I racconti del Premio Energheia Africa Teller

Joisi_Leopold Kyalima

paesaggi_Racconto finalista quinta edizione Premio Energheia Africa Teller.

 

Traduzione a cura di Monica Pierro

 

Dopotutto le conversazioni non erano così animate. Ciascuno si sforzava

di borbottare e rimuginare meglio il proprio bisogno interiore più

grande in modo introspettivo e si imponeva di formulare e riformulare

la propria mancanza di felicità rivestendola della forma più piacevole

a sua santità il Dio dei Toubabs. Il povero diceva a se stesso. “E

se c’è un Dio creatore, perché ha permesso allora che io mi sia impoverito

così facilmente?”. Questo interrogativo lo manda fuori di sé e

sveglia di soprassalto un handicappato fisico che sonnecchiava stanco

non lontano dalla strada abbastanza gremita di gente. Quest’ ultimo,

geloso e furioso vedendo gli altri arrampicarsi sul monte Miguel

così agevolmente, e deluso perché lui invece non era che a metà strada,

sentì il suo dolore vivo pesargli più del piombo. Si diceva fra l’altro:

“E io che cosa ho fatto per oscillare così come le lancette di un

orologio? Subire un handicap, sì… ma ciò che c’è di più deplorevole

è nascervi. Ecco ciò che mi disgusta”.

E subito si ricompone attorno alla sua stampella, deciso più che mai

a rompere quel che gli resta come gamba purché ottenga di vincere la

sua causa. La sua voce rauca ha destato la curiosità di una donna che

trascinava una sterilità congenita, e che borbottava delle parole incomprensibili

a proposito di quello che lei ritiene sia un male pernicioso

che la turba: la sterilità. “Non un bambino! Figli, mai! Per niente!

Quanti rospi da ingoiare! E di là, arrivare al punto di pretendersi

perfino felici”. Solo la parola felice ha rapito l’attenzione di una don-

na in stato di gravidanza avanzata che camminava zoppicando con la

sua decima bisaccia del feto candidato a morte. “Felice” aggiunge quest’ultima,

sforzandosi di aggiustare il proprio passo con quello della

sterile “No. Mai. In nessun giorno”.

La sterile vedendo ciò che lei ha sempre desiderato avere, e cioè questo

ventre abbondante che custodisce un tesoro che la sorte le ha già

vietato di cullare, inarca le sopracciglia diffidando palesemente da quello

che ritiene solo un falso senso di tenerezza da parte della sua compagna

e aumenta i suoi passi come per sollevarsi mormorando sola sul

suo petto: “Benedetti coloro che ci intralciano solo per disprezzo o divertimento!”.

Quella pigrona di donna incinta sentì ancora vivi i lancinanti dolori

del parto e si ricordò della sua disgrazia: “E lei mi abbandona, come

quelli là, come i miei nove bambini che muoiono appena nati! Oh! ventre

della sciagura!”.

Abbattuta, si accascia e rammenta il requiem delle nove piccole croci

piantate su di un solo ed unico ventre, il suo. “E perché continua

questo Dio a concedermi delle gravidanze in più quando invece nella

sua saggezza sa che io non so fare altro che feti per il cimitero?”.

Dopo essersi rimessa un po’ alla volta dai suoi borbottii e animata dalla

preoccupazione d’essere preceduta, decide di riprendere il suo benedetto

cammino. Avendo perso il normale ritmo di marcia, visti gli

incidenti di prima, urta contro un militare più che frettoloso, con la

lancia in mano e la faretra sulle spalle. Quest’ultimo non tarda ad indignarsi

della maldestra. Trascurando l’accaduto, il militare riprende

la sua marcia, ma non senza reagire. E dice a se stesso:

“Ma queste donne, queste zoppicanti, queste cose, questi rottami. Tutto

ciò in cerca di felicità! Dapprima libero passaggio al coraggioso soldato,

che vi ha protetto finora durante dei lustri nella pace e contro tutti

gli affronti, prima di richiedere bambini, stampelle, velleità e civetterie”.

L’ascesa era ornata di incidenti di questo genere al punto che sarebbe

stato sensato prevedere un poliziotto per regolamentare la travagliata

salita verso la felicità. Intervenendo la provvidenza, solo la fretta e la

sete di essere il primo a farsi ascoltare dall’udienza servivano da re-

golatori per l’alto numero di persone attratte. Malgrado tutto e nonostante

la diffidenza degli uni per gli altri, l’ascesa dei cercatori di felicità

prendeva forma passo dopo passo.

Alla fine del percorso, la Sancta Casa. Si sente una musica sacra. In

un’atmosfera di raccoglimento, ciascuno tentava di cristianizzarsi.

All’improvviso seguì la voce divina. Invita all’ordine. “Il primo su cui

si riverserà la felicità è colui il cui impegno è più grande”. Visto che

la felicità era a portata di mano e che ciascuno credeva di meritarla

per primo, credendo di soffrire più di tutti gli altri, la Sancta Casa si

trasformò subito in una sorta di ring da incontro di pugilato. Tanto peggio

per il disegno divino, ognuno vuole presiedere l’altare, fonte della

tanto desiderata felicità, a discapito di tutti gli altri.

L’enigma era sapere chi soffrisse più o meno degli altri, per meritare

o meno la felicità. Le lingue erano taglienti salvo forse quella del muto

che l’atmosfera soltanto riusciva a far uscire. I mali erano quasi guariti,

al punto che era importante crearsi un avversario da convincere

per assicurarsi che facesse buona figura all’udienza. E se le rivendicazioni

potevano avere una forma, quel giorno ne avrebbero avuta una,

quella di un fuoco d’artificio le cui scintille sarebbero state: bambini,

fecondità, pace, stampelle, soldi, per formare l’aureola le cui estremità

non possono essere congiunte.

Si arrivò ad un tal punto che la discussione fece scolorire le icone, talmente

era vergognosa.

Indignato, il buon Dio dei Toubabs intervenne, con la sua stessa voce,

per fustigare le loro ambizioni egoiste. Infatti, invece della ricerca

di una felicità in Paradiso, erano venuti a rivaleggiare e mettersi gli

uni contro gli altri. Cosa che per natura può oscurare le lanterne del

Paradiso. Fu allora che decise che tutti dovessero scendere dal monte

Miguel con una consegna:

“Se vi amate gli uni con gli altri, se fate prevalere il dolore del prossimo

piuttosto che i vostri interessi, vedrete centuplicarsi la vostra

felicità. Tornate indietro, dunque. Il Paradiso ha spento la sua candela.

Vi lascio al buio. Colui che saprà riaccenderla con il fuoco dell’amore,

sarà la perla rara che servirà da pietra angolare dell’edificio:

FELICITÀ”.

Se ne ritornarono a testa bassa e ancora oggi provano chi stupidamente,

chi maldestramente ad illuminare questa candela del Paradiso, accanto

ai loro capi animisti che non sognano altro che provare le false armi

di quei potenti che si reggono in piedi sul sangue dei più deboli.