I brevissimi 2015 – Iracondria – (Il nemico peggiore) di Vincenzo Di Francesco, Guidonia-Montecelio(Roma)
_Anno 2015 (I sette peccati capitali – L’Ira)
Un pugno in pieno viso. Un colpo secco, deciso. Inaspettato,
ma tutt’altro che imprevedibile. Era soltanto una questione di
tempo. Lo sapeva. Prima o poi la sopravvivenza, anche se per
un breve e fugace istante, avrebbe avuto la meglio.
Fu una canzone ascoltata poche ore prima a scatenare quel
gesto tanto avventato quanto inconsciamente premeditato.
“Iracondria”, così si intitolava. I versi schietti scritti dal rapper
di turno tornarono di sorpresa ad insinuarsi martellanti nella
sua mente già fortemente incasinata.
Eppure non era un tipo violento, ma quel fulmineo barlume di
lucidità sottolineò la vicinanza del muro contro cui
l’imprescindibile ed encefalica convivenza lo stava pressando.
Aggredito dal panico si difese.
Complice l’asfissia della notte e la solitudine con cui
condivideva il letto, le sue peggiori ossessioni si svegliarono. E
con loro, si svegliò anche l’intolleranza che le accompagnava.
Non sopportava più quel comportamento perpetuo di sfacciata
e falsa atarassia con cui cercava di agghindare la sua
condizione di evidente malessere.
Era saturo di quella sua elusività cronica che lo stava
spingendo ben oltre le frontiere della fobia, fino a fargli
raggiungere lo sconfinato stato della pazzia.
Era esasperato dalle costanti ed eccesive critiche che
divoravano qualsiasi sua forma d’iniziativa e che ora
sembravano puntare impavide all’impulso primario
dell’esistenza. Aveva colpito duro. In fondo non avrebbe potuto fare
altrimenti.
Quell’atto estremo era stato una risposta estrema ad una
situazione sempre più incontrollabile.
I secondi che seguirono il colpo assunsero i connotati delle ore.
Il quel tempo di irrisoria dilatazione si sentì rilassato, poi
guardò la mano rea grondante di sangue. Il palesarsi di
quell’intima linfa vitale fuoriuscita dalle viscere più recondite
fece riemergere tutte quelle reazioni emotive che aveva provato
disperatamente a contrastare. Come un boomerang tutto gli
ritornò indietro. E fu peggio. La ritorsione si fece carico di una
desolante consapevolezza: l’impossibilità di redenzione. Di
riscatto.
Quando alzò gli occhi torbidi e questi andarono a sbattere
contro un’immagine astratta che sapeva di cubismo, ebbe la
conferma di quella derisoria condanna.
Il suo peggiore nemico, nonostante tutto, era ancora lì davanti a
lui.
Lo specchio in pezzi di fronte alla sua faccia era il riflesso
perfetto delle sue crepe animali.
La mano continuava a sanguinare. Non aveva provato
minimamente a tamponarla.
Sul lavandino ed il pavimento alcune schegge vaganti avevano
trovato riposo. E mentre il suo sguardo cadeva su di queste,
l’aruspice mente vedeva quello che gli occhi non era in grado
di vedere.