Il Frutto proibito_Omondi J.G.Ojwang
_Racconto finalista prima edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Mariella Silvestri
How will I know?
If my lair is a carpetbagger’s den,
Burrowing in my own backyard.
As I’m gastronomically entinced
In the afar field
He enjoys soul entertainment
Right in my own enclave!
He birdies disturbing my lawns
And when his heart throbs
Warmth he gets from my bird
Then pirouettes in ecstasy.
How will I know?
If my purrs being parried,
While the cat belches I satiation?
Don’t I cuddle enough?
Or has my milk curdled?
Yet milkshAkuodhae, she cajoles
Water, she cries and begs.
Her tongue is the cat’s toothbrush
MAkuodhaing his smile whiter,
And his leer broader.
How will I know?
If my trust nurtured the hurt
Isn’t this betrayal?
Blood I bay for not, war I detest
Blackjack anger I possess
I must do the needful.
If a rotten fruit exists in the pack,
How else can the rot be nipped?
If you eat the forbidden fruit,
Are you still worthy of God’s glory.
Quando Oketch arrivò a casa da Nairobi sua moglie lo salutò e gli prestò un’attenzione piuttosto caleidoscopica, divorando con gli occhi ogni parte del suo corpo. Egli sapeva che si sarebbe divertito cantando le canzoni della notte e tutte romantiche che gli piacevano.
La lasciò a preparare le prelibatezze di pesce affumicato e riso che egli amava e bighellonò verso la casa del suo amico Akuodha.
Questi era stato suo compagno di classe, ma, dopo essersi guadagnato una certa fama per aver ripetuto più volte alcuni anni scolastici, aveva vergognosamente abbandonato la scuola al settimo anno e si era sposato poco dopo.
Oketch ridacchiò al pensiero che le maldestre credenziali scolastiche del suo amico lo avevano reso persona indesiderata in qualunque paese che non fosse il suo. Anche nella sua patria la sua esistenza era più un obbligo che una benedizione e i suoi innumerevoli figli avevano le pance gonfie come conseguenza della miseria in cui si dibattevano. Ciò significava che il suo paese appartenente al Terzo mondo avrebbe dovuto continuare a bussare alle porte dell’opulento occidente per nutrire il suo esercito di figli. Oketch sospettava che Akuodha stesse lentamente scivolando nelle fauci della morte grazie a un fiasco ereditario della sua sciocca moglie. Era accaduto che, quattro anni prima, un certo professore di scuola superiore fosse morto lasciando una giovane moglie carina.
Le circostanze del suo decesso erano avvolte da un alone di scandalo riguardante i riti tradizionali che si mormorava non avesse seguito quando aveva eretto la sua casa divenendo bersaglio della “chiira”.
Durante il suo funerale aitanti giovanotti affollarono il luogo della sua sepoltura per osservare con aria allupata la graziosa vedova e nel far ciò prestarono scarsa attenzione all’elogio funebre fatto dal padre dell’uomo morto. Egli rivelò ai presenti che secondo il referto del medico suo figlio era morto del peggiore dei mali, l’AIDS, e aggiunse che, pur non volendo impedire a nessuno di ereditare la moglie di suo figlio, riteneva che certamente quello sarebbe stato un atto pericoloso. Pochi giorni dopo il funerale, Akuodha ed altri cinque uomini si presentarono dalla vedova. Nessuno di loro ne rimase deluso.
Quando Oketch venne a conoscenza di ciò che aveva fatto il suo amico provò una profonda amarezza, ma i suoi tentativi di ficcargli in testa un po’ di buon senso furono respinti sdegnosamente da Akuodha che sostenne di aver semplicemente esercitato i suoi diritti come membro effettivo della società. Egli, inoltre, criticò aspramente Oketch per aver anteposto la sua istruzione a tradizioni tanto ben congegnate e diffuse dai loro antenati. Oketch si rese conto che sarebbe stato tempo sprecato
continuare a tentare di far ragionare una persona tanto ostinata quanto ignorante e decise che avrebbe mantenuto il segreto sulla faccenda.
Tre anni dopo la morte di suo marito anche la consunta vedova passò a miglior vita. Tale fu la paura della morte di Oketch e il suo amore per la vita che egli decise che quella sarebbe stata l’ultima visita a casa di Akuodha. Egli non voleva essere in contatto con qualcuno che aveva il capo circondato dal mantello della morte e che avrebbe potuto divenire contagioso.
Trovò Akuodha che curava il suo orticello mentre intorno alla casa dalle mura di fango i suoi lerci figli continuavano a urlare al ritmo interminabile dei giochi infantili. Tutto ciò che si trovava intorno parlava di tetraggine e decadenza.
“Ciao”, lo salutò in dialetto conoscendo la paura mortale di Akuodha per qualunque cosa assomigliasse sia pur vagamente alla lingua inglese.
Si ricordò di come Akuodha si agitasse febbrilmente in classe per produrre una frase completa in inglese e a quel pensiero sul volto gli passò un sorriso che Akuodha interpretò come un segno della felicità che Oketch provava nel rivederlo.
“Ciao”, rispose Akuodha mentre un sorriso sincero gli illuminava il volto.
“Parecchio che non ci vediamo. Come butta?” si informò Oketch, ma voleva solo essere educato. La ragione principale per cui si era recato da Akuodha stava nel fatto che questi era una potente fonte di informazioni, sempre aggiornata su tutto ciò che avveniva nel villaggio, persino nelle camere da letto. Per esempio, una volta aveva raccontato a Oketch che c’era un uomo anziano che aveva da poco sposato una giovane donna e che aveva l’abitudine di urlare durante il culmine dell’eccitazione.
Akuodha suggerì di andare nella casa dove avrebbero potuto comodamente chiacchierare, ma Oketch non voleva entrare in un luogo che ricordava coperto di fuliggine e impregnato di uno strano odore e disse educatamente: “In questo momento non mi posso trattenere a lungo poiché sto andando a casa di Awuondo. Perché invece non prendiamo uno sgabello e parliamo un po’ qui fuori dove l’aria è pulita e l’atmosfera corroborante?”
“Benissimo, un’idea meravigliosa” convenne Akuodha.
Mentre Akuodha andava a prendere gli sgabelli, Oketch guardò i bambini sporchi e provò un senso di pena per loro. Pensò con rammarico che se il padre fosse morto essi sarebbero stati destinati a una vita massacrante e, sebbene innocenti, sarebbero stati le peggiori vittime dei divertimenti romantici di un padre tanto egoista. Si disse che i frutti proibiti sono certamente molto gustosi, ma sono allo stesso tempo messaggeri di morte. Akuodha aveva compiuto un’altra azione esasperante in risposta alla moglie che lo aveva colpito con una scopa quando, essendo trascorso un mese dall’episodio si era ammalato. Egli l’aveva picchiata duramente, attribuendo la sua malattia alle ire degli spiriti malvagi attirati dal gesto della donna.
Mentre Akuodha gli porgeva lo sgabello, esaminò con attenzione il suo corpo alla ricerca di inesistenti eruzioni cutanee o segni rivelatori della sua malattia. Forse si stava sbagliando?
“Allora, amico mio, cosa c’è di nuovo al villaggio?” chiese Oketch.
Akuodha aveva cattive notizie per Oketch: aveva scoperto che la moglie dell’amico aveva una relazione extraconiugale. Akuodha una sera era andato a casa di Oketch apparentemente per chiedere quando Oketch sarebbe dovuto tornare da Nairobi. Mentre si avvicinava alla porta della casa udì delle risatine indistinte che provenivano dall’interno e facendo più attenzione capì che non si trattava della voce dell’amico. Avvicinandosi di soppiatto si accorse che i due erano in realtà impegnati in discorsi amorosi.
La sera seguente si ripeté la stessa scena e Akuodha ne fu testimone.
In seguito scoprì l’identità del giovane, che non aveva più di vent’anni ed era un cristiano osservante. Aveva provato disgusto pensando che lo stesso ragazzo che si comportava come Gesù in chiesa e parlava come Cristo dal pulpito potesse essere un Giuda in una delle istituzioni più rispettate e santificate dagli uomini, il matrimonio. Ciò fu la conferma definitiva che la chiesa era stata trasformata in un appuntamento in cui si facevano paragoni fra i miscugli religiosi e le astuzie sentimentali; il “più santo di tutti” beveva vino religioso e prendeva parte dell’aromatica acqua romantica della vita.
Con grande cura aveva provato varie volte come porgere la triste notizia a Oketch e poiché aveva un dono naturale per la retorica, ma era intimorito dalla reazione dell’amico, gli raccontò con grande astuzia di un individuo che lavorava in una città lontana mentre la sua cara moglie a casa lo tradiva.
“Ciò fa riflettere. Se fossi stato in lui avrei fatto la donna e il suo amante a pezzi”, disse Oketch.
“Invece io avrei semplicemente dato loro il permesso di sposarsi”, intervenne Akuodha.
“Fesserie. In realtà, pensandoci bene, avrei castrato l’uomo e l’avrei lasciato continuare a gustare il frutto proibito”.
“E’ una cosa bestiale”, disse Akuodha.
“Bestiale? Se questo è orribile, allora è più orribile entrare in un giardino proibito. Un atto immorale può essere purificato soltanto con una vendetta ugualmente bestiale. Pensaci bene, come può qualcuno in possesso di tutte le sue facoltà entrare nei luoghi santificati del matrimonio per sfogare le sue voglie sessuali quando ci sono tantissime belle donne non sposate dappertutto? Questo è un corteggiamento disastroso. Oso dire che una tale persona dovrebbe addirittura essere incatenata e scaraventata in un luogo orribile come preparazione ai fuochi incandescenti dell’inferno!”
Akuodha allora informò con cautela Oketch di come aveva scoperto che sua moglie aveva un’amante. Egli intenzionalmente fece contorcere Oketch dal dolore narrandogli di come avesse sentito la donna urlare di piacere tra le braccia del giovane. Il disgraziato si chiamava Agwambo ed era il nipote del pastore della Chiesa Avventista del Settimo Giorno del villaggio.
In un primo momento Oketch confutò violentemente la storia di Akuodha, ma questo nonostante i suoi difetti intellettuali non era uno sciocco.
Un giorno aveva portato Awuondo a prendere atto della scena profana, sapendo che la testimonianza di una seconda persona si sarebbe rivelata utile ed ora aveva detto ad Oketch di chiedergli conferma dei fatti.
Inoltre, Akuodha difficilmente prestava attenzione ai pettegolezzi e Oketch sapeva che egli era sempre meticoloso quando si trattava di verificare certe voci particolari. Non gli avrebbe raccontato un fatto così grave senza essersi accertato della sua autenticità.
Oketch stette per più di un’ora a rimuginare sulla triste notizia e poi si allontanò a grandi passi dalla casa di Akuodha con le gambe tremanti.
Provava una rabbia mortale e si ricordò del suo primo matrimonio. Akelo era la sua seconda moglie perché il suo primo matrimonio era finito per una vergognosa infedeltà coniugale. Aveva sposato la sua prima moglie al tempo in cui non aveva ancora un lavoro fisso. Si erano incontrati
quando era tornato a casa per assistere al funerale di un parente e nel momento in cui la scorse si innamorò di lei a prima vista; il giorno dopo viaggiavano verso Nairobi come marito e moglie.
Otto mesi dopo il suo lavoro terminò e Oketch si ritrovò disoccupato.
Fu allora che sua moglie, che si era fatta stregare da un certo culto religioso, cominciò ad ignorare i suoi doveri coniugali. Divenne una fanatica praticante di quel culto a spese del benessere di suo marito e quando un giorno Oketch si ammalò lei si rifiutò di curarlo, sostenendo che i suoi doveri verso la chiesa erano più importanti della malattia di Oketch.
Sebbene contrario alla violenza, Oketch cominciò a picchiarla per ammorbidire la sua incipiente ma tenace testardaggine. Ma egli subì un duro colpo quando si rese conto che le botte non avrebbero risolto il problema.
La donna si rifugiò nella casa di un vicino e il giorno dopo Oketch la fece licenziare dalla ditta in cui le aveva trovato un lavoro saltuario.
Sperava che ciò l’avrebbe fatta tornare da lui col capo coperto di cenere. Ciò non avvenne.
La ragione principale per cui Oketch si rifiutava di venire a più miti consigli per quanto riguardava il suo matrimonio ormai moribondo era che sua moglie era incinta ed egli non vedeva l’ora di diventare padre. Un giorno si recò dal vicino che la ospitava per rimetterla in riga con i suoi soliti metodi, ma il forzuto lo avvisò minacciosamente che fin quando la donna si fosse trovata in quella casa Oketch non avrebbe avuto alcun diritto su di lei. Anche la donna gli disse con fermezza che lui non aveva più alcun diritto su di lei poiché anche il bambino che sarebbe nato non era il suo. L’umiliazione di Oketch fu totale. Come diavolo si era trovato coinvolto in un tale fallimento? Si rese conto che sin dal primo momento il suo matrimonio era stato un inganno.
Raccontò lo sporco affare al Presidente dello Stato e, armato di un suo mandato di comparizione, ingiunse alla fuggiasca di recarsi il giorno dopo dal Presidente. Con sua grande costernazione lei strappò la lettera. Come un pazzo raccolse i pezzi della lettera e li riportò dal Presidente che andò su tutte le furie al pensiero che una semplice casalinga avesse l’audacia di strappare le sue lettere. Ordinò ai suoi uomini di portargli l’idiota in qualunque modo: sulle sue gambe, trascinandola o in ginocchio.
Quando la ebbe davanti a sé ordinò di metterla in cella per due giorni in modo da ammorbidirla e alla fine del secondo giorno la donna parlò. Le fu chiesto se voleva riconciliarsi con suo marito e lei chiese due giorni per decidere. Fino ad oggi Oketch non l’ha mai più rivista. I tentativi per rintracciarla si rivelarono inutili e infine Oketch capì che il suo matrimonio era finito; la donna che egli aveva amato, prelevato dal villaggio e portato a Nairobi lo aveva piantato in asso.
Tre mesi dopo la fine ufficiale del suo matrimonio Oketch trovò un lavoro fisso con una prestigiosa azienda dell’area industriale. Una sua zia che abitava in una zona situata nei dintorni di Kisumu, conosciuta come Otonglo, gli fece conoscere la sua attuale moglie che egli sposò secondo
la legge. Avevano una bambina di due anni che si chiamava Joy e che era la vera gioia della sua vita.
Nel suo stomaco sentì gli spasmi del richiamo della natura e, comprendendo che non sarebbe riuscito a raggiungere la sua casa prima che gli spasmi divenissero torrenziali, si tuffò nel più vicino cespuglio, a pochi metri dal sentiero. Mentre si stava liberando provò una grande amarezza per essere stato ingannato da sua moglie. Riallacciandosi la cintura dopo essersi alzato, Oketch si chiese se avrebbe potuto trovare abbastanza coraggio da picchiare sua moglie ed il fatto che picchiasse la sua prima moglie non significava che avrebbe potuto farlo ora. La violenza contro le donne non era nella sua indole ma se provocato poteva contraccambiare senza rimorso.
Ritornando sui suoi passi non si accorse dell’enorme serpente che si era agilmente avvolto a spirale lungo il sentiero con la testa sporgente, pronto per un balzo mortale. Lo calpestò e istintivamente fece un balzo.
La vipera scattò per sferrare il colpo mortale, ma spaventata da qualcosa che l’aveva toccata, mancò di poco una rana che rendendosi conto di essere sfuggita alle fauci della morte saltò via a velocità incredibile.
Infastidita dal fatto che un diabolico intruso aveva sciupato il suo record quale migliore cacciatore di prede, la vipera tentò di sfogare la sua collera sul nemico. Mentre si trovava a mezz’aria con i denti pronti per un colpo mortale Oketch la colpì con il bastone che portava.
La rabbia di Oketch fu tale che la colpì ripetutamente con tutta la sua forza. Quando ebbe finito il serpente era ormai ridotto in pezzi e la sua rabbia era notevolmente diminuita.
Oketch fu contento di aver portato il bastone. Anni di permanenza a casa durante la sua intera carriera scolastica gli avevano insegnato che era assolutamente necessario portare sempre un’arma con sé perché poteva rivelarsi utile anche nei momenti più inaspettati. Come ora, forse il serpente lo avrebbe morso se non avesse portato il bastone. Solo una volta non era riuscito ad usare l’arma che aveva.
Accadde intorno a mezzanotte quando Oketch stava riportando il suo tesoro a casa dopo essere stati in discoteca. Durante i giorni della scuola superiore Oketch scoprì che essere in una scuola di lusso, famosa per aver inserito il suo nome fra quelle che prendevano parte agli esami nazionali, gli garantiva una posizione invidiabile tra i suoi coetanei al villaggio, permettendogli di avere sempre la preda migliore.
Quella fatidica mezzanotte, dopo che Oketch aveva scortato la sua fidanzata a casa aveva incontrato un leopardo disteso lungo il sentiero verso cui si stava dirigendo. L’animale lo guardò con odio patologico e il fuoco sembrava ardere nei suoi occhi penetranti. Oketch si afflosciò per la paura e il suo intero sistema nervoso si paralizzò. Il machete che aveva cadde inutilizzabile al suolo e senza che se ne accorgesse Oketch si orinò addosso. Vacillò all’indietro nella direzione da cui era venuto con il cuore che batteva all’impazzata e appena fu sufficientemente lontano dal leopardo seguì un percorso alternativo, correndo a perdifiato verso casa. Raggiunta la sua umile dimora Oketch si inginocchiò e ringraziò Dio. Quel drammatico incontro di mezzanotte segnò anche la fine dei suoi soggiorni notturni e delle baldorie in discoteca.
Arrivò alla soglia di casa e facendosi forza per affrontare un possibile chiarimento aprì la porta, ma Akelo non c’era. Si guardò intorno ma non c’erano segni della sua presenza né di quella di Joy. Si sentì esausto e si sedette sul letto con la sua frusta preferita accanto a lui. Voleva saltare su Akelo con la frusta nel momento in cui avrebbe visto apparire la sua ombra sull’uscio, ma nell’attesa il sonno prese il sopravvento e si addormentò stressato dalle troppe emozioni.
Akelo tornò a casa e lo trovò che russava. Anche per lei l’infedeltà era stata un brutto colpo. Le piaceva il giovane che era diventato il suo amante, ma all’inizio voleva soltanto un rapporto di amicizia. Comunque, le barzellette occasionali che si raccontavano come parte del loro rapporto di amicizia li aveva trasformati in amanti appassionati. La relazione fiorì. Sebbene avesse deciso per ben due volte di interrompere la relazione sapendo che avrebbe potuto scombussolare il suo matrimonio, non aveva mai potuto trovare il coraggio di farlo, perché ogni volta la sua decisione si liquefaceva, quando si abbandonava sulle labbra succose di Agwambo.
Oketch non era un amante inesperto, anzi, era famoso per le sue avventure romantiche, ma trattava Akelo diversamente. Sin dal primo momento in cui la aveva conosciuta l’aveva trattata con la massima tenerezza, ma sfortunatamente aveva portato questa tenerezza fino nel nucleo fondamentale del matrimonio, il letto. Per questo motivo raramente erano entrambi soddisfatti dei loro rapporti sessuali, ma provavano imbarazzo nel trattare l’argomento che non avevano mai discusso apertamente e che si rivelò il vero tallone d’Achille del loro matrimonio.
Quando Oketch si svegliò sentì che il suo stomaco si contorceva spasmodicamente.
La velocità con cui si allontanò dirigendosi verso la latrina che era situata a pochi metri dalla casa sbalordì Akelo che era indaffarata a preparare il pranzo. Al suo ritorno Akelo preparò un brodo
di erbe amare e glielo fece sorseggiare, mentre lui faceva riposare il suo stomaco spossato disteso sul morbido cuscino di pelle del divano. Gli parve che il profondo sonno da cui si era appena svegliato avesse calmato i suoi nervi tormentati e gli avesse fatto abbandonare i suoi piani di riportare Akelo in riga con la frusta. In quel momento la sua mente fu attraversata da un altro piano così malvagio che il diavolo stesso si sarebbe congratulato con lui.
Non c’erano dubbi che Oketch fosse arrabbiato, ma la sua rabbia si spostò da sua moglie al fornicatore e alla chiesa a causa della quale aveva perso anche la sua prima moglie. Un’analisi critica degli eventi lo aveva convinto che la maggior parte delle chiese indipendenti erano incentrate sulla glorificazione personale e sulla ricerca di ricchezze e, peggio ancora, esse erano state trasformate in un luogo di appuntamento per “sorelle e fratelli”. Il satanismo aveva inevitabilmente condotto ad ogni sorta di peccati profani che venivano commessi sotto l’egida della chiesa, che per farla breve era diventata il trampolino di lancio dell’accumulazione di ricchezze e della seduzione delle donne, delle donne sposate.
Altrimenti, come mai i “fratelli erano così entusiasti all’idea di schierarsi con le belle sorelle?”
Oketch non provava altro che disprezzo per le sette indipendenti del villaggio per due motivi fondamentali. In primo luogo il gruppo di persone che detenevano il potere in tali chiese erano personaggi discutibili e non avevano la formazione accademica e le conoscenze teologiche necessarie per amministrare correttamente gli affari delle loro chiese. In secondo luogo la mancanza di credenziali accademiche significava che i leader delle chiese erano privi del contatto con le tendenze moderne.
Era verosimile sostenere, dunque, che alcuni degli anziani della chiesa, famosi per il loro potere di esorcizzare gli spiriti maligni, non fossero altro che imbroglioni. Durante le loro crociate per esorcizzare gli spiriti maligni i profeti spesso catturavano oggetti dall’aria circostante sostenendo con ciò di aver sconfitto gli spiriti mortali, ma una volta si scoprì che le cosiddette ossa umane altro non erano se non ossa di scimmie morte. I profeti spesso camminavano portando queste ossa e le lanciavano sui tetti delle case mentre pregavano. Per ottenere questo effetto comico esortavano i convenuti in preghiera a chiudere i loro occhi così che i poteri dello spirito potessero muoversi liberamente.
Terrorizzati e atterriti dalle forze soprannaturali i fedeli acconsentivano velocemente e si racconta che alcuni fossero così spaventati dalle forze maligne incarnate nelle ossa umane cadenti che collassavano e svenivano.
Gli anziani della chiesa allora attribuivano questi svenimenti alla forza colossale dello spirito e a conclusione di questi inganni spirituali la loro fama si diffondeva e il numero di coloro che affollavano i loro domicili cresceva. Ripensando a quegli episodi Oketch scivolò nuovamente nel sonno e sognò lo sfortunato incidente che aveva avuto luogo nel villaggio anni prima.
Lo sfortunato caso inflisse con diabolica ferocia un colpo satanico a due dei profeti, scuotendo le loro fondamenta religiose e costringendo la maggior parte del loro gregge a correre verso altre chiese. Il quartier generale della crudeltà satanica, che non era molto lontano dalla casa di Oketch, si trovava nella dimora di un vecchio sfortunato che aveva richiesto l’aiuto di uno stregone in un caso giudiziario riguardante una proprietà terriera che lo contrapponeva al suo vicino. Il mago seppellì una mistura composta da erbe, pelli, la testa di un pollo, ossa di varia provenienza
e la testa di un babbuino e convinse il vecchio che avrebbe vinto il processo.
Le cose, però, presero una piega drammatica quando il nipote preferito del vecchio morì, seguito subito dopo dal figlio, il padre del ragazzino, che per il dolore si tolse la vita.
La ferocia della mistura magica raggiunse il suo culmine quando, nel giro di una settimana, anche il vecchio crepò, colpito dal mortale boomerang della magia nera. I familiari del vecchio, allarmati dalla svolta degli eventi e sapendo che avrebbero potuto essere i prossimi candidati alla morte, invitarono lo stregone a rimuovere la sua magia dal luogo in cui l’aveva nascosta ed egli eseguì quello che gli veniva richiesto. Il miscuglio venne allora gettato nel vicino fiume, ma, imprevedibilmente, l’incantesimo continuò a espandere la sua fama mortale.
La sua vittima più famosa fu un ragazzo chiamato Adele il quale, mentre attraversava il fiume di pomeriggio per andare a trovare un suo amico, vide galleggiare una testa di babbuino. Improvvisamente avvertì un gran mal di testa e ritornò verso la sua casa come in trance, camminando come uno zombie. Nel tempo che impiegò per raggiungere il vano della porta il dolore era divenuto violento e non dava segni di poter diminuire; la sera stessa Adele era morto. La sua morte fu una triste perdita per il villaggio e un avvenimento gravissimo per la sua famiglia in quanto egli si era reso caro a tutto il villaggio per la sua gentilezza, la sua onestà e la sua educazione. Egli era ancora uno studente della scuola superiore del villaggio e chiunque veniva a conoscenza della sua morte ne rimaneva scioccato e incredulo. La morte li aveva privati di un vero fiore proprio nel momento in cui stava per sbocciare e se Adele fosse rimasto in vita, certamente sarebbe stato destinato a una vita di successi e gloria.
Adele però non fu l’unica vittima della magia nera in quanto chiunque la incrociasse lungo il fiume ne veniva inesorabilmente colpito. Quell’incantesimo divenne simile a un venditore ambulante che commerciava con la morte e la vendeva.
Al tempo in cui la magia letale aveva raggiunto il suo culmine essa aveva provocato otto vittime e nessuno stregone locale osava toccarla per paura delle conseguenze. Lo stregone che l’aveva creata viveva a centinaia di chilometri di distanza e non fece alcun tentativo di renderla inoffensiva neppure quando venne a conoscenza del suo impatto mortale.
Disse solo che la sua forza sarebbe lentamente scemata e gli abitanti del villaggio non avrebbero dovuto temerla. Per molto tempo nessuno osò attraversare il fiume della morte per tema di conseguenze mortali da parte della mistura; la morte galleggiava sul fiume ed esso fu soprannominato il “fiume proibito della morte”.
Avvenne allora che due leggendari profeti decidessero di afferrare l’opportunità di espandere la propria fama in quanto, rendendo inoffensiva la magia nera, essi avrebbero potuto iscrivere i propri nomi nell’olimpo del villaggio e guadagnare un gregge più numeroso che avrebbe consentito loro di accumulare una fortuna. La sete di denaro placò velocemente la paura delle probabili conseguenze della rottura dell’incantesimo e presto si sparse la voce che gli uomini di Dio avevano ricevuto l’incarico dallo Spirito Santo di liberare il villaggio dal giogo della virulenta magia.
Nel giorno stabilito i due intrepidi eretici scesero verso il fiume per dare una sepoltura spirituale allo spirito maligno. Nessuno seppe dire come fosse arrivata in quel punto del fiume, ma come per dare una risposta alla loro chiamata improvvisamente apparve la testa del babbuino.
Uno dei due fratelli, come posseduto da uno spirito, sollevò la magia nera dall’acqua e, dopo averle “rubato i suo poteri maligni nel nome di Gesù Cristo”, la lanciò all’estremità opposta del fiume dal punto in cui la riva scoscesa le consentì una rapida immersione nella parte più bassa delle acque. Fu l’ultima volta che gli abitanti del villaggio la vedevano prima che venisse sferrato il suo colpo finale.
Il “fratello” che aveva scagliato la mistura magica nel fiume tornò indietro cantando formule rituali, ma mentre sorpassava la folla che si congratulava rumorosamente con lui, qualcuno commentò che appariva molto pallido. Egli però non dette segno di udire i loro saluti e continuò a mormorare. Il suo collega indovino lo accompagnò fino a casa a circa due chilometri dal fiume, ma appena vi furono giunti egli svenne e cadde in un coma da cui non si riprese mai più. Il giorno seguente anche l’altro fratello che improvvisamente aveva accusato un terribile mal di testa morì, così che i due divennero la nona e la decima vittima della magia nera anche se, fortunatamente per il villaggio, le ultime.
Oketch avrebbe potuto essere una delle vittime se fosse stato a casa durante l’ondata della magia nera in quanto amava attraversare il fiume per visitare alcuni dei suoi vecchi amici del villaggio che abitavano dall’altra parte del fiume.
Quando tornò a casa e apprese dell’alone di morte che la magia nera aveva lasciato troncò immediatamente qualunque rapporto con chiunque si trovasse al di là del fiume. Passarono circa due anni prima che attraversasse nuovamente il fiume ed anche allora lo fece con molte riserve.
Riflettendo sulla storia del fiume proibito, capì che chiunque usi il nome di Dio per la propria espansione subisce gli inevitabili tormenti della punizione divina nella carne e nelle ossa.
Si ricordò come il biblico Mosè avesse detto agli Israeliti che egli avrebbe fatto scaturire l’acqua dalle rocce piuttosto che accordare fiducia a Dio incorrendo così nella collera divina e quindi non c’era da meravigliarsi che la Bibbia ripetesse innumerevoli volte “risplenda la tua luce così che tutti possano vedere e glorificare Dio”. “Grazie Dio per il dono della vita”, disse.
In realtà Oketch stava calcolando il modo migliore per vendicare la profanazione del suo matrimonio santificato e la calma con cui elucubrava avrebbe fatto sorgere dei seri dubbi sull’ispirazione dei suoi pensieri; venivano da Dio o da Satana?
Si risvegliò e si accorse che il dolore allo stomaco si era calmato. Si sedette sul divano e poiché Joy era ancora addormentata non osò svegliarla per non provocare quelle sue interminabili moine che certe volte lo inebetivano.
“Tesoro, che stai preparando per oggi?”, chiese ad Akelo.
“Il tuo piatto preferito”, rispose Akelo con una voce piacevolmente deliziata.
Era stata presa alla sprovvista dalla sua domanda in quanto pensava che fosse ancora addormentato.
“Sono sicuro che sarà delizioso come te. Hai un dono naturale per la cucina. Credo che anche senza preavviso potresti sbaragliare il capo cuoco dell’hotel Hilton per quanto riguarda la cucina”.
Akelo gli indirizzò un sorriso smagliante che le illuminò la faccia mettendo in mostra gli splendidi denti bianchi che incantavano Oketch.
“Ti è passato il mal di stomaco?”, si informò.
“Sì, sembra che si stia calmando un po’”.
“Ma cosa hai mangiato?”
“Il cibo preparato da te”, ribatté deridendola.
“Sicuramente non il mio cibo. Come mai non è mai accaduto prima?”, protestò con vigore.
“C’è sempre una prima volta”, rispose con aria indifferente.
Akelo voleva lanciargli qualcosa, ma poiché non lo aveva mai fatto prima e non poteva prevedere la sua reazione ci rinunciò. Era molto orgogliosa della sua bravura in cucina e non le piaceva essere presa in giro su questo argomento. Mangiarono insieme imboccandosi l’uno con l’altro poiché dopo tre anni di matrimonio erano ancora innamorati.
Dopo pranzo Oketch visitò sei amici e luogotenenti fidati a cui raccontò del mostro che minacciava di distruggere il suo matrimonio e con i quali elaborò un piano per distruggerlo completamente. Se il piano avesse funzionato avrebbe dato nuova linfa al suo matrimonio. La sera seguente Oketch, sforzandosi di apparire calmo e sereno, prese l’autobus che avrebbe dovuto riportarlo a Nairobi e Akelo non sospettò che dietro la facciata di serenità ci fosse rabbia e desiderio di vendetta.
Dopo essersi assicurata che Oketch fosse partito per Nairobi avvertì la necessità di vedere Agwambo e si recò al mercato che era divenuto il loro punto di incontro essendo più sicura di sentieri proibiti in cui due persone sole avrebbero potuto destare sospetti. Lo trovò che la aspettava.
Egli parlò per primo “E’ andato?”, chiese.
“Andato come il vento” rispose.
“Ma il vento è imprevedibile. Potrebbe cambiare direzione”, la stuzzicò.
“Lascia fare a me. Lo conosco meglio. Ameno che qualcuno non muoia stanotte non lo rivedrò per i prossimi quindici giorni”, disse lei.
Era convinto. L’incontro serale era fissato per le otto e mezza. Di solito si vedevano a notte fonda, verso le dieci, ma quella sera lei non vedeva l’ora di assaporare quei baci elettrizzanti e aveva anticipato l’appuntamento.
Egli arrivò in anticipo di mezz’ora. Fortunatamente Joy si era già addormentata, ma temendo le conseguenze della sua presenza sui suoi incontri, Akelo aveva approntato un letto di fortuna per la figlia che aveva collocato ai piedi del letto matrimoniale.
Akelo si era resa conto di quanto la presenza della figlia fosse potenzialmente pericolosa una sera in cui giocando nel letto con Oketch come preludio per l’ovvio, questi si era inavvertitamente sdraiato su di lei facendola sussultare per il dolore. Sentendo sua madre sobbalzare Joy istintivamente si era sollevata e aveva rimproverato suo padre per aver fatto del male a sua madre lasciando i due coniugi di ghiaccio. Erano stati presi alla sprovvista dal fatto che fino a quel momento la loro bambina fosse stata al corrente delle loro capriole amorose. Da quella notte in poi Akelo si premurò di preparare sempre un letto di fortuna per Joy quando Oketch era a casa, prendendo una simile precauzione anche quando Agwambo veniva a trovarla.
Il giovane bussò nel modo convenuto e Akelo aprì la porta. Appena fu entrato la prese fra le sue braccia e la baciò voracemente toccandole e strizzandole il seno tanto da farla contorcere per il dolore. Per ritorsione tentò di dargli uno schiaffo sulla guancia, ma egli fu pronto a scansarla.
Evitò lo schiaffo e al suo posto trovò le sue calde labbra arrendevoli ancora una volta. Lei si appoggiò disperatamente sul suo petto mentre i baci la inondavano.
“Dovresti sposarti”, sussurrò il giovane.
“Lo sono già”, rispose lei.
“Possiamo cambiare questa situazione”, disse lui.
“Sei troppo giovane per me”, protestò lei.
“Ma sono comunque il miglior amante che tu abbia mai avuto”.
Lei fece un cenno di approvazione.
Essi non sospettavano che sei uomini in incognito si trovavano intorno alla casa e stavano analizzando la scena che si stava svolgendo. Avevano visto arrivare Agwambo, avevano sentito i colpi alla porta e l’avevano vista aprirsi oltre a tutto il resto. Uno di loro, Oketch, si trovava ora vicino al muro della casa e stava ascoltando ciò che i due amanti si dicevano.
Akuodha lo aveva avvertito di non avvicinarsi alle mura della casa per evitare di uccidere la moglie in un accesso di rabbia, ma la tentazione era stata troppo forte per lui. Ascoltava le parole romantiche che i due peccatori si scambiavano e provava un profondo senso di angoscia per essere stato ingannato dalla moglie fino a quel punto. Fece uno sforzo enorme per evitare di lanciarsi nella casa e distruggere il farabutto. Oketch non aveva intenzione di recarsi a Nairobi quella sera, ma poiché il suo progetto assassino doveva essere infallibile, decise di pagare l’intero biglietto fino alla capitale. Perfezionò il piano permettendo ad Akelo di pagare il biglietto e in questo modo la donna senza volerlo era divenuta il suo alibi nel caso in cui le cose fossero andate male. Era sceso alla prima fermata dell’autobus ed aveva preso un altro mezzo che lo aveva riportato al villaggio da dove, usando sentieri scarsamente frequentati, si era recato a casa di un amico. Questo, chiamato Rateng’, non aveva moglie e nella sua casa furono raggiunti dagli altri complici. Bevvero fino a raggiungere livelli impressionanti e se qualcuno li avesse visti dopo che ebbero finito avrebbe letto gli intenti omicidi sulle loro facce.
Alle sette e mezza, con largo anticipo, si schierarono intorno alla casa di Oketch e cominciarono ad abituarsi all’oscurità. Agwambo arrivò alle otto di sera e Akuodha esclamò giubilante “Ecco il fornicatore”.
“Lo ucciderò con le mie stesse mani” sibilò Oketch e zampettò verso il muro della casa non appena Agwambo vi fu entrato.
“Ti amo tesoro, sei tutto ciò che desidero in una donna. Sei per me tutto ciò che una donna dovrebbe essere”, disse Agwambo ad Akelo mentre
Oketch premeva la mano contro il muro per soffocare il dolore.
“Andiamo a fare pipì”, disse Akelo ad Agwambo. Sentendo queste parole Oketch ritornò di corsa al suo nascondiglio dove lo raggiunse Akuodha.
“Come può questo giovane avere la temerarietà di orinare con mia moglie facendo finta di niente?” Chiese Oketch soffocando la rabbia.
Agwambo e Akelo ritornarono in casa e Akelo gli diede il delizioso pasto, che teoricamente era stato preparato per Oketch, di cui ingoiò alcuni bocconi.
“Cucini bene”, si complimentò Agwambo.
“Ho preparato questa pietanza proprio per te”, disse Akelo.
“Lo sai tesoro, sei una cuoca di prima classe. Non ho dubbi che potresti fare carne tritata del capo cuoco dell’hotel Hilton di New York se vi trovaste in competizione”. Agwambo la stava elogiando.
Oketch che udiva ogni parola sentì le gambe cedergli. Il cibo non era stato preparato per lui? Non si era complimentato con la moglie usando le stesse parole? Non l’aveva imboccata la sera precedente nella stessa maniera in cui la imboccava il porco ora? Questo era imperdonabile e l’espiazione era l’unica soluzione. Nel frattempo, nella casa l’atmosfera era diventata rovente; il respiro di Agwambo era bollente come quello di Akelo a cui il giovane disse: “Ti ricordi quello che ti ho detto? Le preghiere vengono sempre esaudite. Ringraziamo Dio per il dono della vita e per il meraviglioso pasto”. Entrambi pregarono sinceramente.
Fuori una civetta chiurlò e come in risposta alcuni cani ulularono. Era una notte da fantasmi.
Akuodha sussurrò ad Oketch tutto eccitato “Come ti ho detto, pregano prima di compiere un atto sacrilego”.
Oketch era completamente impazzito “Che tipo di salvezza è questa?
Gli adulteri chiedono a Dio di benedire i loro atti nefandi?”
Agwambo nel frattempo stava ricoprendo Akelo con baci bollenti come un diluvio. Le strappò i vestiti mentre lei lo spogliava e Oketch che era ritornato nella sua posizione favorevole accanto al muro riusciva a sentire tutto. Strinse la bocca dal dolore.
“Vorrei mangiarti”, sussurrò Agwambo.
“Ti prego prendimi” implorò lei. Aveva fame di lui.
Dieci minuti più tardi Oketch sentì le sue urla di piacere. Fu sommerso da una grandissima rabbia e un profondo rancore e tremò per la tremenda violenza che si stava scatenando. “Come può questa donna urlare per questo giovanotto mentre non lo ha mai fatto per me?” Si chiese retoricamente.
Era così agitato che prima di accorgersene aveva dato un tremendo calcio alla porta e l’aveva scardinata.
Indaffarati com’erano i due amanti non udirono la porta che si rompeva mentre Oketch si precipitava nella casa e li sorprendeva completamente assorbiti nell’atto con Akelo che aveva le gambe sollevate per aria e si contorceva, si impennava, uggiolava e mugolava nell’estasi amorosa.
Lo slancio di Agwambo soddisfò l’appetito insaziabile di Akelo ma fece impazzire Oketch che, accecato dall’ira sferrò un calcio alla gabbia toracica di Agwambo. Il calcio spostò Agwambo lontano da Akelo e lo fece balzare dalla parte opposta del letto disegnando una maschera di dolore sul suo volto. La sua gabbia toracica era distrutta e Akelo capendo che c’era un’intrusione nella loro intimità, tentò di urlare ma uno degli uomini le mise la mano sulla bocca. Oketch allora la schiaffeggiò con violenza mentre tre uomini afferravano Agwambo e lo frustavano
continuando a sferrargli potenti calci facendolo urlare e piangere dal dolore. I persecutori erano tutti neri e irriconoscibili. Awuondo in falsetto, indicando Agwambo che sul pavimento si contorceva dal dolore, le disse “Non siamo ladri ma siamo venuti per rimettere in riga il porco”.
Sferrando un calcio alla mascolinità di Agwambo, Rateng’ gli disse “Questa è la fine della tua cleptomania sessuale. Sei veramente una persona immorale, indegna di vivere in questa società”. Lo colpì molto forte, ma Agwambo non poteva gridare perché i suoi torturatori lo avevano imbavagliato ad arte. Il suo volto era distorto dall’atroce dolore e cadde in coma. Il suo corpo era completamente ricoperto di sangue e lo legarono con le corde. Poi lo portarono fuori dalla casa nel gelido buio
e ad Akelo fu consigliato di tenere la bocca chiusa se non voleva fare la stessa fine. Lei serrò la porta, si buttò sul letto e pianse disperatamente per Agwambo.
Il corpo irrigidito di Agwambo fu ritrovato il giorno dopo sul greto del fiume accanto ad una testa di scimmia. Le esperienze dell’anno passato avevano scosso il villaggio che temeva qualunque cosa avesse a che fare con le teste di strani animali, quindi nessuno osò toccare il corpo fino a quando non arrivò la polizia e lo portò via. I risultati dell’autopsia rivelarono che era morto per le ferite interne e si credette che fosse incappato in una banda di ladri durante la sua uscita notturna. Gli abitanti del villaggio incolparono il maledetto fiume proibito.