Il futuro più sarà remoto più sarà open_Paolo Verri
_Mettere sul tavolo un titolo, e mandarlo in giro per email a più di venti amici che nel corso degli anni sono arrivati a Matera per il Premio Energheia, è stato un gioco relativamente semplice. Un accordo fatto in un minuto tra i fondatori e i sostenitori del Premio, arrivato a una tappa importante della propria storia – i vent’anni di attività segnano una parte significativa di esistenza per ciascuno! – e il Comitato Matera 2019, un ente necessariamente temporaneo, nato per uno scopo preciso, con una durata predeterminata: scegliere uno dei temi della candidatura a capitale europea della cultura e farlo declinare a narratori, saggisti, intellettuali, insegnanti, organizzatori culturali. Futuro remoto, tra i cinque capisaldi della candidatura, è stato il titolo prescelto, quello probabilmente più emblematico per rappresentare Matera agli occhi degli intelocutori. Ma anche gli altri quattro (Radici e percorsi, Continuità e rotture, Connessioni e riflessioni, Utopie e distopie) potevano dare modo a chi ha partecipato al Premio Energheia di contribuire alla riflessione su cosa oggi significhi fare cultura, a quali condizioni, con quali obiettivi. Perché se è vero che l’arte non vale come strumento, che assolve a funzioni simboliche e metaforiche, è altrettanto vero che sempre di più chi si impegna in cultura lo fa per un impegno ben preciso, pari a chi sceglie la scienza come ambito di lavoro. Sono imprese etiche a prescindere, sempre meno collegate al narcisismo e sempre più a un senso del dovere kantiano, che mescola la voglia di esaltare la bellezza del cosmo alla ricerca della vera identità e del vero ruolo che ciascuno di noi può e vuole compiere sul pianeta. Affrontare il tema del Futuro remoto implica quindi la nozione prioritaria di responsabilità: verso sé, verso l’Altro, verso la comunità, verso il paesaggio. Nessuno può pensare al futuro, questo vocabolo così apparentemente intransigente e obsoleto, senza provare un brivido di paura e tuttavia mettere in moto una insensata, piacevole, sconfinata energia. Proprio i sentimenti straordinari che ha generato e genera una città come Matera: l’idea di perdersi, di collassare, di diventare città fantasma, una Machu Picchu italiana ed europea; la possibilità di diventare un centro di futuro aperto, come recita il titolo del nostro secondo dossier di candidatura, in cui il futuro da remoto e primordiale diventa terreno di caccia per nuovi talenti, che non hanno paura delle sfide dell’umanità, e scelgono proprio la nostra città come una di quelle in cui sperimentare tutti i futuri possibili della cultura.
Una città aperta, in cui tutte le idee nate in questo libro possono essere discusse senza pregiudizi, senza precondizioni; dalla decrescita felice e necessaria, alle suggestioni della poesia di Rilke e ai Quattro quartetti di T.S. Eliot, opportunamente citati da Valeria Viganò. Il futuro remoto e il futuro aperto si saldano, in un terreno dove incertezza e speranza si confrontano e producono resilienza, capacità di reagire, di immaginare non solo i prossimi venticnque anni, sicuri che le previsioni saranno sbagliate, ma che la forza di volontà di donne e uomini onesti e sinceri sarà la base, la precondizione per un modello di convivenza nuovo, sperimentale, ottimo per il prossimo secolo.