Il sacco persiano
_di Roberto Vacca_
In un mercato arabo accadde che un persiano accusò un uomo di avergli rubato il suo sacco. L’uomo negava. Andarono dal giudice che disse al persiano: “Se è vero che questo sacco è tuo, dimostralo: dimmi che cosa contiene.”
Il persiano rispose: “Contiene 5 libbre di datteri, sei rotoli di seta, 7 statuette di ebano, un sacchetto di cuoio con dentro 10 monete d’oro. un altro sacchetto con cento monete d’argento, dieci pelli di vitello conciate, una zanna di elefante e venti tavole di legno di sandalo.”
Aprirono il sacco e conteneva alcune castagne e una pagnotta rafferma. Il persiano disse: “Devo aver sbagliato. Non è il mio sacco.”
In un mio sacco trovo il libro che scrissi nel 1995 “La politica è un’altra cosa: questa”. Non era tanto male, anche se non ebbe nessuna recensione. Ne riporto qui l’introduzione. Vedete se dopo 18 anni è rafferma o se ha ancora qualche senso.
“In Italia la politica è pensata e realizzata male. Se ne parla anche male. Si citano astratti: trasparenza, solidarietà, libero mercato, efficienza. Si scambiano accuse di nostalgia per vecchie ideologie. Sono stati incriminati molti corrotti (condannati pochi, però), ma non si fanno proposte serie di controlli migliori. Non si parla di competenza, contenuti, imprese nuove e, quindi, la politica è fatta male. Per fare bene la politica serve gente che abbia lavorato davvero: non vecchi arnesi, ex funzionari di partito, giornalisti modesti, semplici chiacchieroni o affaristi maneggioni. Per fare politica bene questo libro propone contenuti, non accordi di gruppi inefficienti e in- competenti sui problemi reali e muniti solo di etichette (neanche più ideologie). Certo le ideologie antiquate hanno fatto il loro tempo. Però dobbiamo smascherare i gruppi che dicono di rifiutare le ideologie e, in effetti, propugnano soluzioni autoritarie, favoriscono chi è già privilegiato (tassando i poveri più dei ricchi), intendono deprivare i cittadini di scelte e di cultura aperta. Queste tendenze conducono ad affermare verità di Stato e a sostenere: “Non c’è bisogno che pensiate: ora c’è chi pensa per voi.” Questi gruppi si riconoscono per la loro cultura scarsa e per l’incompetenza nei settori dell’insegnamento e della ricerca scientifica, che fioriscono solo in clima di libertà. Le libertà democratiche si basano sulla giustizia e sull’uguaglianza. Sono infrante se i governanti (anche liberamente eletti) si pongono poi al disopra delle leggi e affermano gratuitamente il loro primato. Spesso queste stesse persone manifestano in ogni campo la loro ignoranza dei meccanismi del mondo e delle procedure moderne per gestire situazioni complesse.
Le industrie avanzate stanno introducendo da anni con successo la gestione totale della qualità i cui principi e strumenti vanno usati per migliorare i servizi dell’amministrazione pubblica centrale e locale. I problemi complessi non possono essere risolti dagli incompetenti che non li capiscono. Con questo non propongo soluzioni elitarie o tecnocratiche. Potremo ricorrere ancora a referendum, ma basati su informazioni comprese davvero dai votanti. Luigi Stringa ha proposto che si facciano referendum telematici su questioni anche complesse, ma che la votazione sia preceduta da un esame: solo chi lo passa dimostra di aver capito i termini del problema e vota, se no, no. Sarebbe ragionevole discutere questa proposta senza scandalizzarsene.
Alla fine del 1994 governo e maggioranza mancavano del tutto di visione. L’opposizione non fustigava, né menzionava loro omissioni gravi. C’era da temere che anche l’opposizione andando al governo avrebbe trascurato i contenuti. Si criticava il governo per i favori fatti a corrotti e inquinatori; il presidente del Consiglio, che curava i suoi interessi privati, aveva un triplo monopolio televisivo, accusava di complotto chi voleva controllare il suo operato; lottizzava a ogni livello. Ma c’era ben altro e intanto la situazione non sta migliorando.
Non serve promettere di creare un milione di posti di lavoro. Quali posti di lavoro? Non certo per manovali e uscieri. Il rango di un paese si misura in base alla bilancia tecnologica dei pagamenti e alla creazione di valore aggiunto mirato a: alta tecnologia, software, conoscenza.
Nel settore dell’alta tecnologia, la Germania esporta il 15% del totale mondiale. La superano Stati Uniti (22% del totale mondiale) e Giappone (23%): l’Italia sta al 4%. In media tecnologia la Germania predomina col 22% del totale mondiale (USA: 16%, Giappone: 13% — e Italia: 6%). Ma per esportare più alta tecnologia occorre investire di più in scienza. L’Italia spende per ricerca e sviluppo l’1,4% del prodotto interno lordo [1] (i paesi industrializzati in media il 3%). Cosa più grave: metà della ricerca e dello sviluppo è fatta da enti pubblici, controllata poco e male. Per fare ricerca servono scienziati e tecnici. In Giappone, con 125 milioni di abitanti, si laureano 70.000 ingegneri all’anno. In Italia, in proporzione, dovrebbero essere 35.000: sono solo 12.500. Se non miglioriamo, continueremo a non competere efficacemente e a perdere terreno. Per produrre più ingegneri e scienziati servono buone scuole. Da noi sono poche e si laurea solo il 30% delle matricole (in USA è il 60%), e solo pochi docenti solerti lavorano per migliorare la qualità dell’insegnamento.
Si parla di privatizzare, ma non della vergogna nazionale che non esiste un politecnico privato fondato e condotto dall’industria, come l’MIT nel Massachusetts. Dovremmo ridurre le tasse alle industrie che investono profitti in scuole tecnologiche di alto livello. in USA, per evitare i licenziamenti, associazioni professionali e aziende organizzano corsi avanzati di riqualificazione di concerto coi Community College. Questi sono università (private o pubbliche) che hanno 12 milioni di iscritti. Non richiedono titoli o esami di ammissione, rilasciano titoli di studio di associato (di livello inferiore a quelli usuali), ma svolgono importanti funzioni culturali offrendo corsi sia di cultura generale, sia mirati a competenze professionali specifiche. In Italia i Community College non esistono.
Nell’arena internazionale ci sono grosse imprese da fare: rendere sicure le 98 centrali nucleari dell’Est europeo che rappresentano grave rischio per tutti. E un affare di 100.000 miliardi e nessuno ne parla, mentre l’industria nucleare italiana fattura poco: decine di miliardi l’anno. C’è da investire in imprese energetiche in Albania, Africa, Asia. Si tratta di imprese enormi e per affrontarle l’Italia dovrebbe promuovere grandi programmi di cooperazione europea. Servirebbero a creare posti di lavoro di qualità e contribuirebbero a risolvere i problemi energetici italiani ed europei. Ma i nostri commissari all’Unione Europea non menzionano nemmeno questi argomenti.
Invece si parla ancora di politica citando slogan, parole astratte, litigi, ripensamenti, rimasugli ideologici, possibili alleanze, mentre serve una politica che tratti i temi vitali citati. Alla radice di questa situazione sembra esserci il grande denominatore comune dell’ignoranza che, nel nostro Paese, abbraccia destra e sinistra, pubblico e privato. Per infrangerlo occorre una urgente rivoluzione della cultura. Occorre introdurre qualità non solo nell’industria, nell’istruzione pubblica, nella ricerca, nell’ amministrazione, ma anche nei giornali e nella televisione. Lo Stato dovrebbe almeno gestire una rete televisiva solo culturale (a tutti i livelli, come quella giapponese che trasmette 18 ore al giorno, 7 giorni alla settimana). Decisori pubblici e governanti vanno ingaggiati tra manager moderni capaci di aggiungere valore a ogni attività, non tra faccendieri dalle oscure connessioni, usi a rappresentare interessi inconfessabili, a trattare servizi volatili e a lucrare profitti facili.
Questo manifesto è una chiamata a servire rivolta a chi abbia un solido mestiere perché porti la sua competenza al servizio del Paese. Non vogliamo più rappresentanti che cercano solo di essere serviti e non hanno mai lavorato un giorno. Adottiamo la clausola “Cincinnato”: ogni eletto, dopo un mandato, torni a fare il suo lavoro. I tempi sono maturi: anche negli Stati Uniti è sorto un movimento che propone questa clausola (1).’ Qui parlo di contenuti in modi brevi e schematici. E un’innovazione grossa rispetto all’astrattismo della politica passata. Chi ne segue ancora le abitudini discute con chi accordarsi, ma non per fare che cosa. Non precisa obiettivi per poter mettere insieme gente di tendenze diverse. Così si fanno, disfanno o tentano alleanze di destra e centro, sinistra e centro. Alcuni gruppi (scarsi di idee e di programmi e incerti sulla propria collocazione) oscillano di continuo nelle loro proposte di accordo. E, raggiunti certi accordi, che farebbero? Senza piani meditati proverebbero soluzioni improvvisate, cercando senza successo di far quadrare i conti. La politica è un’altra cosa: in queste pagine descrivo obiettivi e procedure che dovrebbero essere fatti propri da chiunque abbia responsabilità di gestire la cosa pubblica. Sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. Occorre anche lavorare per una società più giusta, più aperta a idee diverse e innovative, più pronta a importare dall’estero soluzioni che abbiano dato buona prova (sono numerose: dagli Stati Uniti alla Spagna, all’Inghilterra, alla Francia, alla Svizzera).
Nell’ultimo capitolo propongo azioni che ciascuno di noi può intraprendere per diffondere punti di vista concreti e costruttivi. Non basta riunirsi in piccoli gruppi, anche se è essenziale creare gruppi e circoli cli persone attive e volonterose. Tutti i gruppi devono collegarsi. Oggi è possibile farlo spendendo molto poco, appunto: mettendo il proprio computer in rete. Lancio questa proposta anche sulle reti telematiche completiamola, miglioriamola, rendiamo moderna e decente la politica italiana. Se non lo facciamo, la nostra. società continuerà a degradarsi e scivolerà a velocità crescente sotto lo strapotere di affaristi e politicanti ancora più antiquati e ignoranti di quelli a cui siamo sta: abituati per troppi anni. Evitiamolo insieme.”
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(1) Nota del 2013: da allora gradualmente questa percentuale è diminuita
(2) Si chiama: Americans to Limit Congressional Terms, ha circa 200.000 aderenti. L’indirizzo è: ALCT, 1050 Langley Hill Drive, Langley vA 22101. Il telefono è 800 61S-ENUF: le ultime cifre “61S-ENUF” significano: “6 (annidi mandato) sono abbastanza”.