I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2017 – Insieme di Corrado dal Maso_Roma

anno 2017 (I colori dell’iride – rosso)

Nella periferia di questa città, ancora più scalcagnata e senza dignità, accovacciata e immobile nel caldo come una serpe sul ciglio della marrana, pure c’è qualche angolo che reclama uno sguardo, che racconta una storia …

Il palazzo è tutto rosso, di un rosso vermiglio più rosso del fuoco. Come le persiane, rosse, che quando sono chiuse sembrano le palpebre truccate di una mignotta. Come i balconi, rossi, e i muri, le ringhiere. Una fissa del costruttore ma pure traccia, insolita per un palazzinaro, di un’idea, di una coerenza, di un’attenzione.

Un refolo di ponentino muove appena l’aria, e su un balcone del terzo piano due vecchietti si sono seduti all’ombra. Di estati roventi ne hanno viste, anche quelle con i bombardieri e le fiamme, e poi per loro al tramonto, col sole ormai basso, tutto ‘sto caldo nun fa.

In fondo, sull’orizzonte, potrebbero vedere, già accesa, la scritta CENTRO COMMERCIALE PANZIRONI, immediatamente dopo il Grande Raccordo Anulare. Ma l’orizzonte non c’è, solo palazzi, e loro due come se si volessero accontentare se ne stanno lì, su due poltroncine pieghevoli. Per caso sono rosse, di similpelle trapuntata ed imbottita, che a chiunque gli si appiccicherebbe la carne, sudaticcia, da smadonnare e tornarsene subito dento, sconfitti dalla canicola. I vecchi invece hanno la pelle floscia e non sudano. E non smadonnano più, che non serve.

Pelle floscia, dunque, e asciutta. Lei ha una scamiciata a fiori, come una natura morta per quanto è stinta, e le si vedono le ascelle, mentre si appoggia sui braccioli, e la carne delle braccia, che penzola candida e rilassata. Guarda la strada, con il suo capino canuto, capelli incrocchiati sulla nuca, e gli occhiali di celluloide color tartaruga, lenti spesse come quelle degli anni ’60 di nonna Rosa. Muove la testa con curiosità, seguendo la gente, le macchine che passano, e una moto che romba smarmittata e tutto massacra, salvo che le sue orecchie svagate.

Il marito le sta di lato, con le mani intrecciate sul ventre, rassegnato. Segue i suoi pensieri; o piuttosto il volo dei gabbiani di fiume che hanno il nido sul tetto del palazzo, bianchi e crudeli più che bizzoche di sacrestia. Le gambe scarne quasi svuotano le brache corte che indossa e finiscono in un paio di calzini e, a seguire, di ciabatte fintocuoio, con la tomaia a croce, trapuntata e imbottita, che fa pendant con la similpelle della sedia. Le braccia, le spallucce ossute, quasi svuotano una canotta bianca di cotone; o forse di lana, da lontano non si vede, come non si vedono quelle macchie che, sicuramente, ha all’altezza della pancia. Caffè, o pomodoro, chissà, alla fine le macchie sono tutte uguali. Sono macchie.

Le poltroncine invece, a guardarle bene, non sono del tutto uguali, né di foggia né per la sfumatura del colore. Chissà se ci si siedono a caso; o piuttosto ognuno ha la sua, per consuetudine, da anni, che non bisogna neppure litigarsele; una discussione la prima volta, poi avanti così, e la vita prosegue per i fatti suoi.

Stanno in silenzio, i vecchi, e sentono il tempo che passa.

Non si guardano. Non si danno di gomito, non commentano, non si chiedono l’ora, o cosa c’è stasera per cena.

Nulla.

Per tutti e due la sabbia scorre nella stozzatura e poi nel cono di sotto, lenta e costante, e alla fine chissà pure se ci sarà da ruotarla dall’altra parte, la clessidra.

Uniti nella vita, da una vita, sembrano ignorarsi. Non si parlano. I minuti sono ore e le ore giorni, anni, lustri, e loro non si parlano. Non si parlano più.

O forse …

O forse non è proprio così. Perché un’altra giornata è passata e, giorno dopo giorno, la vita. Ma pure la vita, loro, l’hanno vissuta, uno di fianco all’altra, proprio come su quel balcone; e così il vecchio e la vecchia non si parlano, magari, solo perché si conoscono, si capiscono, e allora le parole neppure servono.

In fondo ne basta una.

Nel tramonto d’estate i raggi del sole colpiscono il fianco del palazzo per perdersi, come schizzi di colore a tempera che si amalgamano su una tavolozza. Ma prima di sparire come ogni luce, come ogni istante, indugiano, quasi a voler tracciare qualcosa.

Un messaggio.

Poche lettere

rosse di sole

rosse dell’umore che scorre dentro e dà la vita

sfocate dal caldo, sì

dal tempo

o da questa fantasia un po’ bislacca,

improbabile e seducente come un miraggio.

Eppure belle forti vere,

struggenti appassionanti commoventi,

come dovrebbero essere quelle del titolo,

o delle fine,

di un racconto …

 

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