I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2024 – Il generale inverno, Beatrice Ricci_Roma

Anno 2024 (Le stagioni: Inverno) – finalista

13 gennaio 1936 San Pietroburgo

Sono di nuovo qui, come da tradizione. La bàbushka adorava portarmi a pattinare sul fiume, e per il mio 18esimo compleanno sono qua dopo un anno che non c’è più.
Infilo i pattini e scivolo sulle lastre di ghiaccio, leggera come una piuma e con il vento che mi solletica il viso con il suo fresco abbraccio.
Dopo un po’ mi fermo e osservo chi mi sta intorno. Spicca un ragazzo con un berretto di lana in testa da cui escono dei ciuffi albini, che incatena il suo sguardo al mio e si avvicina.
Quando ce l’ho di fronte noto i suoi occhi celesti, dolci come la soffice neve appena caduta, che mi sciolgono. Mi rivolge un timido sorriso, così caloroso che mi ricorda le sere da bambina passate sorseggiando cioccolata calda, di fronte al camino della vecchia casa di famiglia.
In quel momento tra noi cade un fiocco di neve.
È arrivato l’inverno.

13 gennaio 1947 San Pietroburgo
Sono di nuovo qui, anche se il generale non vorrebbe. Infilo i pattini e provo a non pensarci, lui è a Mosca, non può farmi nulla, giusto?
Sto mezz’ora e poi corro a casa.
Adoro la mia città, l’ho visitata tutta, come se fossi una straniera qualsiasi, eppure, ogni volta che percorro queste strade mi sembra che sia la prima.
Un micio e un cane si rincorrono lasciando le loro impronte sul terreno innevato.
Supero il cancello del vialetto, ma quando arrivo alla porta mi blocco.
Alla fine apro e con mia sorpresa lui è lì, con solo il sigaro in bocca, seduto sulla poltrona.
Quando ci siamo innamorati eravamo entrambi appassionati di storia, ma dopo il nostro matrimonio, lui sosteneva che non ci fosse bisogno che studiassi e che dovessi imparare a stare a casa, a fare le faccende come la migliore delle domestiche.
Mi considera ancora sua moglie?
Mi rispondo che sicuramente sono sempre stata troppo paranoica, come dice lui.
Resto a fissarlo, con una mano ancora stretta al pomello della porta come se potessi davvero fuggire.
Solo che invece sono come un topo, preda di una civetta delle nevi.
Non ci sono vie d’uscita, anzi, in realtà non dovrei nemmeno cercarle, ma dovrei sentirmi accolta come quando ero più giovane.
I capelli bianchi e la pelle pallida dovuti alla carenza di melanina sono come quelli di una volta, ma gli occhi no.
Sono come due stalattiti che sembrano solo volermi cadere addosso per uccidermi. È freddo e austero, e ha la mascella tesa.
Si alza e tento di scusarmi per essere uscita senza dirglielo, ma mi tira uno schiaffo facendomi capire che devo stare zitta.
Mi afferra un braccio e mi getta a terra. Lo lascio sfogare, dopotutto sono sicura che è stata una dura giornata come ieri, o come l’altro ieri, o il giorno prima, e quello prima ancora, e ancora, ancora, ancora, e…
“Basta!”
Solo quando si ferma mi rendo conto di averlo urlato.
Non volevo alzare la voce, sono solo stanca. Stanca di tutto, ma sono sicura che se glielo dicessi capirebbe.
Allora perché esito?
Un forte bruciore alla guancia mi permette di ignorare quella domanda. Non devo pensare, solo ascoltarlo e aiutarlo in momenti di crisi come questo.
Mi merito le botte alla fine, se continuo a fargli del male.
Un’altra, e un’altra ancora, con dei rimproveri.
Continua finché non riesco quasi più a stare in piedi.
Il giorno dopo va al lavoro mentre cerco di curarmi le ferite al meglio delle mie possibilità.
Lo aspetto affacciata alla finestra aperta della nostra camera, mentre leggo “Il principe felice” di Oscar Wilde, il momento in cui la rondine preferisce morire a causa del freddo, piuttosto che lasciare la statua del principe da sola.
Vorrei che anche la mia rondine fosse così premurosa.
Guardo fuori e vedo un topino che tenta di nascondersi nella neve, ma il gatto è più veloce e lo afferra vorace.
Immagino che neanche questo clima ostile riesca a fermare la crudeltà del ciclo della vita.
Il generale attira la mia attenzione sbattendo il cancello e capisco che è arrabbiato anche oggi.
Un fiocco di neve cade sul mio gelido nasino.
È tornato l’inverno.