Il nuovo Regolamento sull’Arredo Urbano nel centro storico_ Morelli Michele, Legambiente Matera
Il Prof. Amerigo Restucci raccomandava nel suo manuale ( “Matera, i Sassi Manuale del recupero” edito da Electa) di operare in termini di minimalità per non intaccare il paesaggio della città storica, cosa che non è successo e né si può sperare che succeda con il nuovo regolamento.
I Sassi e la città storica del piano propongono una condizione paesistica di estrema singolarità e
di indiscussa compiutezza. “Il fattore paesaggistico diviene dunque determinante nel
riconoscimento del luogo inteso come bene culturale“, così il Prof. Amerigo Restucci si
esprimeva (grosso modo) nel suo testo ” Sassi manuale del recupero ” pubblicato nel 1998,
adottato dall’amministrazione comunale nel 2000.
Il manuale nella sua narrazione tenta una corretta lettura del paesaggio così come si è
determinato a partire dagli anni cinquanta. Il “paesaggio abitato” descritto da Levi ( ripreso da
molti intellettuali negli anni cinquanta ) è certamente diverso dal “paesaggio disabitato” che
convinse Pasolini a girare il suo Vangelo. In un tale processo, anche il “rudere”, quale
componente essenziale del paesaggio che si è determinato dopo l’abbandono, assume un
significato (Prof. M.Tafuri ).
Secondo il Prof. Restucci “laddove l’adeguamento funzionale diviene rinnovamento, il paesaggio,
inteso come insieme di parti, rischia di perdere un suo essenziale connotato di qualità e quindi il
suo valore costitutivo… se ciò accadesse, l’intervento risulterebbe non auspicabile” .
Il carattere principale dunque “non staziona nei monumenti”, ma nel complesso contesto edilizio,
nei cosiddetti “vuoti”, nell’articolazione organica fatta di vicinati, piazze e piazzette, giardini, strade
e percorsi pedonali, di roccia grigiastra che spunta ovunque, di successione compatta di stili, di
continuità dell’architettura del piano.
Tutto ciò “costituisce l’ambiente vitale della città storica“ (concetto di città storica magistralmente
introdotto da Antonio Cederna nella prefazione a “I Vandali in casa” del 1956).
Se queste erano le premesse e le preoccupazioni del Prof. Restucci, a distanza di un quarto di
secolo dalla pubblicazione del primo (ed ultimo) manuale, il quadro che abbiamo difronte pone
molti dubbi sull’identificabilità del “bene”.
A Matera tutto è avvenuto nell’ultimo ventennio, con una accelerazione impressionante
all’indomani della nomina di Matera a Capitale Europea 2019. La città storica diviene oggetto di
interessi economici che inducono a importanti cambiamenti della scena urbana: “turistificazione”:
mercificazione dello spazio pubblico, “brandizzazione” dell’immagine urbana, espulsione
degli abitanti, sottrazione alla cittadinanza dei luoghi simbolici e autorappresentativi. Tali
cambiamenti saranno ( e sono) facilitati dall’assenza di una generale visione progettuale e
rinvigoriti dalla scarsa cogenza delle previsioni urbanistiche, se non dalla latitanza del piano.
Si assisterà, in questi anni, ad Amministrazioni comunali che hanno equiparato la urbs a merce,
la civitas a public company, la polis a negoziazione mercantile.
Neppure l’ambita nomina si rivelerà un’occasione per pianificare. Il Piano di Gestione Unesco
(adottato nel 2015) si dimostrerà inefficacie se non del tutto inutile nel controllo delle
trasformazioni.
Efficace, piuttosto, è stato (ed è) il brand Unesco.
Raramente gli interventi che si sono succeduti (sia di iniziativa pubblica che privata) hanno
dimostrato di aver colto l’essenzialità del “paesaggio” e di contribuire, con la dovuta attenzione, ad
un principio di salvaguardia.
La riduzione a merce dello spazio pubblico ha rappresentato, e rappresenta, un mezzo per
appianare le lacune di bilancio dell’ente locale (l’appalto dei parcheggi nel centro ha seguito la
stessa logica). I luoghi più rappresentativi, sono stati progressivamente devoluti a funzioni
commerciali e turistiche. Alla necessaria ed opportuna pedonalizzazione del centro storico, non
hanno fatto seguito i servizi di prossimità e un adeguato riassetto del trasporto pubblico. Politiche
urbane che hanno favorito il progressivo trasferimento degli abitanti (in economia e in particolare
nelle sue dinamiche speculative, la spiegazione sta nella rendita urbana nella sua versione
cosiddetta “differenziale”).
Nessuno ad oggi è in grado di proporre una lettura su quanto è accaduto e sta accadendo,
nessuno più studia ed analizza questi fenomeni.
In questi giorni è ripresa la discussione sul nuovo “regolamento sull’arredo urbano” del centro
storico. Il regolamento, come potete immaginare, non affronta il tema nella sua complessità, si
limita a disciplinare solo alcuni aspetti .
Non sappiamo se questo regolamento farà piazza pulita di tutte quelle targhe e targhettine ricordo.
Il ricorso a “ceramiche dipinte, anche di gustosa raffinatezza, non è certamente consono
all’austerità del contesto”, ricorda il Prof. Restucci nel suo manuale (se la mattonella risulta
incongrua, la “fontana dell’amore” voluta dall’ex sindaco dovrebbe essere qualcosa che va ben
oltre). Eppure è successo, sindaci, mecenati di ogni genere, hanno avuto modo di esprimere tutta
la loro sensibilità nei confronti del “patrimonio culturale”:
La cattedrale, ad esempio, è oramai da tempo “musealizzata”, sottratta al ruolo di
alfabetizzazione culturale e civile, invasa da pannelli direzionali che indicano il nuovo ingresso e
soprattutto la biglietteria .
Il tema più delicato, tuttavia, rimane senza dubbio l’uso dello “spazio pubblico” (inteso come
bene comune per eccellenza). Se prendiamo ad esempio i gazebi, gli ombrelloni, le pedane e
soprattutto il dehors, nel loro complesso tali elementi possono essere considerati incongruenti con
la storia del paesaggio. Così come oggi si presentano dimostrano l’incapacità del privato ( e dell’
Amministrazione comunale) di pervenire a quella silenziosa regola del “pubblico che, se percepita
con consapevolezza, consentirebbe il non dover imporre regole” (Prof. A. Restucci).
Questi elementi, sebbene significativi della fruibilità dello spazio all’aperto (la cui precarietà o il
discrimine fra temporaneo e definitivo diventa sempre meno percettibile) hanno determinato
una profonda trasformazione del centro storico.
La privatizzazione attuata con pedane, ombrelloni e dehors ha reso residuale lo “spazio
pubblico”, sovente limitato alla funzione circolatoria. In questo contesto il cittadino è ridotto allo
status di consumatore.
In riferimento agli obiettivi di rigenerazione della città storica, il Prof. Restucci raccomandava di
operare in termini di “minimalità” . Cosa che non è successo e né si può sperare che succeda
con il nuovo regolamento (l’ennesimo), anche se questa volta, a differenza del passato
(aggiungono i più fiduciosi) sono stati introdotti i cosiddetti coni visivi. Coni visivi risicatissimi e
del tutto insufficienti che riducono al minimo la “visuale” e la “fruibilità” dello “spazio
pubblico”.
Il passaggio da città-vetrina a città-merce sembra compiuto ed è irreversibile (almeno per il
momento). Matera è la risposta inoppugnabile alla domanda di Henri Lefebvre (autore del “diritto
alla città” edito nel 1968) che si chiedeva se la città “è merce oppure è opera di coloro che la
abitano”.
Lo “spazio pubblico” depredato e mercificato