Il lavoro rende liberi_Anna Rita Chietera
“Mi piacciono le aragoste. Sono creature serie e pacifiche. Conoscono i segreti del profondo [….].”
Gérard de Nerval
«Bisogna cambiar vita».
A questo stava pensando Bruno, quando si accorse che la sua ombra aveva la testa piena di anguille guizzanti. Si era staccata dal muro e si muoveva con disinvoltura, tenendo al guinzaglio un’aragosta domestica. L’insolita coppia saltò in strada e camminò fino a dissolversi sulla linea dell’orizzonte, cedendo il passo ai raggi di un timido sole.
Bruno restò talmente scioccato da quella visione, che rimase a letto in uno stato febbrile per i successivi tre giorni, senza neppure giustificare la sua assenza dal lavoro. Ma proprio questa improvvisa consapevolezza lo convinse a scacciare l’indolenza e contattare la segretaria. Fatto sta che quella, alzato il ricevitore, non gli lasciò il tempo di esprimersi e cominciò a ringraziarlo per il caffè che le aveva offerto un paio d’ore prima. Inoltre prese a complimentarsi per l’intelligenza e la squisita educazione del suo adorabile animale domestico, Nespola. Bruno riagganciò in preda alla più totale confusione. Non aveva mai avuto animali da compagnia, lui. Per giunta quella mattina, aveva disertato il lavoro. Come avrebbe potuto offrire il caffè a Mariana?
L’unico modo per vederci chiaro era infilarsi i pantaloni, sciacquarsi perbene il viso e andare a vedere con i propri occhi cosa stesse accadendo. Si ritrovò, così, faccia a faccia con la segretaria.
Mariana lo osservò perplessa e gli chiese di mostrarle il suo badge. Guardò contrariata il ceffo che le stava davanti impalato ed alzò il ricevitore del telefono.
«Venite a prendervi ‘sto scemo! – Disse – Si spaccia per Bruno D’Alvise e vuole introdursi in azienda». Ma non ebbe neppure il tempo di riagganciare, che già due guardie giurate si erano materializzate accanto a Bruno come angeli vendicatori. I due energumeni lo portarono nel gabbiotto della vigilanza, dai cui vetri il povero malcapitato riuscì a scorgere una figura tristemente nota.
«Eccolo! È lui l’impostore!»
Gridò Bruno. L’ombra, allora, vedendosi smascherata, irruppe nella stanza.
«Sì, – asserì la gorgone – quest’uomo dice la verità. Io sono un impostore. È lui il vero Bruno D’Alvise! Si tratta solo di un’illusione ed io posso dissolverla quando voglio, vedrete! Ti chiedo scusa – disse poi a Bruno, chinando l’orribile capo. – Ridevo di te, compativo la tua scialba mediocrità, mentre sostenevi di voler cambiar vita. Ma adesso che ho avuto la possibilità di vivere nei tuoi panni, ho capito che sei uno schiavo, proprio come me. È possibile vivere incollati ad una scrivania per undici ore al giorno? Non ho avuto neanche il tempo di portare Nespola a fare una nuotata alla fontana. Eppure ce n’è una proprio qui fuori, nel vostro bellissimo parco… ma è sempre deserto. Che vuoi farci? Vi hanno incatenati ad una scrivania per pochi spiccioli, lasciandovi a malapena il tempo di godervi un po’ di riposo. Non alzate le chiappe da quelle maledette sedie, neppure per fare acquisti! Ma almeno, restando tappati in ufficio, vi risparmiate lo spettacolo di tutta quella gente celata negli anfratti, per mantenere inalterato il decoro della città. Sembra polvere nascosta sotto i tappeti, per accogliere un ospite inatteso. Sicuro, perché c’è da considerarsi anche fortunati ad essere legati a queste catene! Ognuno di voi lavora per due; pertanto la metà delle persone che vivono qui non ha un’occupazione, non guadagna e, di conseguenza, non può condurre un’esistenza dignitosa. Sempre ammesso che lo sia quella di voi impiegati! No, guarda, io me ne vado».
«E dove vai?»
Gli chiese Bruno.
« Non lo so. – Fece la gorgone. – Magari torno ad essere la tua ombra. In fondo anche Nespola stava meglio prima».
Un instante dopo, lui e la sua aragosta domestica erano già dissolti in una nuvola di bolle di sapone.
Le guardie giurate restarono immobili a guardare quello spettacolo. Mentre le piccole sfere esplodevano silenziose, Bruno D’Alvise, la sua ombra ed il fedele Nespola erano scomparsi nella fragile iridescenza delle bolle. Tutto era tornato di colpo alla normalità. Ormai era quasi ora di tornare a casa e Mariana, come al solito, fu l’ultima a lasciare l’edificio. Prima di timbrare, sostò un secondo accanto al tavolo allestito dall’agenzia di pompe funebri.
“Al compianto Bruno D’Alvise”
– I suoi colleghi –
Recitava il manifesto.
Mariana sospirò e decise di lasciare un pensiero sul libro firme.
Spense la luce ed uscì, seguita dalla sua piatta, triste ombra.