Il premio più bellissimo di Anna Paola Lacatena
Ho sempre avuto una naturale predilezione per l’attesa.
Più del giorno di festa, apprezzo la vigilia. Più dello scalo la navigazione. Più della sicurezza l’indugio. Più della nascita la gestazione.
Assaporando l’intervallo tra l’arrivo a Matera e l‘inizio della cerimonia di premiazione, sediamo ai tavolini di uno dei tanti bar disposti uno dietro l’altro sulla via che conduce a Palazzo Lanfranchi. A pochi metri dall’ingresso del Museo Ridola due analcolici persi in almeno quattro cubetti di ghiaccio provano ad alleviare un anomalo caldo settembrino. Tutto intorno un profluvio di Spritz Campari.
Sbiadisce il colore delle nostre bevande al cospetto del ben più accesso arancione dei pur corrispettivi bicchieri posti sugli altri tavolini.
Alle parole si accompagnano momenti di silenzio in cui i nostri occhi si incontrano e si allontanano. È tale l’intimità tra di noi che non ha paura del vuoto anzi delle volte lo cerca come quando si cerca una stanza per rimanere un po’ da soli sapendo di essere comunque e ovunque a casa.
«Posso sedermi con voi?»
Non abbiamo mai visto quella persona ma non per questo la risposta si fa attendere.
Ti fai portavoce di un concorde ed immediato: «Sì.»
«Mi chiamo Michele e voi?»
È di Matera il nostro inatteso ospite. È piccolo di statura, il taglio di capelli fatto da poco, gli occhi curiosi che di tanto in tanto strabuzza, l’indice e il medio della mano destra ingialliti dalla nicotina.
Pochi minuti per sapere che è un professore di chimica, che ama lo sport, che ad ogni domanda sulla sua terra risponde con un bellissimo.
È bellissimo lo sport e la sua amata pallavolo. Lo sono i sassi e le chiese rupestri. Non può che esserlo quel premio a cui anche lui attende di partecipare.
Tira fuori una sigaretta e avvicina a sé il portacenere.
«Mi fai accendere?»
Restituisce l’accendino e prende a seguire le tracce di ogni sua lenta boccata.
Anche Michele sembra avere familiarità con il vuoto.
«Possiamo offrirti qualcosa?»
Mi risponde di no staccando gli occhi dal suo interlocutore solo per un attimo. A lui ritorna in un dialogato che ricorda due bambini al primo giorno di scuola.
In alcuni momenti ho come la sensazione che uno dei due possa tirare fuori dalle tasche dei piccoli modellini di auto, improvvisando una corsa proprio su quel tavolino.
Anche quando le riguardose curiosità sembrano concedersi delle pause, Michele continua a guardarti.
Sei tu il designato.
I tuoi modi lo fanno sentire al sicuro. La tua disponibilità alla conversazione gli regalano la certezza di aver fatto la scelta giusta.
«Bisogna fare attenzione, mettere la mascherina…” ripete il nostro ospite con il senso di responsabilità dell’adulto e la sincera speranza del fanciullo che l’accorgimento possa bastare.
Ancora qualche attimo e decidiamo di avviarci verso i Giardini di Ridola.
Prima di congedarci, lasciandogli l’intero tavolino entri a saldare il costo dei nostri analcolici.
Resto da sola con Michele.
«È bravo Piero, vero?»
Fende la barriera della mia mascherina un convinto «Sì lo è.»
«Bellissimo quando le persone sono così…»
Ci diamo appuntamento all’interno del Museo, nei Giardini.
C’è ancora tempo prima dell’inizio della serata. C’è ancora un po’ di spazio per la bellezza dell’attesa ma soprattutto per un’ultima domanda, tutta per te: «Vuoi essere mio amico?»
Sorrido mentre mi pare di sentire un brum brum di macchinine nell’aria.
Sediamo in seconda fila, mi imbarazza percorrere troppa strada tra l’enunciazione del nome e il ritiro del premio. Forse sono rimasta all’incoercibile imbarazzo che genera in me l’applauso tra lo spegnere le candeline e il tagliare la torta. Forse per questo preferisco la vigilia.
Ha aspettato anche Michele il momento giusto per lasciare la sua sedia delle ultime file e per percorrere con discrezione il corridoio. Ti è sbucato alle spalle per dirti: «Sono venuto per salutare il mio amico.»
Il premio più bellissimo.