I racconti del Premio letterario Energheia

Il vecchio attore_Giuseppe Gennaro Stasi, Matera

_Menzione Giuria dodicesima edizione Premio Energheia 2006.

– Che fa? Nun sale?

Lo chauffeur, un omone con la faccia da gerarca fascista, se ne sta appollaiato sullo sportello spalancato della vettura in attesa di un responso. Majeroni si dà una riassestata al bavero del paltò e lo fissa a lungo, senza dire niente. Infine chiede timidamente: – Lei… la manda la produzione?

L’autista sorride svelando tra la chiostra di denti minuscoli un canino d’oro.

– Tombola! Saremmo anche un po’ in ritardo. La stanno aspettando sul set!

– E’ molto lontano? –, domanda il vecchio attore non del tutto rincuorato.

– Meno de quanto crede. Prego!

Lo chauffeur stende la mano verso l’abitacolo dell’enorme limousine nera continuando a esibire il suo canino luccicante.

Majeroni tentenna, ma alla fine sale a bordo. Lo sportello si richiude dietro di lui e la limousine parte silenziosa.

Come un felino che si aggira indisturbato di tetto in tetto, la vettura attraversa le strade deserte di Roma fendendo con dolcezza l’aria di quella tiepida notte di fine marzo.

Sullo schermo di un piccolo televisore montato all’interno dell’abitacolo scorrono le immagini di un vecchio film. Ma Majeroni preferisce guardare fuori dal finestrino, contare i lampioni che sfilano ai bordi della strada, tentare di percepire gli odori provenienti dalle bancarelle dei fiori. Ha l’aria angosciata. Sa che il suo mestiere di attore, così come lo intende lui, è destinato ad un inesorabile declino. L’ottusità del pubblico moderno lo fa sentire smarrito, impotente, come un clown sulla pista di un circo vuoto, e la vecchiaia, portatrice di sempre più frequenti vuoti di memoria, gli ha fatto perdere anche la fiducia in se stesso. Ora però un misterioso regista lo ha scritturato per un ruolo in un film. L’impresa ha il sapore di una rivincita, di un’opportunità per rimettersi in gioco per recuperare quell’antica sicurezza. Di che film si tratta? Chi dovrà interpretare? Sarà pagato? Nessuna di queste domande ha trovato risposta. L’unica cosa che Majeroni sa è che senza di lui il film non potrà decollare.

– Se vuole la spengo -. propone l’autista guardando nello specchietto retrovisore.

– Come?

Il vecchio attore sembra destarsi improvvisamente da un sonno profondo.

– La tivvù… tanto n’a guarda!

Spegne il monitor e riprende serio: – Maestro. Scusi, sa. Io posso sembrà ‘no zotico, ma… la conosco bene. Due anni fa, ar Brancaccio, c’ero anch’io. Insolito, vero? Lei m’ha fatto scoprire Shakespeare! E… devo confessare che… m’ha fatto piagne! E io j’o dico per esperienza personale. Lei è un vero artista! Co’ ‘sto lavoro ne ho conosciute de persone che meno so’ e più se credono!

Il vecchio attore si accomoda la zazzera grigia sulla nuca bisbigliando un lusingato “Grazie”.

La macchina è ferma ad un semaforo. Ad un tratto spunta fuori una strana coppia: un ragazzino allampanato e una vecchietta che si trascina dietro un trolley. Entrambi vestono in maniera sgargiante e si tengono teneramente per mano.

Preso da una strana eccitazione, l’autista mette la testa fuori dal finestrino e inizia ad abbaiare sguaiatamente contro i due personaggi, i quali fuggono terrorizzati.

Majeroni si agita sul sedile lanciando una rapida occhiata alla coppietta.

– Lo sa che quei due stavano in una di quelle cliniche per matti? E’ là che se so’ conosciuti… ed è là che li ha presi er foco d’a passione! Da allora so’ tutte le sere che escono sempre a mezzanotte e un quarto. Ahò nun sgarano mai, eh! Da queste parti li conoscono tutti –. spiega l’autista sghignazzando. Majeroni si sforza di sorridere, ma il suo è un sorriso malcerto, che nasconde a malapena il suo disorientamento. Pian piano il paesaggio che corre oltre i finestrini inizia a cambiare. Al fasto dei quartieri patrizi del centro si va lentamente sostituendo lo sfasciume delle borgate della periferia.

– Ma dov’è che stiamo andando?

La domanda del vecchio attore si dissolve però in un cupo silenzio.

Improvvisamente una colorita processione di prostitute accerchia il veicolo, conducendolo in una sorta di brulicante girone infernale. Falò a base di pneumatici, bagliori sinistri, corpi femminili simili a salme in decomposizione sembrano far parte di un grottesco sabba. Un sudore gelido bagna la fronte di Majeroni. Gli sembra di soffocare. Alla parata che i suoi occhi stralunati passano in rassegna partecipano anche massicci transessuali: – Amore, ma perché non scendi? – esclamano all’unisono scrollando lunghi boa ammantati di strass.

Lo sgomento del vecchio attore si è ora tramutato in rabbia: – Ma insomma, che scherzo è questo?! Dove diavolo mi

ha portato?!

La macchina si arresta di colpo e la sagoma nera dell’autista sguscia fuori dall’auto.

– Ehi ehi! E ora dove va?! –, sbotta Majeroni verde di bile.

Lo chauffeur mostra come sempre la sua bella zanna dorata.

– Solo un attimo. Il tempo de sbriga’ ‘na faccenduccia. Nun se preoccupi… -, e si allontana scomparendo sotto la volta di un traforo.

Intanto le insistenze dei travestiti si sono trasformate in un vero e proprio assedio. Gli inviti lascivi, gli intercalari intrisi di umorismo androgino, il fascino cimiteriale di quelle apparizioni rendono la situazione tetra e buffonesca al tempo stesso.

Majeroni si accende nervosamente una sigaretta. Tira lunghe boccate, si massaggia le tempie, cerca a modo suo di allentare la tensione. Infine fa un profondo respiro e scende.

Allo schiudersi dello sportello il branco dei transessuali si disperde, ed il vecchio attore fa il suo ingresso in quel mondo con la disinvoltura di un habituè.

Poco lontano, attorno ad una grossa pira, staziona un branco di grassone truccate come soprani. Una di loro sussurra qualcosa all’orecchio dell’amica. Questa, una moracciona con gli occhi da gatta, si volta verso Majeroni e scoppia a ridere.

– Ehi tu! Viè ‘n po’ qua! –, esorta la gattona con fare popolaresco.

Majeroni si guarda attorno perplesso. – Sì, dico a te Paul Newman! Viè qua! – continua gracchiante, mentre il vecchio attore si avvicina un po’ intimorito all’allegro gruppetto.

– Io a te t’ho già visto –, dice la gattona biascicando un chewing gum.

– Siedite!

La gattona fa accomodare Majeroni sulle sue enormi gambe e intavola una specie di interrogatorio: – Quant’anni c’hai? Di dove sei? Sei sposato? Che lavoro hai detto che fai? Fammi indovinare. Sei un architetto. Un medico. Un avvocato. Ah no, aspetta… sei un attore!

A quest’ultima trionfante esclamazione, Majeroni, che già si sente piccolo piccolo, arrossisce imbarazzato.

– Sì sono certa che sei un attore! Scommetto che dentro ar portafogli c’hai ‘na foto de quann’eri giovane! Tutti voi attori avete quarcosa der genere! Su, faccela vede! –, supplica languida la gattona fomentando così anche il resto della combriccola.

Majeroni è affascinato dal candore di quelle ciarliere e materne creature, e acconsente. Getta il mozzicone ed estrae da una fessura del portamonete una fotografi a ingiallita raffigurante una bellissima donna.

– Ammazza che bella? E chi è tu’ mojie?

La gattona studia incantata l’immagine.

– No, questa… -, ma il vecchio attore non fa in tempo a terminare la frase perché una biondona cadaverica afferra con prepotenza la foto. – E’ mama tua? –, chiede con un funebre accento teutonico.

– Oh, pur’io ‘a vojio vede!

– Anch’io, anch’io!

Tra le prostitute scoppia una vera e propria zuffa, a cui si uniscono presto anche i travestiti. – Ma che noi vi facciamo schifo?! Ce la volete far vedere? –, recitano sdegnati in coro.

Majeroni sembra un pastore in balìa di un gregge impazzito.

– La foto! Ridatemi la foto! –, grida nel tentativo di riappropriarsi della preziosa immagine.

All’improvviso ricompare in lontananza lo chauffeur. Lo segue una ragazza dalla lunga criniera rossa. Sembra che i due stiano litigando. Dopo aver urlato qualcosa di incomprensibile infatti, la ragazza dà uno spintone all’autista. Questi le molla uno schiaffo che la lascia a terra piangente e riparte a bordo della limousine.

– Ehi! Ehi, aspetti! Dove va?! Aspetti!! -, grida Majeroni correndo dietro all’auto che ormai è già lontana.

– Cosa faccio adesso?! –, esclama ansimante. Le prostitute e i travestiti assistono ammutoliti alla scena. Qualcuno ridacchia sommessamente.

– Scusa, cocco! –, dice rammaricata la gattona restituendo la fotografia a Majeroni.

– Dove vado adesso? Dove?! Mi stanno aspettando…

– Lo so io dov’è andato quel porco! -.

La ragazza malmenata dall’autista si rialza dolorante e parla con una voce ancora velata dal pianto.

La accompagno io! –, propone imboccando una stradina sterrata.

– E come? –, domanda scetticamente il vecchio attore.

– Che ha un fazzoletto?

Majeroni tira fuori dal taschino della giacca una pezzuola bianca e la porge alla ragazza. Questa si ripulisce il viso e getta la pezza a terra.

Accanto ad una catapecchia, coperto dalle frasche di un salice, c’è un sidecar arrugginito. La ragazza lo mette in moto e vi sale a bordo con una capriola.

– Beh, cosa c’è, non si fida? Avanti salga! Guido meglio di Valentino Rossi! –, rassicura la ragazza infilandosi un paio di occhialoni da aviatore. Majeroni sa che non è il caso di temporeggiare e monta sul trabiccolo, che subito parte a gran velocità sferragliando e rigurgitando grandi nuvole di fumo.

– Guarda che non ha preso questa strada! –, grida Majeroni tentando di sovrapporre la voce al baccano infernale del sidecar.

– E’ una scorciatoia!

Ormai è notte fonda. Le luci della città si riaffacciano all’orizzonte e Majeroni si sente come un marinaio che ha appena avvistato, tra le onde buie del mare, il bagliore di un faro.

– Lo sente questo rumore? –, chiede la ragazza – Ci stanno suonando!

In effetti alle spalle del sidecar, preceduto da un gran strombazzare di clacson, compare un maggiolino rosso pieno di strani personaggi.

– Ce l’hanno fatta! –, esclama la ragazza, che pare aver riconosciuto la comitiva.

– Ma dov’eri finita?! –.

Dal tettuccio della vettura la testa di un ragazzo di colore vestito da freak si protende canzonatoria.

– Ti stavamo aspettando dal Chiodo!

Il tipo alla guida, un capellone con la faccia da lupo, guarda con sospetto Majeroni e chiede: – Ma che gente ti porti dietro?

Majeroni distoglie seccato lo sguardo.

– Lo sto accompagnando dalle parti di… –, spiega la ragazza tentando di rimanere accostata al maggiolino.

– Dovevi venire con noi al “Paper Anne” stasera! Non te lo ricordi? –, la interrompe il freak.

Majeroni intuisce che è in corso un tentativo di dirottamento.

– Hai ragione! Va bene dai… vi seguo!

La ragazza rallenta, in modo da permettere all’auto di condurre il viaggio.

– Ma che fai? Dove andiamo ora?! –, esclama Majeroni al limite della sopportazione.

– Si calmi! Tanto è vicino al posto in cui la devo portare –, rassicura la ragazza.

Il “Paper Anne” si rivela essere un formicolante night club in cui artisti di vario genere tentano di far rivivere a modo loro l’era psichedelica. Su un palchetto di legno infatti una stupenda odalisca seminuda esegue a ritmo di sitar una danza del ventre. Le note dell’ipnotica melodia si mescolano all’odore dell’hashish creando un’atmosfera stordente.

Majeroni è confuso. Ripensa alle raccomandazioni del regista, al film (tutto sembra così lontano…), ma tutto in quell’ambiente sembra attrarlo irresistibilmente verso un vortice di oblio.

– Io so tutto di lei! Anch’io per un po’ ho fatto teatro. Roba “Underground”, s’intende!

Uno degli hippy parla al vecchio attore con tono cameratesco, tenendolo sottobraccio.

– Dai lascialo in pace! Non vedi che non gliene frega niente?! –, lo rimprovera, scherzosa, la ragazza dai capelli rossi.

– Intanto è con me che sta parlando, scema! Beve qualcosa maestro?

Si avvicina al bancone e ordina due cocktails: – Maya, due “Giovanna d’Arco”!

– “Giovanna d’Arco”?! –, chiede stupito Majeroni.

– Si chiama così perché, chi lo beve, sente le voci. Prego!

Gli porge un bicchiere contenente uno strano liquido dal colore violaceo e aggiunge cordialmente: – Alla sua! E all’arte!

Majeroni annusa il bicchiere. Ne beve un sorso, poi un altro, un altro ancora. Gli effetti dell’intruglio si fanno lentamente strada nella sua testa. La realtà degli oggetti, dei colori, delle persone, perde ogni senso conosciuto e tutto inizia a sprofondare in una gran pace luminosa e terrificante. Majeroni ha la sensazione di essere diventato tutte le cose, di non essere più separato da esse, è lui il pavimento fluttuante del locale, i bicchieri, gli sgabelli, il soffitto, è lui la massa informe degli avventori, le loro facce allucinate. Ma la bevanda sembra realmente tener fede al suo nome quando anche i suoni, privati dalla loro naturale suggestione, si accavallano, riecheggiando come perforanti cantilene.

Intanto, lassù sulla pedana, la danza dell’odalisca si trasforma via via, in una serie di convulsioni sempre più folli, atroci. E infine, qualcuno, sollevando alte le braccia, mostra il corpicino nudo di un bambino appena nato. Tutti applaudono intensamente, con commozione. Molti lanciano fiori verso la bella odalisca, che giace sfinita sulla pedana. Anche Majeroni, che a stento riesce a reggersi in piedi, trova la forza di esclamare estasiato: – Bravissima! Mi scoppia il cuore! –.

– Ma che fa?! Nun può stare qui!

La voce che gli piomba improvvisamente alle spalle ha un che di familiare. Majeroni si volta. L’uomo immenso che ha davanti è lo chauffeur della produzione.

– Ma dov’era finito?! Dobbiamo andarcene!, e de corsa!

L’autista afferra con violenza Majeroni, e lo conduce fuori dal locale. Tra le sterpaglie, vicino ad un grosso macigno con sopra inciso “Paper Anne”, è parcheggiata la limousine.

– Lei me farà licenziare! Avanti salga! –, ordina furibondo.

– Va bene!, ma si calmi! –, dice Majeroni entrando in macchina.

All’interno dell’abitacolo c’è una gigantesca specchiera da trucco con miriadi di lampadine infilate nella cornice.

– Fate quello che dovete fa’ voi due!, ma fatelo in fretta! –, continua perentorio l’autista mettendo in moto la vettura.

Due truccatori (un uomo e una donna) venuti fuori dal nulla iniziano ad accanirsi freneticamente sul volto di Majeroni: gli mettono le ciglia finte, gliele strappano via, gli dipingono le occhiaie, lo ricoprono di biacca, gli arrossano le gote, gli mettono la parrucca… E Majeroni, ancora in preda all’effetto narcotizzante della bibita, sopporta tutto docilmente.

Nel frattempo la limousine oltrepassa l’entrata di uno stabilimento cinematografico. Dall’interno del gabbiotto, l’ombra di un guardiano rivolge un saluto meccanico. Lungo un viale, sui tetti dei teatri di posa, il vento muove immense ombre di nebbia. Tutto è insolitamente tranquillo, immobile; e in quella quiete inattesa, il vecchio attore, abbandonandosi all’effetto devastante del make-up, prova una specie di dolce vertigine.

Improvvisamente riflettori lontanissimi si accendono, spargendo ovunque una luce accecante, e un esercito di persone strepitanti si avventa contro i finestrini della limousine.

– Te pareva! –, commenta seccato l’autista seguitando a farsi strada in mezzo alla folla eccitata.

Qualcuno fa filmini con il telefonino, qualcun altro supplica per un autografo, un gruppo di ragazze brandisce gigantografie di accattivanti primi piani di Majeroni intonando urli sgangherati.

Il vecchio attore scruta scetticamente quegli anomali ammiratori.

– Non è possibile… –, mormora accigliato.

L’autista picchia forte sul pulsante del clacson gridando: – Via! Via! Annatevene! Fate passa’!

Poi, rivolto ai due truccatori: – A che punto state voialtri?

– Abbiamo finito –, annuncia la truccatrice dando gli ultimi ritocchi al viso di Majeroni.

Il veicolo si ferma davanti ad un casermone illuminato come una casa da gioco. Lo chauffeur spalanca lo sportello.

Majeroni scende. Qualcosa è cambiato in lui: le rughe hanno abbandonato il suo volto, la sua chioma grigia è ora una lucida calotta di capelli tinti malamente, e la profondità dei suoi occhi è svanita dietro la superficie delle lenti a contatto colorate. Ma la sua comparsa scatena comunque applausi, flash di macchine fotografiche, urla.

– Molto gentili, da-davvero! No-non pensavo che… –, balbetta impacciato Majeroni.

Poi, in mezzo a quel boato, le note di un’ottusa sigla televisiva prorompono acutissime e due gorilla scortano il vecchio attore fin dentro il casermone.

Dopo un dedalo infinito di corridoi, rampe, balaustre, Majeroni si ritrova all’interno di un grandissimo studio televisivo.

Le telecamere sono puntante su di lui come minacciose mitragliatrici e il pubblico è scattato in piedi per osannarlo.

La presentatrice fa il suo ingresso. Abito nero, cartelletta con il copione alla mano e parlantina spedita:

– Achille Majeroni! Il vincitore della centocinquantatreesima edizione del… (il nome del programma si perde però nei clangori provenienti dalla platea)… stasera è finalmente qui con noi!

Majeroni non crede ai suoi occhi: la presentatrice del misterioso programma infatti altri non è che la ragazza dai capelli rossi.

– Ci parlerà della sua vita e del suo rapporto con questa particolarissima esperienza: da celebre attore di palcoscenico ad indiscussa star televisiva! E poi avremo come ospite straordinaria la sua partner, che ha da poco avuto un bambino… eccola! Congratulazioni!

La presentatrice punta la sua cartelletta verso il pubblico.

Nella prima fila c’è l’odalisca del “Paper Anne”. Tiene il suo bimbo stretto al petto, e risponde agli applausi con piccoli sorrisi.

Majeroni diventa di mille colori diversi. Per l’agitazione lo spesso strato di trucco che gli nasconde la faccia comincia a cedere, disfacendosi in piccolissime goccioline.

La presentatrice prosegue cantilenante: – Inoltre sveleremo un enigma che ha tormentato i nostri telespettatori. Vai regia!

Su uno schermo gigantesco compare l’immagine di una donna, la stessa che il vecchio attore custodisce in versione ridotta nel portafogli.

– Chi è questa donna? Voi intanto televotate, mandateci via sms i vostri pareri… perché alla fine della trasmissione lo scopriremo assieme ad Achille. PUBBLICITA’! Restate con noi!

Uno stacco musicale, un applauso, e infine il silenzio.

La sala si oscura lentamente e l’occhio di bue è puntato su Majeroni. Questi si toglie parrucca e lenti a contatto, avanza verso la platea e inizia a parlare:

– Sono qui, davanti a voi, ma desidero essere altrove. Viaggio con la mente e provo ad immaginarmi altrove. Mi immagino altrove, ma desidero tornare qui, di nuovo davanti a voi. E sono compiaciuto, deluso, afflitto, depresso, entusiasta. Sono tutte queste cose insieme, forse nessuna. La mia è una sensazione mai provata prima, una sensazione nuova, un misto di tutte le sensazioni provate in questa notte. Ma non so tirare le somme. Sono incapace di stabilire un valore e un non valore definitivo, non ho un giudizio da dare su me stesso, sul mio mestiere, non vi è nulla di cui mi senta veramente sicuro, eppure ci provo, e capisco che è tutto totalmente sbagliato, ingiusto. Non sono libero. E’ il destino di noi attori dopotutto: esistiamo in funzione del pubblico. E’ lui che sceglie, ammonisce, giudica. Una volta riempiva le sale dei teatri. E quando recitavo “Macbeth”(“La vita è un’ombra fugace, un povero attore che si agita e si pavoneggia sul palcoscenico, e poi più nulla”) davanti al pubblico mi agitavo, mi pavoneggiavo e tutto questo voleva dire che esistevo. Poi il nulla, la morte. Il pubblico non c’era più. Quanto ho sperato in un’occasione che fosse in grado di darmi ancora forza, autenticità… vita. Ma questo viaggio, che all’inizio sembrava così avventuroso, pieno di incontri straordinari, si è rivelato più artificiale di un acquario. Che senso ha questa festa sciagurata?, quest’onorificenza per pesci rossi? E’ forse un merito la gloria televisiva?! Rispondete!

Poi levando un urlo disperato: – Vigliacchi! Farmi tornare in vita come una marionetta! Perché?!

Una lunga pausa.

Majeroni si asciuga la fronte e riprende a mezza voce: – Scusate. Vorrei tanto essere felice, felice e basta, e sarei anche pronto a dimostrarvelo, solo che ora non so cosa dire, mi dispiace. Mi ero preparato un bel discorso, volevo anche dirvi chi è la donna di quella fotografia, ma improvvisamente non ricordo più nulla…

– Stooooooop!! –, grida una voce fuori campo.

Lo studio si illumina, il braccio meccanico di una gru su cui è stata montata una macchina da presa cinematografica si abbassa, e da una zona della platea irradiata dalla luce dei riflettori appare il regista.

– Achille! E’ già la seconda volta! –, commenta seccato.

Il vecchio attore, che intanto è stato circondato da un plotone di solerti truccatori, tenta di giustificarsi: – Scusa, ma non mi sta in testa! Puoi ripetermela un attimo?

– E’ Brigitte! L’hai conosciuta a Parigi quando eri in tournee nel ‘57. Quando sei ripartito lei ti ha lasciato la sua fotografia con la promessa che vi sareste rivisti in Francia. E’ la parte più semplice del copione! Facciamone un’altra!

Il regista porta il megafono alla bocca per richiamare l’attenzione generale: – Allora siete tutti pronti? Claudia!

– Eccomi!

In un angolo dello studio, seduta su una seggiola di tela, la ragazza dai capelli rossi sta ripetendo con l’aiuto-regista la sua parte.

– Ne facciamo un’ altra, vai al tuo posto! –, ordina il regista salendo assieme all’operatore sulla piattaforma della gru.

La ragazza si alza sbuffando e raggiunge la sua postazione.

Troupe e figuranti tornano velocemente ai propri posti, pronti a ripetere la scena.

Majeroni è al centro dello studio. Sorride rassegnato e pensa: “E’ il mio lavoro! In fondo la vera autenticità vive delle emozioni degli spettatori, e perché no?, anche di quelle di noi attori, quando recitiamo!”

– Motore! -, tuona il regista. Buio in sala. Occhio di bue.

Appare un operaio con un ciak in mano. Si ferma, lo apre e, guardando verso la macchina da presa, grida: – “Il vecchio

attore”. 3/15B, Terza!

CIAK!

– Azione!