I brevissimi 2018 – Il suono del Giallo di Anna Di Leo, Messina
_ Anno 2018 (I sette colori dell’Iride – Il giallo)
Mattina d’estate e nell’aria quasi una musica: è il fruscio del remo che si immerge nella superficie immobile e trasparente mentre la mia barca scivola sotto il sole, un dialogo armonioso tra legno ed acqua.
La casa, un luminoso dado bianco, si delinea d’improvviso interrompendo il profilo nero delle rocce; accanto alla stretta porta, ad arco, cespugli di origano e più in là il tronco sottile e contorto di un giovane ulivo che si allunga verso il muro, come ad abbracciare una piccola finestra. Tutto invita al sogno.
Scesa dal mio guscio di legno salgo verso la casa, spingo il battente e quando entro da sotto i piedi nudi risale lungo le gambe e le braccia e fino al viso, la frescura del ruvido pavimento di terracotta, una carezza che sa di ombra, di silenzio, di pace. Poi, nel buio che schiarisce facendosi ombra, lo spazio mi appare meravigliosamente vuoto mentre l’anta della minuscola finestra si apre senza un rumore sull’azzuro immenso del mare. Mi guardo intorno e il cuore sussulta quando gli occhi incontrano su una parete la grande tela dipinta, l’opera che più di ogni altra amo, quella che da sola basta alla mia anima, e ora a questo spazio sognato che la mia anima contiene. La luce scivola su tre pareti, bianche di calce, una geometria elementare di purezza ininterrotta, mentre il candore della quarta fa da cornice alla perfetta composizione pittorica nella quale ogni colore trova la sua posizione e dimensione, la sua estensione e forma, la sua metafora, la sua qualità, il suo senso, e un suono.
Il mio sguardo segue una serpentina nera che risale lo spazio tra tonalità viola e azzurre, verdi e arancio; quasi al centro l’armonica polifonia di colori è esaltata da un cerchio blu nel quale tutti sembrano confluire o dal quale, viceversa, tutti sembrano scaturire mentre, a sinistra, l’occhio si immerge nella vitalità del giallo declinato in mille sfumature.
Mentre i miei occhi si imbevono dei colori, le mie orecchie ascoltano il violetto rilasciare il suono struggente e pastoso del fagotto, l’arancio sprigionare le sonorità solenni delle campane tubolari che il verde accompagna con il suono vibrante del violino. Questi colori e i loro suoni mi attraversano e con essi la vivacità e la gioia di vivere, la tranquillità e la calma, la solitudine, il mistero, l’amore, l’abbandono…
Sento una presenza ora, al mio fianco, ed è lui, l’artista dai tratti caucasici, l’intrepido ‘Cavaliere Azzurro’. Ho desiderato averlo accanto ogni volta che il suono di uno strumento mi ha fatto vedere un colore e ogni volta che un colore mi ha fatto sentire il suono di uno strumento. Ora un sogno mi proietta oltre la dimensione reale, in un iperspazio senza tempo che contiene quell’incontro desiderato ogni volta in cui ho guardato, in un museo o sulla pagina di un libro, i colori che la sua mano aveva steso sulla tela, nei giorni così lontani della sua vita, tanti decenni prima della mia.
Questa casa sognata, ha viaggiato nel tempo e nello spazio come una nave interstellare, e ha fatto sì che la mia linea del tempo e quella del geniale artista, così distanti tra loro, si incrociassero nel suo centro, in questo punto preciso su cui ora poggiano i miei piedi scalzi e i suoi, il mio corpo e il suo corpo: l’energia misteriosa e potente del desiderio ha cancellato decenni e distanze, ha vinto la morte, ha annullato ogni grado di separazione, ha reso possibile l’impossibile, vero l’inverosimile.
Guardando il suo volto, ora così vicino al mio, pronuncio sottovoce le tre sillabe del
suo regale nome, mentre i suoi occhi, chiarissimi dietro le lenti cerchiate d’oro, sorridono fissando i miei. E mentre la mia mano trema sfiorando la sua corta barba bionda e le sue labbra si chiudono sulle mie in un bacio che toglie il respiro, il Giallo,
dalla parete, suona la tromba sprigionando le sue note più squillanti e festose.