I brevissimi 2015 – Ira che divide di Martina Bianchi, Roma
_Anno 2015 (I sette peccati capitali – L’Ira)
Sdraiato sul letto e con lo sguardo fisso nel vuoto, tornò casualmente con il pensiero agli ultimi mesi trascorsi, prestando attenzione ai ricordi belli, giungendo poi purtroppo a fatti che, sapendo di non essere in grado di poter cambiar, avrebbe desiderato disintegrare nella propria memoria.
Il volto di quella persona gli appariva quasi sfumato, tuttavia quella sua voce era un ricordo chiaro e iniziò ad assillare la sua mente; vecchie parole udite si manifestavano rapidamente, quanto desiderava farle smettere.
Perché, perché attimi stupendi si erano sbriciolati in un istante, all’improvviso, come un vaso di vetro che cade a terra?
Il sangue iniziò a ribollirgli nelle vene in pochi secondi, mentre una profonda rabbia si destava da un sonno durato settimane e settimane.
Ricordava il giorno in cui ogni cosa cominciò a prendere una brutta piega, portandolo fino a quell’oblio che altalenava tra nervoso e tristezza, delusione e rimpianto. Ricordava come quell’altra persona lo avesse poi lasciato solo, dopo un’amicizia breve, ma sincera, generata da semplice affetto e simpatia.
Oh, eccome se ricordava!
Nulla poteva sfuggirgli, d’altronde era uno dei “protagonisti” di quella storia arrivata al termine, che non sarebbe continuata mai più… troppi errori erano stati commessi.
Sì alzò in piedi e, raggiunta la sua scrivania, aprì il cassetto per prendere l’unica foto cartacea che li ritraeva, insieme, amici com’erano a quei tempi. Fissò la fotografia, niente. La rabbia aumentava.
Gettò a terra la fotografia e prese il primo foglio che gli capitò a tiro, accartocciandolo per trovare un piccolo sfogo, per distruggere qualcos’altro anziché l’oggetto che giaceva in quel momento a terra, non molto lontano dai suoi piedi.
Rimase in piedi, immobile, nella speranza di tornar sereno, ma fu inutile: qualunque emozione sia causata dal dolore, non se ne va come se nulla fosse… ne era al corrente.
Afferrò cellulare e auricolari, dopodiché se ne tornò sul materasso, sdraiato come prima, con la musica a fargli compagnia.
Tornò calmo, però funzionò per pochi minuti, dopodiché neanche il volume al massimo riuscì a mettere a tacere i pensieri che sembravano gridare come se fossero equipaggiati di megafono.
Sospirando, decise di ragionare ancora sull’accaduto, su quegli sbagli e su quella colpe.
Chiuse gli occhi e abbassò la musica per concentrarsi meglio.
Poteva accusare l’altra di tante cose, provare un immenso rancore eppure, quella fiamma ardente che ardeva dentro di lui sembrava divampare per altre motivazioni.
Cosa poteva fargli ribollire il sangue di più?
Le proprie colpe, tutti i comportamenti sbagliati che aveva assunto, parole dette freneticamente e senza parlare, fraintendimenti che erano stati significativi in quella vicenda e che poi non era riuscito a spiegare.
La causa di tutto era lui stesso, altri veri colpevoli non ce n’erano.
D’un tratto iniziò a sentirsi un vero stupido, sarebbe voluto correre da lei e porgerle le proprie scuse, tuttavia era troppo tardi, ormai non sarebbe stato perdonato: troppo tempo era trascorso da allora e troppo furibondo si era stato durante quella lite.
Era finita. Stop. Quell’amicizia non sarebbe esistita mai più.
L’ira non porta mai nulla di buono, soprattutto se manifestata contro persone care, soprattutto se incontrollata.
In quel momento lo aveva capito, ma ormai era troppo tardi.
Nulla sarebbe più tornato come prima…