo osservavano con
occhiate di disapprovazione.
In aula, l’unico che non aveva detto nulla, era un ragazzo giovane, di circa vent’anni,
l’accusato.
Era seduto e ammanettato, i gomiti appoggiati alle cosce, la testa china e fissava il
vuoto assoluto. Aveva una corporatura snella, il viso scavato, i capelli in disordine e
occhi scurissimi. L’aspetto di un bravo ragazzo, anche se non lo era.
*
La sveglia suonò alle 7.15; Alexander si alzò da letto e, dopo essersi preparato, uscì
di casa per andare a fare colazione nel solito bar. Mentre si incamminava verso la
fermata dell’autobus, la sua vicina di casa si fermò in mezzo alla strada e lo guardò
male; decise di ignorare la questione, e procedette per la sua strada.
Arrivato a destinazione, prese un caffè nero e si sedette al solito tavolo, guardando
fuori dalla vetrata del bar che dava sulla strada principale. Osservando le macchine
sfrecciare e le persone che si affrettavano tra i marciapiedi, pensava a quanto fosse
caotica la vita, e come, invece, lui si sentisse un puntino statico. Vedeva gli altri
correre, andare avanti, mentre lui era sempre fermo in un loop quotidiano straziante.
C’erano una bambina che tirava il braccio della madre per portarla in una
pasticceria, e un uomo di affari che si sbracciava per chiamare un taxi, mentre stava
con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio. In tutto ciò, nel rumore e nella
frenesia della città, lui era fermo e in silenzio al suo tavolo, rigorosamente seduto da
solo come ogni mattina. Era stanco di tutto questo, non sopportava doversi confinare
in una straziante solitudine, che in fin dei conti non era tale. In quanto lui non era mai
solo. Qualcuno, a tenergli una sgradevole compagnia, c’era sempre.
Dopo aver passato il resto della mattinata all’università, decise di tornare a casa per
completare gli studi sulla meccanica quantistica. Tuttavia, quella sera, successe
qualcosa di inaspettato.
Alexander era seduto nel letto di camera sua; la stanza era in penombra e l’unica
fonte di luce era una abat jour posta sul comodino. Aveva quasi finito di studiare
l’ultima sezione di capitolo che gli mancava, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Non aspettava nessuno, perciò decise di ignorare la faccenda e continuare a
studiare, pensando che chiunque avesse bussato, aveva sbagliato indirizzo.
Nemmeno il tempo di ricominciare a leggere gli appunti, che il rumore si ripeté.
Inevitabilmente dovette alzarsi e dirigersi verso l’uscio. Davanti a sé trovò l’unica
persona che tollerava, Liam, un ragazzo che aveva conosciuto all’università e che
seguiva il suo stesso percorso di laurea. Nonostante si conoscessero da circa due
anni, Alexander non lo aveva mai visto fuori dal contesto scolastico, perciò, quando
lo vide all’esterno della sua abitazione, rimase sbalordito. Dato che non proferiva
parola, ma restava fermo sulla porta a fissare il ragazzo dai capelli rossicci, Liam
iniziò a parlare: “Oh buonasera, sono felice di vederti! Che calorosa accoglienza
Alexander grazie per avermi invitato ad entrare e non avermi lasciato fuori dalla
porta”. Detto ciò spinse il ragazzo, alto almeno due spanne in più di lui, ed entrò in
casa, andando ad accomodarsi sul divano del soggiorno. “Sai Alex dovresti
migliorare nell’accoglienza. Viene un tuo amico a trovarti e non lo saluti nemmeno…
a proposito hai proprio una bella casa, sai ti facevo più un tipo da arredamento total
white, invece è tutto così scuro e lugubre”. Alexander, che sembrò riprendersi tutto
d’un tratto, iniziò a parlare: “Come hai fatto a sapere dove abito Liam?”. Il ragazzo
dai capelli rossicci, dopo aver sbuffato e alzato gli occhi al cielo rispose: “Sai, esiste
una cosa chiamata segreteria della scuola, e non ci vuole molto ad abbindolare il
personale. E’ bastata una storia strappalacrime e sono riuscito a farmi dire il tuo
indirizzo, visto che qualcuno, di cui non faccio il nome ma è esattamente la persona
che ho di fronte, nonostante ci conosciamo da tempo, non ha mai accettato di
andare a fare qualcosa di divertente fuori da scuola… inoltre, se devo dirla tutta
anche quando dovevamo fare il lavoro di gruppo per il professor Davis avresti
potuto…”. Liam andava avanti a parlare e Alexander lo fissava, tuttavia non stava
più ascoltando il suo discorso. Lui ascoltava la voce, quella che non poteva fare a
meno di sentire, quella che, nonostante fosse un sussurro, gli bloccava ogni altro
tipo di ragionamento. «Lo vedi il suo sguardo? Non vedi la delusione? Non riesci
nemmeno a tenerti una persona accanto. Come sempre non ce la fai a vivere
normalmente. Anzi, tu non provi nemmeno a vivere, sei sempre fermo in un limbo tra
la vita e la morte, la luce e l’oscurità, il giusto e lo sbagliato. Non hai un posto nel
mondo. Osservi la tua esistenza che scorre andando avanti, la contempli, ma non la
vivi… riesci solo a creare dolore e delusione. La sua faccia, Alexander, osservala. È
una smorfia di disgusto, sei tu a creare ribrezzo, a far percepire agli altri quanto sei
marcio, sei tu che fai allontanare le persone da te». Alexander ascoltava, nel
frattempo osservava Liam. L’amico non aveva più il solito ghigno sarcastico. Aveva
la mascella tirata, il naso arricciato, lo fissava con uno sguardo nauseato. La
postura, da sciolta e amichevole, diventò rigida. Le spalle erano dritte, sembrava
trattenesse il respiro per non essere contagiato da qualcosa, forse la sua presenza,
o come suggeriva la voce, dal suo essere marcio. Liam era l’immagine del disgusto.
«Ora lo vedi che effetto fai alle persone? Lo percepiscono, sentono quanto sei
guasto. Non possiedi né un’indole buona, né una cattiva. Per questo nessuno ti si
avvicinerà mai. Chi vorrebbe stare accanto a qualcuno che permane in un intervallo
fra giusto e sbagliato. Non sai relazionarti, non riesci a capire come vivere la tua vita.
Fai un favore a Liam. Mandalo via». Tornando a osservare il ragazzo, dopo che la
voce tacque, gli sembrava lo stesso di sempre; tuttavia l’espressione di prima
l’aveva vista, e non poteva dimenticarla. Quindi, interrompendo lo sproloquio in cui si
stava dilungando Liam, disse: “Non dovevi venire qui. Vattene. Ora”. L’interlocutore,
mettendo a punto una faccia confusa, ribatté: “Alex scherzavo, non volevo
innervosirti. Dai non prendertela, lo sai che mi piace scherzare continuamente”.
«Mandalo via». “Inoltre non posso andarmene, prima ti devo dare una notizia, è per
questo che mi sono dato così tanto da fare per trovarti, io…”. «Ti ho detto di
mandarlo via, non sono stato chiaro Alexander? Caccialo. Subito». Il ragazzo, che
non sopportava più le due voci che gli parlavano, urlò: “Ti ho detto di andartene!”. In
seguito nel soggiorno calò un freddo silenzio. Liam, visibilmente ferito dall’irruenza
dell’amico, disse: “Bene. Me ne vado. Ti lascio l’invito che volevo darti sul tavolo.
Fatti sentire quando ti sarai calmato”. Detto ciò sorpassò l’altro e, senza degnarlo di
uno sguardo, se ne andò chiudendo la porta dietro di sé. «Lo vedi, non sai avere
relazioni umane». Alexander, innervosito, sferrò un pugno contro il battente della
porta, e, stringendosi i capelli, si accovacciò in terra mentre continuava a pensare a
ciò che aveva detto la voce. Aveva ragione. Non sapeva stare con gli altri, non
sapeva stare al mondo. Il suo permanere nel purgatorio, senza compiere una
discesa agli inferi o una ascesa verso il paradiso, lo condannava a un’esistenza
colma di incertezze. Lui viveva in un continuo “osservare” ciò che accadeva. Quando
si verificava un fatto che la società avrebbe ritenuto moralmente sbagliato,
Alexander si chiedeva perché venisse considerato errato e non giusto. Per questo
suo dubbio, la voce lo aveva sempre perseguitato. Difatti, l’indesiderata compagnia,
ogni volta che faceva la sua apparizione, sussurrava che il problema alla base della
sua vita, era il non saper scegliere uno dei due piatti della bilancia, il fatto che
Alexander non aveva mai capito, né considerava, l’importanza della distinzione fra
giusto e sbagliato.
Tuttavia, ciò che la voce non avrebbe mai rivelato, è che in realtà il confine tra buono
e cattivo è sottile, e lui non avrebbe mai potuto scegliere fra i due. Lo avrebbe
torturato continuamente su una scelta che nessuno può fare; in quanto non esiste
una differenziazione netta fra giusto e sbagliato. Dopo un fatto, la critica pubblica
costruisce due fronti (ad esempio buoni e cattivi di una situazione).
Successivamente, il “pubblico” si schiera da una delle due parti. Questi spettatori, a
loro volta, si dividono in due sottogruppi: coloro che sono fermamente conviti della
loro opinione (questi costituiscono la minoranza), e coloro che riconoscono una parte
di ragione in entrambi i fronti. Nonostante ciò, questi ultimi, seguendo il giudizio della
società, aderiranno a una parte, tenendo per se l’opinione della legittimità dei due
fronti. Quello che Alexander non aveva capito, è che è nella normalità non poter
scegliere fra giusto e sbagliato, buono e cattivo, luce ed oscurità. In quanto la
ragione non è mai completamente presente in una delle due parti.
Alexander si alzò da terra, prese l’invito lasciato sul tavolino e lo aprì. Era il pass per
un evento universitario in una discoteca. Non amava quel tipo di serate, tuttavia
doveva provare ad avere un riscatto sociale, o perlomeno andarci per il suo unico
amico.
Fuori dal locale più rinomato di Wadsworth, raggiunse Liam. L’amico lo guardò
incredulo prima di dire: “Alex, quale miracolo ti porta qui? Sei veramente tu? No, non
è possibile…sei un ologramma, un sosia, un alieno muta forma, oppure uno di quei
robot umani…” Mentre parlava si mise a pizzicare la faccia di Alexander, come se si
stesse accertando che fosse davvero lui. L’altro, interrompendo le innumerevoli
teorie fantascientifiche, disse in tono sarcastico: “Sì Liam, un miracolo: sono io in
persona, nessun essere soprannaturale”. Il ragazzo dai capelli rossi si mise a ridere,
e, prendendo l’amico a braccetto, lo trascinò dentro il locale. “Le solite
raccomandazioni, non accettare da bere dagli sconosciuti e divertiti Alex”. Detto ciò,
lo lasciò ai margini della pista, con la musica techno che gli perforava i timpani.
La serata proseguì tranquilla; Alexander prese un mojito e parlò con alcuni compagni
di corso universitari. Nonostante ciò, lui non amava i locali affollati, e non sarebbe
bastata la motivazione di un riscatto sociale, a fargli passare la sensazione di
disagio. Tant’è che la voce non tardò ad arrivare. «Non sei abituato a stare con così
tanta gente Alexander, non lo senti il peso al petto per l’ansia?». Il ragazzo tentò, per
la prima volta, di ignorare quel sussurro, focalizzandosi sulla folla in pista. Tuttavia
non ottenne il conforto che cercava. Tutti erano girati verso di lui. Lo fissavano.
Sembravano caduti in uno stato di trance. Avevano gli occhi spalancati e fissi, e
alcuni ragazzi avevano la testa leggermente piegata e la bocca schiusa mentre
continuavano ad osservarlo. «Ti fissano tutti, non credi sia il caso di fuggire come
sempre? Ascolta me, sono l’unico in grado di capirti». Alexander provò a
indietreggiare per andarsene, ma si scontrò con una ragazza che si trovava alle sue
spalle. Si girò di scatto per scusarsi, tuttavia davanti a sé trovò la solita espressione
di disgusto che odiava vedere nelle persone, e si bloccò prima di poter dire anche
una sola parola. La ragazza era bassa, portava un caschetto nero, indossava un
vestito argentato e lo fissava con due occhi verdi, disgustata. L’espressione era
sempre la stessa. Mascella contratta, collo ritratto indietro, naso arricciato e occhi
che trasmettevano il solo desiderio di mantenere la distanza. Questa volta, la
reazione di Alexander fu esplosiva, si infuriò. Non sopportava più che la gente lo
guardasse in quel modo sprezzante, senza che nemmeno lo conoscessero. «Senti
l’adrenalina Alexander? Portala fuori e usala per dare una lezione a tutti, solo così
smetteranno di guardarti in questo modo. Portala fuori». Prese la ragazza per il
polso e iniziò a trascinarla fuori dal locale. Lei opponeva resistenza, quindi strinse
ancora di più la presa, dandole degli strattoni per farla muovere. «Non così
Alexander. La spaventi e sarà più difficile. Usa una scusa». Il ragazzo la mollò
all’istante e, mettendo a punto uno sguardo angosciato, le disse: “Per favore aiutami,
una mia amica sta male nei parcheggi. Mi ha espressamente chiesto di chiamare
una ragazza… ti prego aiutami”. Lei rispose: “Va bene andiamo, bastava dirlo sin
dall’inizio senza tirarmi, mi hai fatto male”. «Fai finta che ti dispiace. Non lasciarti
coinvolgere, ricorda come ti ha guardato». “Scusami, veramente, non volevo. Sono
molto preoccupato per la mia amica”. La ragazza, vedendo lo sguardo mortificato
che Alexander aveva messo a punto, sembrò capire la situazione e seguì lo
sconosciuto.
Una volta giunti nei parcheggi deserti, nemmeno la brezza serale riuscì a placare il
fuoco che ardeva in Alexander. A peggiorare la situazione, arrivò un sussurro: «Ti
ricordi i suoi occhi Alexander? Ricorda gli occhi di tutti, il loro disgusto. E’ arrivato il
momento di far capire agli altri che non possono continuare a guardarti così.
Colpiscila». Così riafferrò il sottile polso della ragazza e la trascinò in un vicolo buio.
Lei continuava a urlare; Alexander non sopportava più quella voce stridula, perciò
con uno strattone la fece andare a sbattere contro il muro e, tenendola ferma tornò a
guardare il suo viso. Stava piangendo, mentre continuava a ripetere a bassa voce:
“Ti prego”. Questo, tuttavia, peggiorò la situazione. Aveva un’espressione
terrorizzata e gli occhi, gli stessi di prima, imploravano silenziosamente di lasciarla
andare. Alexander non poteva tollerare di nuovo quello sguardo, che lo fece
arrabbiare ancora di più, perciò urlò: “Devi smetterla di guardarmi così! Smettetela di
guardarmi!”. «Colpiscila». La ragazza continuava a piangere e implorarlo. “Stai zitta!
Ti ho detto di smetterla di fissarmi così!”. «Colpiscila Alexander. Avanti. Fallo». Lei
non smetteva di piangere, e il ragazzo non la sopportava più. Cedette ed eseguì ciò
che la voce gli diceva. Un colpo dopo l’altro, un pugno dopo l’altro. Ci fu finalmente
silenzio, una quiete che non sentiva da tempo. La pace interiore che non provava da
anni. Non avvertiva più il suo sguardo. La ragazza era riversa a terra, tuttavia non
aveva modo di osservarla in faccia per accertarsi se avesse realmente smesso di
fissarlo, in quanto il corpo si trovava in penombra. L’unica cosa che poteva vedere
erano le sue mani, quelle che la avevano colpita, forse più forte del dovuto. Erano
ricoperte di sangue rosso rubino. Osservandole, il fluido gli colò fino ai polsi.
Continuò a contemplare le sue mani, volgendole da un lato all’altro con estrema
lentezza. Era calmo, si sentiva in pace con se stesso, provava un sentimento
paragonabile alla felicità: non si sentiva così da anni. Si sedette sul lato opposto alla
vittima con la schiena appoggiata al muro, continuando a osservare le sue mani.
«Sei stato bravo Alexander». A quel punto il ragazzo sorrise. Era la prima volta che
la voce gli faceva un complimento e non lo rimproverava per il suo comportamento,
forse lo capiva veramente e sapeva cosa era meglio per lui. «Hai finalmente deciso
da che parte stare Alexander. Quella che ti ho sempre consigliato. Hai seguito la
strada di Samael, sei disceso agli inferi. Non sei felice?». A quel punto sentì altre
voci, voci umane, che parlavano, ma lui non le ascoltava, era impegnato a fare altro,
stava ridendo. Bastava così poco per trovare la serenità, doveva sin da subito
ascoltare la voce, prendere quella decisione tra buono e cattivo. Poteva finalmente
ridere, era felice, aveva trovato la pace. Continuò a ridere, anche quando qualcuno
lo costrinse ad andare al suolo e lo fece voltare pancia a terra immobilizzandogli le
braccia dietro la schiena. Non riusciva proprio a smettere. Era riuscito a trovare la
pace. Quando lo alzarono e lo costrinsero a salire in un’auto, Alexander era la
perfetta immagine di un angelo della morte: i capelli scuri scompigliati, le mani
imprigionate grondanti di sangue, i vestiti sgualciti e il sorriso stampato in faccia.
*
Il giorno dopo, come annunciato dal giudice, la sentenza fu pronunciata. In tribunale
regnava il silenzio. Campbell si sedette al bench, e iniziò a parlare: “Dichiaro
l’imputato Miller Alexander incapace di intendere e di volere. Le azioni immorali da
lui svolte, tuttavia, non resteranno impunite, l’imputato infatti sarà confinato in un
ospedale adeguatamente attrezzato per curare il suo disturbo di schizofrenia. Tale
malattia, la causa delle azioni da lui compiute, è stata diagnosticata grazie alla
perizia psichiatrica del Dottor Oliver Smith, primario dell’ospedale di Chicago, giunto
sin qui per poter svolgere una valutazione più dettagliata grazie ai suoi titoli di studio.
L’analisi ha fatto emergere nel soggetto il disturbo psichico di schizofrenia, il quale
comporta deliri di tipo persecutorio e allucinazioni visive e uditive, che
compromettono la capacità del signor Miller di prendere parte alla comunità senza
essere un pericolo per se stesso e per gli altri. La vittima, Lee Allison, ancora in
ospedale in prognosi riservata, riceverà un risarcimento per i danni subiti. La cifra di
tale risarcimento è ancora da accordare. La perizia del signor Miller potrà essere
consultata esclusivamente dagli avvocati dell’accusa e della difesa, con degli esperti
in materia, qualora si voglia richiedere un appello. Fino a prova contraria, la
sentenza è conclusa”. Il giudice Campbell stava per alzarsi e andarsene, quando si
ricordò della telecamera dei giornalisti e di quanto la faccenda lo avesse scosso,
perciò si risedette e disse: “Ci tengo a ricordare che in questa storia non c’è un
colpevole, bensì due vittime. In quanto non si può sempre assegnare la ragione o il
torto, ma il giusto si trova nel mezzo. Difatti il colpevole è solo uno: il disturbo, il
quale non è stato diagnosticato in tempo per prevenire una faccenda simile. Peraltro,
invito chiunque non stia bene con se stesso o non trovi una pace interiore, a
consultare qualcuno che lo possa aiutare, in quanto non è un segno di debolezza
chiedere aiuto. Invito tutti a osservare le persone che hanno intorno e offrire loro
supporto per qualunque cosa, dato che in un mondo come il nostro, in cui nessuno
regalerà qualcosa senza chiedere nulla in cambio, un po’ di empatia e bontà d’animo
non guasterebbe”. Detto ciò il giudice si alzò dalla sua postazione e, sfuggendo agli
sguardi dei presenti, uscì dall’aula.
Alexander, come sentenziato dal giudice, fu condotto in un ospedale psichiatrico.
Nonostante ciò, la sua situazione non migliorò. Si rifiutava di assumere i farmaci e
l’unica cosa che ascoltava era la voce. Ormai per lui quel sussurro era la pace
interiore; solo ascoltandola gli sembrava di tornare a quella notte, con le mani
insanguinate, quando era felice. La condotta in ospedale era pessima, si accaniva
contro infermieri e altri pazienti, fino a che la situazione divenne ingestibile e lo
confinarono in isolamento. Il giovane passava le giornate sdraiato nel letto a fissare
il vuoto, ascoltando la sua dolce compagnia, mentre aspettava l’arrivo della solita
infermiera che provava a fargli assumere gli psicofarmaci. «E’ il momento di tornare
ad agire Alexander, è il momento di tornare a provare quella adrenalina… la pace, è
il momento di tornare ad essere l’angelo della morte». Un sorriso comparve sul viso
del ragazzo, che aspettava impazientemente l’arrivo della sua prossima vittima