Il vecchio Hausmann evoca ricordi
di Roberto Vacca
Avevo 14 anni. Mia madre mi disse di andarle a prendere il suo orologio,
Corsi a cercarlo, lo trovai e lo feci cadere a terra. Non funzionava più. Lei ne
aveva bisogno perché organizzava certi programmi radio per il Medio Oriente.
Mi disse:
“Ne prenderò uno nuovo da Hausmann al Corso. Fra due settimane mi
daranno il mio riparato e darò a te quello nuovo che compro subito.”
Lo pagò 500 lire. Mi pareva molto bello. Quando lo ebbi al polso, lo
guardavo per non fare tardi a scuola. La mattina quando mi svegliavo e in varie
occasioni non lo guardavo molto a lungo, poi controllavo quanto fossi capace di
stimare che ora fosse. È un buon esercizio. Lo portavo sempre e, da ragazzo,
misuravo il tempo in cui riuscivo a stare senza respirare: sempre sotto i 2 minuti.
Lo tenevo sul tavolo quando studiavo. Credo che l’esame più noioso che
io abbia mai preparato fu quello di Tecnologie Speciali Meccaniche del Professor
Oberziner a Ingegneria. I testi relativi erano lunghi parecchie migliaia di pagine.
Ogni pagina delle dispense era scritta a mano in corsivo e riprodotta
mimeograficamente. I margini erano ampi e venivano riempiti di note e richiami.
Quando compravo testi già usati, rileggevo qualche nota presa da proprietari
precedenti. Tendevo ad accelerare i tempi di lettura – in particolare per un
volumone sulla metallurgia delle leghe metalliche ferrose e non ferrose.
Guardavo il mio Hausmann e registravo quanti minuti mi ci volessero per leggere
una pagina – e per scriverne un riassunto stilato a mano o battuto a macchina su
una Lettera 22. Rileggevo solo quello per il ripasso della materia. Lo Hausmann
era strumento indispensabile per aiutarmi a sfidare me stesso e a ridurre quei
tempi dedicati a formarmi una accettabile competenza in tecnologie poco
entusiasmanti.
Nel quinto decennio del secolo scorso, la mia famiglia era poco danarosa.
Mio padre era in pensione e l’Università spesso ritardava i pagamenti. Mia madre
lavorava al Ministero per la Costituente. Mia sorella faceva lavoretti vari. Io
avevo imparato il tedesco abbastanza bene ed incontrai il Prof. Luigi Gedda.
Oltre che presidente dell’Azione Cattolica, faceva studi di genetica. Non sapeva
il tedesco e nell’arco di vari anni mi diede da tradurre migliaia di pagine di
articoli scientifici sulle malattie ereditarie e non ereditarie di gemelli uni-ovulari
e bi-ovulari. Per capire quel che dovevo tradurre, studiai sulla Treccani decine di
articoli di biologia, medicina e genetica. Anni dopo ebbi problemi medici a
Zurigo e sorpresi quei dottori con la mia competenza
Inizialmente guadagnavo poche decine di lire a pagina tradotta, poi arrivai
a poche centinaia. Avevo poco tempo, perchè continuavo a studiare. Il vecchio
Hausmann mi era di continuo aiuto per misurare e aumentare la mia produttività.
[è un concetto rilevante nell’industria e in economia). Anche trasformare
rapidamente strutture sintattiche tedesche in quelle italiane è un buon esercizio.
Serve a evocare un vocabolario vasto e a produrre rapidamente testi italiani: note,
rapporti, articoli, utili in ogni mestiere.
A quei tempi i cinturini erano di cuoio. Quando quello dello Hausmann
defunse, ne comprai a La Spezia uno costituito da una lamina di acciaio
inossidabile con una serie di fori e da una seconda lamina recante un dentino
stampato che si impegna nel foro corrispondente alle dimensioni del polso. È un
sistema sicuro e indistruttibile. Dopo più di sette decenni, funziona
perfettamente. In caso di emergenza quelle lamine si possono usare per serrare
viti o per svitarle o per raschiare superfici.
Anni dopo facevo il manutentore del primo grande computer usato in
Italia al CNR. Portavo un camice bianco. Feci a pugni amichevolmente con un
collega che, contro il mio cinturino, si procurò parecchie piccole ferite alle mani.
A ogni colpo che mi dava, lasciava una traccia di sangue sul mio camice. Poco
dopo capitò un visitatore che mi chiese:
“Ma lei che fa? L’ingegnere o il macellaio?”