Il riflesso del cielo_Immacolata Grimaldi, Viarolo(PR)
_Racconto finalista ottava edizione Premio Energheia 2002.
I
“Little by little the nights turn round
Counting the leaves which tremble at dawn
Lotuses lean on each other in yearning
Over the hills a swallow is resting.
Set the controls for the heart of the sun…”
Aprì la finestra e guardò fuori. La pioggia scendeva giù fitta e improvvisa nel caldo precoce di quel pomeriggio di aprile. Sì, era proprio la metà di aprile.
Il traffico di sotto era un accavallarsi di corpi frettolosi e auto fumanti dell’ira dei guidatori e dei gas che, mescolandosi alle gocce, le rendevano torbide e nauseabonde. Anche il cielo sopra i palazzi era torbido, una luce terrosa e sulfurea filtrava dalle nuvole: il sole cercava di liberarsi.
Eva si voltò. Il grande specchio alle sue spalle rimandava la sua immagine, piccola e scura, strana, in quella strana luce che entrava dalla finestra.
Un subdolo raggio di sole rimbalzò nello specchio e la investì, accecandola. Mezza stordita, Eva si sedette a terra e restò lì per un po’; quando si rialzò ridiede un’occhiata fuori, e vedendo che pioveva ancora decise di uscire a rinfrescarsi un po’ le idee.
Era bello camminare sotto la pioggia, con l’umanità intorno che fa di tutto per evitarla.
Evitò il centro, pullulante di fighette che cercavano riparo con continui gridolini, e cominciò a prendere strade interne che la portarono in periferia. La zona era deserta, polverosa e le strade spesso dissestate. I cassonetti straripavano di rifiuti, doveva esserci stato lo sciopero della nettezza urbana, e cani e gatti ne approfittavano con gioia.
Eva s’immaginò la savana d’Africa sotto una leggera pioggia… avvoltoi e sciacalli si avventavano sui resti del pasto di un leone…
“Meglio tornare a casa” si disse. Era tutta bagnata ormai.
Mentre si avviava verso la fermata del bus, se lo vide passare davanti: ad aspettarlo c’era solo un ragazzo, che trasse di tasca un biglietto e salì. Mezz’ora andata… rassegnata, Eva si sedette sulla panca ad aspettare l’autobus successivo, contemplando le scritte e i disegnini lasciati da chi, come lei, era costretto ad aspettare.
I suoi pensieri andavano agli esami incombenti. Il 19 giugno e la maturità erano vicini, e le cose da fare erano ancora tante… Quel flusso depresso si fermò quando scorse a terra qualcosa: erano una carta d’identità e un quadernetto pieno di appunti. Sulla carta c’era la foto di un ragazzino dalla faccia seria, si chiamava Davide e l’indirizzo era di una zona vicina al liceo di Eva.
L’indomani, dopo le lezioni, raggiunse casa di Davide… o meglio la serranda di Davide, perché quello c’era all’indirizzo scritto sulla tessera. Stava per infilarla in una fessura con su scritto “Dave Mail” quando si accorse d’essersi dimenticata del quaderno, quello degli appunti. “Dovrò tornare…” sospirò.
Ultimo sguardo alla tessera. Anno di nascita: 1979.
II
A casa Eva recuperò i pantaloni del giorno prima e prese il quadernetto. C’erano stralci di canzoni, pensieri fermati in attimi, flussi di coscienza scritti a volte con precisione e lucidità, altri confusamente, quasi visionari, in uno stato interiore in altalena fra realtà e nebbia. Erano frammenti di vita, di morte, di coma, affannosa ricerca di qualcosa. Cosa, lei non lo capì subito.
Verso sera tornò alla serranda e la trovò sollevata a metà.
Dall’interno proveniva, molto bassa, della musica. Erano i Sonic Youth.
Bussò e le venne ad aprire qualcuno completamente diverso dal ragazzino della foto… anzi… era lui, ma molto cambiato.
“Chi sei?”
“Sei tu Davide? Sono Eva… stamattina ti ho riportato la carta d’identità, l’avevi persa alla fermata dell’autobus… C’era anche questo ma l’avevo dimenticato.”
“Dave, chiamami Dave. Devo averli persi mentre tiravo fuori il biglietto. E tu cosa ci facevi là?”
“Un giro.”
Dave restò zitto. Guardò il quadernetto che Eva gli aveva riportato.
“L’hai letto?”
“Subito no. Solo poco fa.”
“Come ti è sembrato?” Era un po’agitato, si guardava intorno in continuazione e la sua voce era tesa.
“Mi ha dato un’idea di te.”
Dave la guardò. “Entra, – disse – vorrei farmene anch’io una di te.”
Dentro era una specie di basso, due locali usati come cucina e camera da letto e un bagno minuscolo. Oltre al logico lettone, in camera c’era un comò con su uno specchio, dei poster alle pareti e una chitarra elettrica in un angolo. Da uno stereo coperto da decine di cd arrivava ancora la musica dei Sonic Youth.
“E’un ex negozio, piccolo ma è il massimo per quello che guadagno.”
“Cosa fai?”
“Suono. E scrivo.”
Dalla cucina si accedeva ad un terrazzino di pochi metri quadri, incastrato fra i palazzi. C’erano tre sedie e un tavolino malconcio.
“Questo è il mio posto al sole, e anche se di sole ne arriva poco, ha una sua suggestione. Adesso però, parlami un po’di te.”
Solite cose… cosa fai, cosa non fai, dove vai. Maturità vicina per Eva, serate a suonare in giro per Dave. Passioni, odi, aspirazioni e realtà presenti.
“Ti piacciono i Sonic Youth?”
“Abbastanza, ma non ne so tanto. Conosco Beauty Lies In The Eye.”
Dave la portò in camera. Prese la chitarra e cominciò a suonare.
“There’s something in the air that makes you go insane…”
Usava le corde, come fossero parte delle sue dita.
“Piaciuta?”
Bellissima…
Intanto si era fatto buio. Eva stava per andare.
“Torna uno di questi giorni – le disse Dave – mi ha fatto piacere parlare con te.” Di nuovo la sua voce tradiva un certo nervosismo.
Tornando a casa, Eva pensò a tante cose. Dave aveva molto in comune con lei, e lo ammirava per le scelte che aveva fatto di starsene da solo e mantenersi con i mezzi che gli dava il fare qualcosa che gli piaceva. Era un po’ strano… Nervoso a tratti… ma Eva non ci pensò più di tanto.
III
Primo maggio, Roma.
Migliaia di mani alzate, vibrazioni, adrenalina serpeggiante facevano di tutti quei corpi un unico tutto in movimento. Ragazzi, adulti, qualche bambino che se la godeva un mondo in quell’euforia, vecchi sessantottini dalle guance segnate dal tempo per qualche momento tornavano indietro, ai “loro” concerti.
Piccole pause ogni tanto, e ancora l’ennesimo coro, l’ennesima pogata…
Eva era là con Dave e qualche altra conoscenza comune, più 400.000 facce mai viste con cui la si godeva un casino.
Musica, pelle d’oca, sentire, farsi sentire.. energia più forte di qualsiasi altra emozione, non può capire chi non l’ha fatto almeno una volta nella vita…
Ed era ancora più esaltante vedere che chi cantava e suonava là sul palco vibrava in ogni fibra per le stesse sensazioni di tutti quelli di sotto…
“All the faces, all the voices blur
Change to one face, change to one voice…”
IV
Il viaggio verso casa non era lungo. Ma dopo una giornata così, dopo ore passate sotto un palco… il treno era un letto provvisorio più che comodo.
Eva si addormentò quasi subito, appoggiata a Dave. Di fianco a lui, Martino. Nel sedile di fronte, il Red (Rossini), Mauro. Li conosceva da poco, ma non si sentiva a disagio, ci si poteva parlare. Ma il sonno era tanto…
Dopo un po’Eva si svegliò. Con gli occhi chiusi, lentamente tornò alla realtà e sentì gli altri che parlavano piano.
La luce biancastra dello scompartimento filtrava leggermente attraverso le sue palpebre abbassate.
“Lei lo sa?”
“No. Non ancora. Ma se ne accorgerà a breve, ha già cominciato a fare caldo e non potrò tenerglielo nascosto.” Era Dave. Martino ribattè:
“Secondo me era meglio che non ci conoscesse. Né noi, né te. È una tranquilla.”
“Ci ho pensato. Ma in poco tempo è diventata importante anche per voi. Quando sarà il momento lo vedrà da sé. Ma non voglio che parta con dei pregiudizi, meglio sta con noi e meglio capirà.”
Il Red ridacchiò. “La vedo troppo pulita per accettarlo, ma se sei tanto convinto di saperci fare… però il tuo faccino non ti aiuterà.”
“Me ne frego, idiota. Non l’ho mai sfiorata, sta diventando una specie di sorella..”
Martino sospirò.
“Le sorelle soffrono per i fratelli come te.”
Eva percepì queste ultime parole con il sonno che tornava…
Quando si risvegliò, il treno era fermo: dovevano scendere.
Non ricordava niente di quel risveglio.
Martino la guardava in silenzio.
V
La scuola ormai serviva a ben poco.
Eva preparava una tesina sull’emancipazione femminile dal secondo Dopoguerra ad oggi; argomento più interessante dell’evoluzione della fisica e della matematica, anche se qualche perfettino non era tanto d’accordo. Ma si sa, sui gusti non si discute.
La sera spesso andava a sentire Dave e gli altri suonare. Il Red era un bravo batterista, Martino cantava ed era la seconda chitarra. Mauro suonava il basso.
Nightilium.
Dopo i concerti il Red era sempre allegro e Dave intrattabile.
C’era sempre qualcosa che diceva di non aver fatto bene…
lo notava solo lui. Martino non diceva mai nulla.
A metà maggio, suonarono insieme ad altri gruppi in una manifestazione locale. Fu un successo, quella sera finalmente Dave era soddisfatto e sorrideva. Mauro era sparito poco dopo la fine, doveva incontrarsi con qualcuno; si era portato dietro il basso.
Eva andò con loro a cena, stavano tutti aspettando Mauro ma erano passate due ore e non si vedeva nessuno.
I ragazzi cominciavano ad agitarsi. Si guardavano l’un l’altro senza parlare, ma nei loro occhi si leggeva la stessa muta domanda. E ognuno di loro aspettava di averne la risposta.
Poi il cellulare del Red squillò. Era Mauro.
“Sono in caserma. Mentre tornavo, ho incontrato i carabinieri… qualche pezzo di merda deve averla cantata. Mi hanno controllato la custodia del basso e…”
“Porca puttana! Lo devo sapere io chi è stato, gli ficco le bacchette in gola e vediamo di cosa parlerà in giro! Io..”
Martino gli strappò il telefono dalle mani. “Aspettaci, vediamo di tirarti fuori.”
Il Red era incazzato come nessuno di loro lo aveva mai visto. Era quello che temevano fosse successo. Eva subodorava qualcosa, ma non chiese nulla. Andò con loro in caserma.
Nella custodia, assieme al basso, avevano trovato dell’eroina.
Troppa per una persona sola. Non avevano creduto a Mauro quando cercava di spiegare che non l’avrebbe venduta…
Il maresciallo guardava i ragazzi ed Eva. Fece tirare su le maniche a tutti. Guardò e sorrise: forse l’altro aveva detto la verità, l’eroina che avevano trovato poteva bastare per loro.
Guardò l’interno dei gomiti di Eva e agrottò le sopracciglia.
“Cosa ci fai con loro?”
Lei abbassò lo sguardo.
VI
Quella notte Mauro rimase agli arresti.
Dave non riusciva più a guardare Eva negli occhi. Gli altri andarono via, loro due camminarono in silenzio verso casa di Dave.
Lui si sdraiò sul letto, le braccia incrociate dietro la nuca.
Guardava il soffitto buio, i suoi occhi verde-azzurri fissi in profondità vuote. Non aveva neanche acceso la luce.
“Perché non me l’hai detto?”
Dave non rispose subito. Deglutì due o tre volte.
“Volevo che lo scoprissi da te. Tanto, col caldo non avrei potuto portare in eterno un maglione.”
“Non è una risposta.” Era seduta sul bordo del letto, guardava
Dave con occhi seri.
“Avevo paura che potessi farti qualche pregiudizio… all’inizio pensavo che non ci saremmo più visti, poi tutti abbiamo cominciato a trovarci bene con te… non lo so, temevo che se te l’avessi detto saresti diventata fredda…”
Lei non rispose e restò immobile, lacrime silenziose le rigavano le guance. Ma era buio, e Dave non se ne accorse. A tentoni accese una candela e mise su un cd.
“Let’s have a Black Celebration… tonight
To celebrate the fact that we’ve seen the back
Of another black day.”
Gahan cantava con la sua voce profonda. Eva pensò che anche lui si faceva d’eroina, e si chiamava Dave.
L’altro Dave si tormentava le mani. Poi disse:
“Adesso lo sai. Il giorno che ho perso la carta d’identità ero lì per quello… Spero solo non mi manderai affanculo.”
Lei sospirò.
“Dammi il tempo di smaltire la botta…”
Guardò l’orologio. Erano le due.
“Domani.. stamattina ho la simulazione della terza prova d’esame. Vado…”
Si alzò.
“Your optimistic eyes
seem like paradise
to someone like me..
I want to take you in my arms
Forgetting all I couldn’t do today.
Black Celebration…”
Eva richiuse piano la porta dietro di sé.
La strada fuori sembrava più buia del solito.
VII
Terza prova.
Non andò male, anche se Eva era riuscita a malapena a tenere gli occhi aperti e la mente concentrata su quello che stava facendo.
Sua madre si era preoccupata, ma forse solo perché le stava a cuore l’esito della prova, senza voler malignare troppo.
Eh già, quando c’è la scuola di mezzo, tutto cede il passo; l’aveva comunque riempita di domande riguardo la serata, quando l’aveva rivista a pranzo.
Eva non aveva mai parlato di Dave, né era il caso di farlo in quel momento. Sua madre già capiva a fatica lei e il suo modo di vestire, di essere, la musica che le piaceva, figurarsi se poteva capire Dave in quella situazione.
Eppure Eva era tranquilla nel suo essere così… non amava miti irruenti, vestiva di nero non per religione ma perché le piaceva e nascondeva meglio il suo corpo. Forse era proprio la sua calma diversità che provocava, sia in sua madre, che in altre persone, quell’inquietudine che spingeva a guardarla male.
Mentre mangiava, Eva continuò a pensare alla notte prima.
Quei brevi attimi in cui aveva dormito erano stati assaliti da visioni inquietanti, brandelli di ricordi le riapparivano all’improvviso, e fra questi il primo maggio, il concerto, il treno…
Il treno.
Sempre più nitidamente riudiva le voci e le parole che si erano detti durante il viaggio, ultimo sguardo prima di addormentarsi, e lentamente tornava anche la luce biancastra che filtrava attraverso le palpebre abbassate…
Le andò tutto di traverso, e cominciò a tossire disperatamente.
“Tieni, bevi!”.
Sua madre allungò un bicchiere e velocemente le versò altra acqua.
VIII
Eva tirò giù le tapparelle della sua camera e si mise subito a letto.
Quello stralcio tornatole alla mente non la consolava, serviva solo a farle sentire ancora più forte la stretta allo stomaco provata in caserma appena aveva visto Mauro.
Passarono tre giorni in cui non ebbe forza per decidere nulla. Non cercò Dave, chiese solo notizie di Mauro e le dissero che era stato rilasciato, in effetti aveva più eroina del “consentito”, ma non abbastanza da rientrare nel reato di spaccio.
Se l’era cavata.
Il giorno dopo, a pranzo, la madre salutò Eva con un sorrisetto malizioso.
“Ti hanno riportato un libro, sai?”
“Ah sì? – fece distratta – E chi?”
“Si chiamava… aspetta… non mi ricordo il nome… è magro, con dei begli occhi verde-azzurri… chi è?”
Era Dave.
IX
Le aveva riportato i “Racconti” di Poe. Eva li aveva letti e riletti mille volte, ma cominciò ugualmente a sfogliarli ancora; emanavano un fascino ad un tempo angosciante e sensuale, lucida visionarietà fatta parola, come nei testi dei Pink Floyd delle origini, l’incontenibile ebbrezza di Barret ristretta nelle righe di canzoni il cui fine è quello di penetrare l’anima di chi le recepisce… in vortice quasi catartico… quasi catartico… Nel libro, Eva trovò due foglietti, strappati dal quaderno di Dave: erano inseriti all’inizio di “Morella”. Che si apriva con Platone.
Se stesso, da se stesso, solo UNO eternamente.
La grafia era confusa…
“Piantami una lama in mezzo al petto, strappa via quel marciume che ancora si ostina a battere e cambialo con qualcosa che si possa chiamare cuore. Voglio un po’della tua luce, il sole vorrebbe bruciarmi e lo rifuggo… lo rifuggo come il vampiro ebbro di sangue all’alba… tu non mi fai del male, tu sei un raggio di luna entrato di striscio nella mia stanza, il tuo riflesso è rimasto sulle mura e io lo contemplo attratto e cereo… La tua luce non ha fisicità, sei solo un bellissimo spirito che etereo sta riempiendo le mie notti, se tendessi la mano svaniresti come falsa ombra.
Io, fratello per te, come il crepuscolo è fratello dell’aurora… lascia che dai miei polsi coli sangue su queste lenzuola bianche, guarda! Che cosa vedi? CHE COSA VEDI? Altro non è che l’eterno contrasto fra il candore che emani e la tua natura terrena…”
Eva trasalì. Dave aveva portato una fasciatura al polso per molti giorni…
“Niente, niente di più di ciò che mi dai e già non merito, lasciami respirare… Cos’altro posso donarti, se non le comete infuocate che a tratti brillano nella mia musica? Niente, niente di più. 27 aprile”.
Terminò di leggere il primo foglio con un senso di dolcezza, benché le mani le tremassero al pensiero di lui che si tagliava il polso. Anche se non avesse letto nulla, sapeva già cosa Dave le avrebbe detto, “Morella” bastava…
L’altro foglietto conteneva poche righe.
“Eva fu l’unica a capire che bisognava sottrarsi al perfettismo dell’Eden. E’stata lei l’artefice dell’umanità, è stata lei a trasmettere, attraverso i secoli, te, che mi sei sorella nell’anima.
‘Nel letto io aspetto ogni giorno un pezzo di te
Un grammo di gioia del tuo sorriso
E non mi basta nuotare nell’aria per immaginarti
Se tu sapessi, che pena…’
17 maggio”.
Eva sorrise malinconica.
Non si possono separare il crepuscolo e l’aurora. Essi sono uniti dal tempo.
Se stesso, da se stesso, solo UNO eternamente.
X
Era il 25 maggio quando Dave si sentì male per la prima volta. Svenne per qualche minuto, niente di grave all’inizio ma qualcosa cominciava a non funzionare più in lui.
Diventava sempre più pallido, ed esile. Alla sera rabbrividiva al primo alito di vento.
Eva poteva soltanto sperare che se ne facesse una ragione e smettesse di farsi d’eroina. Lui non lo ammetteva apertamente… ma la dipendenza si faceva sempre più forte.
Dopo la storia della caserma, la sorella di Mauro l’aveva tenuto a casa con lei per dieci giorni, senza lasciargli vedere nessuno: le crisi non furono un’esperienza facile. Ma era l’unica strada. Martino cercava di farcela da solo e ci stava riuscendo, non poteva fare a meno della canna, ma era come se in lui fosse subentrata una sorta di rifiuto verso la siringa. E fu importante il fatto che perse la testa per una ragazza, che teneramente lo ricambiava: per lui fu un motivo di purificazione.
Il Red semplicemente se ne fregava. L’eroina è la mia donna, diceva.
Dave forse aveva deciso di distruggersi poco a poco, fatto sta che Eva non ce la faceva a vederlo ridotto ad ombra di sé, continuava a suonare e a scrivere ma stavolta era diventata quasi un’ossessione…
“Dimmi perché! Solo questo, sapere perché!”
“Sapere, sapere!” Dave era duro, ma dentro stava tremando.
“COSA VUOI SAPERE? Perché mi faccio? Credi che ci sia un motivo! NON C’E’ MOTIVO!”
Eva strinse i pugni. “Non può non esserci… è come dire che vivi, suoni, scrivi, senza nessuna spinta!”
Lui si sedette a terra e la guardò fisso.
“Non puoi capire. Tu sei legata a questo mondo, mentre la mia unica aspirazione è lasciarlo. Stava succedendo già prima che ti conoscessi, ma tu mi hai quasi dissuaso… i motivi li sai.
Forse sono ancora qui per te, non lo so. Ho sofferto la perdita, uno ad uno, di coloro per cui provavo affetto, e la solitudine è stata l’unica mia compagna fedele.
Ho flirtato con la Morte finché essa non ha affondato il suo sguardo nel mio e mi ha sedotto definitivamente… L’eroina è un passaggio quasi indolore per arrivarvi…”
Dave appoggiò la testa sulle ginocchia. Eva gli si avvicinò e lo strinse a sé, il battito del suo cuore era debole, quasi impercettibile.
XI
Alla fine successe davvero. Mentre suonava con gli altri, Dave cadde a terra privo di sensi. Dovettero portarlo al pronto soccorso, ci misero un’ora per farlo svegliare. Quando in camera riaprì gli occhi, attaccato ad una flebo, si girò subito a cercare quelli di Eva, che era lì con Martino; il Red e Mauro, scossi, erano fuori in corridoio. Le fece cenno di avvicinarsi.
Dalla finestra il cielo azzurro si rifletteva negli occhi di Dave. Eva pensò che era tanto più bello, visto da lì…
“Lasciami morire…”
Le accarezzò piano il viso, e sussurrò ancora: “Lasciami morire…”
Eva non resse più. Uscì dalla stanza incrociando gli altri due che tornavano. Corse giù per le scale senza pensare a nulla, il riflesso del cielo in quegli occhi la gettò nella disperazione…
XII
Andò a casa di Dave, da dove erano andati via in tutta fretta un paio d’ore prima. Si sedette sul comò, come sempre ingombro di cd. Li guardò distrattamente, scorgendone uno che lei e Dave amavano: The Cure, live in Paris. Lo mise su direttamente dalla seconda traccia.
“It doesn’t matter if we all die…”
In un cassetto c’era il coltello che Dave usava per tagliare il fumo. Nel riflesso della lama, Eva si vide in volto un male lacerante.
“A prayer for something better
A prayer
For something better…”
La lama era sottile come il suo polso. Il sangue cominciò a colare, gli occhi di Dave fissi nella mente.
Era il 16 giugno, tre giorni dopo ci sarebbe stata la maturità.
Eva sorrise a quel pensiero.
Con la forza vitale che le gocciolava via poco a poco, Eva scrisse una frase sullo specchio: NON HO PIU’ BISOGNO DEL CIELO. L’HO VISTO RIFLESSO NEI TUOI OCCHI.
Cominciava a sentirsi sempre più debole. Ma il dolore fisico stava progressivamente attenuando quello che sentiva dentro…
“Over and over
We die one after the other
Over and over
We die one after the other one after the other one after the
other…”
L’ultima cosa che vide fu un subdolo raggio di sole che rimbalzava nello specchio rigato dal sangue di quelle parole.
Ma stavolta non la colpì.