Il silenzio della cicala_Alessandra Pepino, Napoli
_Racconto finalista diciottesima edizione Premio Energheia 2012.
Il sentiero si offriva, brullo e desolato, al convergere dei raggi del sole di mezzogiorno. Il vecchio lo imboccò senza mai staccare lo sguardo da terra. Avanzava a passi lenti e sistematici, con le mani strette nelle tasche della tuta da lavoro e le dita della destra abbarbicate al manico ruvido della pistola.
Il silenzio degli uliveti, immobili nella canicola, era rotto a tratti dal canto di una cicala nascosta tra le cortecce odorose.
L’uomo si passò un braccio sulla fronte: oltre al sudore, sentiva di dover scacciare via anche il presentimento di un pericolo sempre più incombente. Quando si decise ad alzare gli occhi da terra si imbattè nel riverbero del sole e comprese di essere arrivato in cima alla collina. Gli ci volle qualche secondo per abituare la vista a quella luce improvvisa e invadente.
Fu solo allora che, finalmente, la scorse: la schiena appoggiata ad un albero, il viso smunto coronato da una zazzera di capelli biondi e sottili, lo sguardo sprezzante puntato dritto nel suo.
Vista da vicino, sembrava molto più magra di quanto gli fosse parso in precedenza. In tutti quei giorni, in cui l’aveva scoperta a spiarlo, non era ancora riuscito a metterne a fuoco i lineamenti: ora che ce l’aveva lì, a un paio di metri di distanza, gli parve di riconoscere la curva degli occhi, spiovente come una lacrima. Quando si accorse di aver stretto troppo le dita attorno al manico della pistola, tanto da sentire i polpastrelli intorpiditi, gli sembrò di aver riesumato un pezzo oscuro di se stesso che credeva ormai sepolto. Il sapore acre di una paura lontana nel tempo gli si attaccò al palato come colla velenosa. Cercò conforto nelle macchie di unto, annidate nelle fibre della tuta: come se quell’onesto sudiciume, figlio della fatica, costituisse la spia incontestabile della sua nuova vita.
Quando aveva ricevuto il messaggio anonimo con la richiesta, perentoria, di un appuntamento segreto, aveva subito capito che doveva avere a che fare con la sconosciuta dai capelli biondi, approdata da poco in paese e chissà da dove.
Ancora non conosceva il nome di quella ragazza ma aveva dentro sé la certezza di essere giunto dinanzi all’ultimo retaggio del suo passato.
Passò un tempo indefinito in cui il silenzio si mescolò ai pensieri di entrambi, stagnanti nell’aria rafferma.
– Come posso aiutarti? – le domandò il vecchio, spezzando quel tetro incantesimo.
– Non è più tempo per chiedere aiuto, né per me né per te. Se oggi sono qui, è solo per guardare finalmente negli occhi la persona che mi ha rovinato la vita – rispose la giovane, in una lingua che sapeva di un tempo e di un luogo che non sembravano più appartenergli.
La voce della ragazza era asciutta, priva di incertezze.
Reggeva lo sguardo del vecchio con l’imperturbabilità di chi non ha nulla da perdere. Cacciò dalla tasca una foto sgualcita e la tese nel vuoto, in attesa che gli occhi del suo nemico ci si ancorassero. I due volti ritratti nell’istantanea sembrarono staccarsi dalla pellicola fotografica e prendere corpo nella memoria dell’uomo che, un tempo, ne aveva stroncato il sorriso.
In silenzio, riflettè su come non si fosse sbagliato neppure quella volta. Riuscì ugualmente a rimanere impassibile, attento a non tradire la minima emozione.
– Li riconosci? – proseguì la ragazza, aprendosi in un sorriso inquietante – li hai ammazzati, neanche fossero due cani, all’incirca ventidue anni fa, nel corso di uno dei tuoi raid criminali. All’epoca avevo solo due anni. Hai idea di cosa significhi crescere da sola, con la consapevolezza che i tuoi genitori sono stati cancellati dalla faccia della terra come se fossero degli insetti? Di mio padre non ricordo praticamente nulla. Di mia madre non molto di più ma, almeno, conservo il suo profumo, proprio qui, nelle narici.
La ragazza mosse qualche passo nella sua direzione senza togliergli, nemmeno per un istante, gli occhi da dosso.
L’uomo sentiva il sudore colargli copioso lungo la fronte.
Quella inaspettata parata di accuse smuoveva macigni nella sua coscienza.
– E’passato molto tempo ed io ho cambiato vita. Dovresti saperlo: per essere qui, vuol dire che hai preso informazioni sul mio conto.
– Certo. So che vent’anni fa ti sei finto morto, hai abbandonato tua moglie e tuo figlio e sei emigrato qui, sotto falso nome. So che ti sei rifatto una famiglia, che adesso hai anche dei nipoti. So che ti sei trovato un lavoro onesto, guadagnandoti il piatto a tavola, proprio come fa una persona per bene – la ragazza si fermò per un attimo, riempiendosi di quel momento che aspettava da tanto – Al contrario, sono tante le cose che tu ignori di me e che forse sarebbe bene che conoscessi. Prima però, non voglio dimenticare di farti i miei più sinceri complimenti: anche se è piuttosto azzardato attribuirtene il merito, devo ammettere che tuo figlio è davvero un gran bravo ragazzo.
Un sottile formicolio si insinuò lungo la schiena del vecchio.
Il pensiero della pistola nella tasca gli solleticava le mani.
L’immagine senza contorni di quel figlio ormai sconosciuto, esattamente come la donna che aveva dinanzi, gli si conficcò di traverso nel cervello, comprimendoglielo.
– Cosa ne sai tu di mio figlio? Che vuoi da me? – le chiese con voce alterata.
– Voglio che tu stia zitto e che mi stia a sentire. Voglio che prenda consapevolezza di quanto schifosa sia stata la mia esistenza per colpa tua. Al contrario di quanto è accaduto a te, a me non è stata concessa una seconda possibilità. Io di chance dal destino ne ho avuta una soltanto e non credo di essermela giocata nel migliore dei modi. Voglio confidarti un segreto, una cosa che non sa nessuno e che desidero condividere con te: sto per morire. E’ questione di un anno, forse di mesi.
Non mi sarei mai perdonata di aver tirato le cuoia prima di essere venuta a farti una visitina. Tirando le somme di questa specie di vita che mi è stato dato di consumare, mi è toccato prendere atto del fatto che non sono poi molte le ragioni per sorridere. Fortuna che ci sei tu, a permettermi di togliermi una di quelle soddisfazioni che valgono una vita intera, anche se miserabile come la mia.
– Non hai risposto alla mia domanda – le gridò contro l’uomo, ignorando volutamente quelle parole che lo confondevano.
– Cosa c’entri tu con mio figlio?
– Datti una calmata, paparino. Scompari nel nulla per più di vent’anni e ti permetti anche di pretendere delle risposte? Se proprio ci tieni a saperlo, tuo figlio ti detesta. Non è uno stupido, sa bene chi era e cosa faceva suo padre. Non credere che si sia bevuto la storiella dell’incidente fatale.
L’uomo si asciugò il sudore dalla bocca col dorso della mano e sputò per terra, in segno di disprezzo. Quando estrasse la pistola dalla tasca, puntandogliela dritta al cuore, la ragazza non mosse nemmeno un muscolo.
– Non ti credo, stai bluffando. Tu non sai proprio niente. Perché non te ne torni da dove sei venuta?
– Spiacente, ennesima domanda sbagliata. Faresti meglio a chiedermi perché sto morendo – gli disse con un sussurro cattivo che lo pietrificò. – Non è stato tanto difficile portarmi a letto tuo figlio, sai? E’ stato anche piacevole, il ragazzo ci sa fare. Peccato, soltanto, sia un po’ troppo ingenuo. Probabilmente gli è mancato un padre che lo consigliasse, spiegandogli che è sempre meglio praticare sesso sicuro, specialmente con chi non si conosce.
Quelle ultime parole gli squarciarono lo stomaco, come una deflagrazione. Nella sua mente cominciava a prendere forma l’orrendo messaggio di quell’ambasciatrice di morte, venuta a servirgli sul piatto d’argento la sua vendetta. Per la prima volta la pistola dentro la sua mano conobbe un tremito incontenibile.
– Non fare quella faccia, magari per quando tuo figlio avrà scoperto di aver contratto l’Aids, avranno trovato un modo per allungargli la vita. Dicono che la ricerca faccia miracoli, peccato non esserci per quando scopriranno la cura – il sorriso malevolo che le attraversava la faccia la faceva sembrare la caricatura di se stessa. – A proposito, se proprio ci tieni a spararmi, fai pure: mi risparmieresti un bel pezzo di calvario.
Il braccio del vecchio conobbe un incurvamento progressivo, un gesto di remissione che tradiva un’impotenza assoluta.
Gli occhi si arresero allo stesso, inesorabile declino, incapaci di reggere l’insopportabile sentenza di quella ragazza tenuta in vita dal male e dall’odio. La pena per tutti i superstiti maledetti, persi tra le macerie delle sue colpe passate, lo rese cieco per qualche secondo. Quando la luce tornò a strappare ombre a quell’incubo senza uscita, si accorse di essere rimasto solo.
I passi della ragazza stavano già perdendosi alle sue spalle, inghiottiti dal nulla.
Una timida folata di vento si alzò a sorpresa, spettinando la cresta della collina silenziosa: finanche la voce intermittente della cicala aveva cessato di cantare.