I brevissimi 2017 – Il nastro rosso di Sara Palmieri_Ravenna
anno 2017 (I colori dell’iride – rosso)
Ho fatto un pacchetto di te. Ho avvolto in una carta ruvida le foto, le lettere, una lista della spesa scritta di tuo pugno, delle musicassette e un orologio di sughero fermo sull’ora della tragedia ovvero del nostro addio: le 14,45 del 4 gennaio 1998. Un pacco anonimo che ho archiviato in un angolo dell’armadio e del cuore (sono archivista, le archiviazioni sono il mio pane!).
Non potevo però confezionare così semplicemente la storia più importante della mia vita e allora ho annodato intorno al pacco un nastro rosso, di raso, per avvisare chi un giorno lo avesse ritrovato dell’importanza del contenuto. Per me, ovviamente. Perché rosso? Perché è il colore della passione, dell’amore travolgente, metafisico e unico che ho provato per te, del cuore che sanguina ancora, della rabbia e della gelosia. Rosso è lo sfondo dei giorni trascorsi insieme e dell’ultimo all’aeroporto, quando respingesti il mio ultimo abbraccio. Rosso è il colore del tuo paese: la Spagna dei tori insanguinati nell’arena, in cui, da allora, non ho più voluto mettere piede. Ho cacciato quell’amore in un angolo e ho faticosamente ricominciato. Ogni tanto lui, l’amore, testardo, cercava di uscire dall’angolo ma io ve lo respingevo con forza fino a farlo sparire. Sì, perché tu non mi avevi dato speranze. Nessuna. Con quello sguardo freddo e ostile avevi detto basta senza un perché. E’ semplice, elementare: a un certo punto l’amore, così come è venuto se ne va. Se mi avessi dato una speranza, una sola, avrei trasformato il mio nome in Penelope e mi sarei seduta al telaio, a tessere trame per tutto il tempo necessario al tuo ritorno. Invece ho ricominciato. Un’altra vita. È vero, bastava un niente a rianimarti: una città vista insieme, una spiaggia, un discorso, l’accento spagnolo di un turista. Ma poco alla volta i dolore si è attutito, il dramma si è trasformato in farsa. Sono riuscita persino a ridere di me e ad amare un altro anche se tu sei stato amato nobis quantum amabitur nullo. Sono passati vent’anni. Poi un giorno, dopo settemilatrecento giorni, il tuo nome compare sulla mia mail. L’adrenalina alle stelle. Sorpresa, panico, gioia, esaltazione. Una folla di ricordi che mi viene incontro e quella assurda idea di riprendere in mano il pacchetto, sfilare il nastro di raso, sfogliare le lettere, guardare le foto. Come sarai adesso? Più grasso, più grigio, più vecchio? E se ti vedessi ti amerei lo stesso? Ancora? Ho paura della mia stessa risposta. Annaspo nella vertigine che mi provocano le tue parole. Come stai? Cosa fai? “E tu? – dico io – hai sempre quell’aria seriosa e dolcissima?” La memoria non è un’ alleata ma una impietosa nemica.
Ora riaffiorano solo i ricordi belli, quei baci appassionati in auto vicino al mare, tu che mi stringi la mano sul carro attrezzi dopo quell’incidente, noi che passeggiamo felici tra gli scavi di Pompei, tu che mi sfiori la guancia con una carezza mentre lavo i piatti in cucina, noi che mangiamo churros in un locale sulla scogliera, tu che mi accogli all’aeroporto la prima volta, la tua figura fine e distinta vestita di bianco che si staglia tra tutte, il vento caldo all’uscita che ci scompiglia i capelli e ci fa ridere, la scatolina dei Ferrero Rocher che mi fai trovare in macchina e che io conservo ancora…nel pacchetto, quello avvolto dal nastro rosso che ho imprudentemente riaperto. Lo so che mi converrebbe riannodare il nastro, richiudere il pacchetto e magari lanciarlo nel fiume che scorre placido e tranquillo vicino a casa mia mentre dentro di me infuriano lingue di fuoco. Anch’esse rosse e avvolgenti. Mi chiamavi “la mia piccola italiana” e se anche mi sapeva un po’ di fascismo a me così rossa anche in politica, mi piaceva tantissimo. Ora sono qui: sola, sperduta, spaventata e inerme. Forse ti spedirò quel pacchetto per liberarmi di te o forse no. Perché il nastro rosso è comunque – inestricabile – intorno al cuore.