I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2024 – Inverno demografico, Stefano Vallini_Siena

Anno 2024 (Le stagioni: Inverno) – finalista

L’unico libro che possedeva il padre di Ettore era pieno dei nomi delle sue sorelle e dei suoi fratelli: Oreste, Ecuba, Briseide, Medonte, Diomede, Glauco, Licaone, Andromaca, Ulisse, Elena.

Ettore pensò al suo antico omonimo, ucciso da Achille sotto le mura di Troia quasi tremila anni prima, che era riuscito a dare ad Andromaca un solo figlio e anche in quel mondo fatto di guerre, eroi, dei e poesia un solo figlio era ben poca cosa. Poi pensò alla spilla delle mille donazioni che portava orgogliosamente sul risvolto della giacca, ai suoi innumerevoli e sconosciuti figli, ai 60 milioni di persone che abitavano la sua città, ai suoi vicini di casa che russavano al di là della parete di cartongesso nel loro appartamento identico al suo, venti metri quadrati servizi compresi. Pensò ai suoi colleghi di ufficio con i quali condivideva la stessa scrivania e alla fortuna di avere, per contratto, una poltroncina tutta per sé.

Il suo turno di lavoro non era ancora iniziato, aveva ancora trenta minuti di tempo. Passò la tessera e il tornello del bar lo fece passare. Si liberò uno sgabello al banco e Ettore si sedette.

Il solito.

Amico, hai idea di quante facce mi passano davanti ogni giorno. Non ti conosco, non so quale sia il tuo solito.

Un Bloody Mary.

Ma sai quanto tempo ci vuole per preparare un Bloody Mary? Una vodka con ghiaccio è quello che posso darti.

Una vodka va bene.

Quando passò la tessera per pagare, disse al barman, Mi farei un secondo giro.

Non c’è tempo, devi lasciare il posto a un altro cliente.

Uscì dal bar e si accese una sigaretta. Attraversò la strada e si diresse verso la banca, era a solo due isolati verso nord. All’uscita, si scolò l’ultimo sorso della roba densa e dolciastra che davano dopo ogni donazione, buttò la lattina e si avviò verso il suo ufficio.

Alfred lo incrociò all’uscita dall’ascensore.

Fatto il dovere giornaliero?

Non vedi la spilla?

Ti vedo stanco però, hai domito male?

Ho bevuto male, ma non importa.

Ci sono tutte le pratiche di ricollocazione familiare di ottobre da catalogare. Il capo le vuole pronte per stasera.

Bene Alfred, me ne occupo io.

Ciao Ettore a domani.

Si addormentò due volte sulle pratiche di ottobre. Quando guardò l’orologio capì che non ce l’avrebbe mai fatta a concludere prima della fine del turno.

Lasciò l’ufficio tra il ticchettio delle tastiere e l’odore di ozono delle stampanti.

Non prese l’ascensore, preferì le scale.

Pensò di passare dal bar, ma la sua tessera non era abilitata per quell’ora e trovare uno spaccio clandestino non era facile. Forse più tardi a notte fonda.

Era ormai sotto casa quando la ragazza sbucò dal flusso delle persone che affollavano il marciapiede. Gli si parò davanti, dette uno sguardo alla spilla, gli sorrise e in un attimo si legò la bandana rosa fucsia sulla testa, poco più di uno straccio, ma il colore e le lettere erano il messaggio: ELFH. Ettore si ricordò delle notizie passate dalla televisione. Tra una pubblicità e l’altra i notiziari avevano parlato di queste pazze assassine delle Earth’s Liberation From Human. Il grasso speaker governativo aveva deriso le ragazze che volevano salvare il mondo dal traguardo del 100 miliardi di abitanti. Poi era passato alle notizie importanti della casa reale: l’ennesimo felice parto gemellare della Principessa.

Ettore rimase incantato dalla bandana rosa fucsia e non vide la lama del coltello che rifletteva la luce del lampione. Quando sentì il metallo entrargli dentro, la faccia della ragazza era alla distanza di un bacio, sentì l’odore di menta del suo alito. Però la ragazza non lo baciò, si limitò a sorridergli di nuovo. Era lo stesso sorriso stampato sui cartelloni pubblicitari dove una mamma con la sinistra faceva la V di vittoria e con la destra stringeva la mano di una bambina che teneva per mano un bimbo più piccolo e così per altre quattro mani e altezze a decrescere.

Poi sentì il calore del sangue che usciva dalle viscere e contemporaneamente un vento freddo sulla faccia che forse annunciava l’inverno.