I racconti del Premio Energheia Europa

La casa dei conigli, Sophie Carthy

Menzione Premio Energheia Irlanda 2024

Traduzione a cura di Cinzia Astorino

«È meglio se non lo faccio».

Silenzio.

«Non sarebbe una bella figura se qualcuno mi vedesse. Ti scriverò ogni settimana».

Silenzio.

«Sarò comunque impegnata con la ricerca della casa».

A questo si rianimò. «Ne hai già vista qualcuna?»

«Non ancora. Ho un appuntamento la prossima settimana. È giù a Galway. Bella ed isolata».

Silenzio.

«Mi manchi!»

Urlando.

«Lui sospirò. Devo andare!»

***

Era primavera, il clima era mite e asciutto. La strada su cui si trovava il cottage era minuscola, senza altre case per chilometri. Poteva a malapena ospitare una macchina e l’erba correva lungo il centro. Alberi vecchi di centinaia di anni incombevano su ciascun lato della strada, lasciando un’ombra scura sopra di loro. Gli arbusti e gli alberi troppo cresciuti che lo circondavano ostruivano la vista del cottage dalla strada.

Il signor Brady, l’agente che faceva visitare la casa, era già lì. Torreggiava su di lei; prendevano il sopravvento gli occhiali metallici troppo grandi per il suo viso, rendendo difficile distinguere i suoi lineamenti.

Fece la consueta educata presentazione, indirizzandoli al cottage.

«Ah, sono giusto in tempo!»

Si voltarono per fronteggiare un uomo, ancora sulla strada ma che si dirigeva verso il cancello. Il signor Brady mormorò ‘Gesù Cristo’, sottovoce.

«Sei un vicino di casa?», chiese Carla.

«Vivo a 5 miglia di distanza».

Carla sbirciò sulla strada, cercando un veicolo. «Sei venuto qui a piedi?»

«Bel pomeriggio per questo!»

Carla guardò verso il signor Brady per chiedere spiegazioni. Lui fece un sorriso imbarazzato, spostandosi da una parte all’altra.

«Questo è Keith Lyons. Era un amico del precedente proprietario».

«Mi piace aiutare la gente a far vedere il posto. Chi meglio di qualcuno che ha vissuto lì praticamente per cinquant’anni!»

Lei gli sorrise; era più facile propiziarselo.

«Ha ragione. Piacere di conoscerla!» Gli strinse la mano, calda e umida. Un odore di sudore e un odore di fette biscottate bruciate.

«Carla ha studiato legge, ha lavorato per un grosso avvocato a Dublino». Brady si vantava come se stesse cercando di impressionare Keith riguardo alle sue credenziali.

«Allora cosa ti ha portato in questa parte del paese?»

L’affitto è troppo caro’.

Ho un nuovo lavoro qui!’

La mia vita a Dublino è finita, non ho più niente’.

Fatti gli affari tuoi’.

La risposta cambiava a seconda di chi chiedeva.

«La Casa dei Conigli è un bel posto, sei fortunata a poterla visionare!»

«La Casa dei Conigli?»

«Sì, il nonno di Monnie la chiamava così. Un sacco di conigli in giro per il giardino. Non più così tanti, sfortunatamente».

Brady lo interruppe, informandolo perentoriamente che bisognava iniziare la visita. Keith borbottò e si avvicinò alla porta rossa.

La Casa dei conigli aveva bisogno di lavori.

L’esterno somigliava a un cottage dal tetto di paglia uscito da una fiaba, adornato con ciottoli bianchi e una porta rosso sangue brillante.

L’interno era più Annie Wilkes che Biancaneve.

Le cose di Monnie erano rimaste nella casa. Le sue giacche erano appese alle pareti del corridoio; il profumo del tabacco aleggiava nell’aria. Inquietanti teste di cervo, impagliate, erano appese in alto alle pareti del soggiorno, insieme a immagini di pesci e animali selvatici. Due piccole camere da letto si trovavano alle due estremità del cottage. Uno aveva letti a castello di metallo rosso, con lenzuola di cartoni animati.

Il bagno era tutto rosa, dalle piastrelle al water, la vasca piena di ragni. Le pareti avevano macchie di umidità e la muffa riempiva le fessure delle finestre.

Un giardino sul retro invaso da arbusti ed erbacce in abbondanza. L’erba alta aveva fatto inzuppare i pantaloni di Carla, ancora umida di rugiada mattutina. Le sue orecchie si drizzarono all’accenno alla cantina. Chiese al signor Brady se poteva vederla. Era altrettanto inquietante; posseduta dagli stessi segni di umidità negli angoli, e mosche morte sparse insieme, in mucchi.

Si avventurarono in giro per la proprietà, con l’imbarazzo nell’aria mentre Keith chiacchierava della storia della proprietà.

Keith ricevette il messaggio e disse che sarebbe tornato a casa.

Il signor Brady sospirò, infilandosi le mani in tasca.

«Mi scuso per lui».

«Starà di sicuro tornando a casa?»

Il signor Brady alzò le spalle. «Gli ho offerto un passaggio. Tutto quello che posso fare».

Carla chiese: «Qual è la sua storia?»

«Gli piace mostrare il posto alla gente. I miei genitori hanno detto di lasciarlo fare e basta, è solo».

«Vorrebbe comprarla lui la casa?»

«Dubito!» Non ha mostrato alcun interesse a presentare un’offerta».

Carla parlò senza pensarci due volte. «Voglio fare un’offerta».

Le sopracciglia di Brady si sollevarono, ma un enorme sorriso prese il sopravvento sul suo volto.

«Grandioso! Ne discuteremo in ufficio».

***

Carla sorrise mentre camminava per la proprietà, con le mani giunte.

Per quanto grande fosse la casa, Keith si rivelò una minaccia. Arrivava costantemente fuori dal cottage.

All’inizio lo compativa, pensava che si sentisse solo dopo aver perso il suo migliore amico. Adesso si stava spingendo troppo oltre. Aveva fatto in modo che qualcuno venisse fuori e desse un’occhiata a come installare i cancelli elettrici. Si stava rivelando vergognosamente costoso. Il contratto d’affitto della sua casa a Dublino era scaduto, così affittò una roulotte in giardino, mentre la casa veniva ristrutturata. Era lontana dalla sua vita a Dublino, lavorare con gli avvocati, vivere sul Grand Canal Dock.

Sorprendentemente per lei, si sentiva più contenta di quanto non si fosse sentita da molto tempo.

Era il crepuscolo; era seduta sul retro della roulotte, e il bollitore fischiava finché non sentì scricchiolare le pietre.

Era Keith. Stava aggirando il lato del cottage, avvicinandosi lentamente all’ingresso della cantina.

La sua testa si abbassò, vacillando, incapace di camminare in linea retta, giù, per i gradini.

«Keith?» Cosa stai facendo qui?»

Saltò, poi salì i gradini dirigendosi verso di lei, con il viso corrugato in un’espressione minacciosa e le guance scurite. «Stai indietro! So tutto di te!»

Intuì dalla cadenza della sua voce che avesse bevuto. «Non puoi continuare a venire qui, Keith».

«Stammi lontano!»

«Senti, calma Keith. Sei confuso. Posso portarti un po’ d’acqua?»

«Chiamo la Guard Lyons! So del caso in tribunale, so che sei stata licenziata perché lavoravi con uno spacciatore! Hai qualcosa in cantina. Cos’è quella roba lì dentro?»

«Devi andartene! Non ha alcun senso».

Le gridò. «Ho letto tutto su di te online. Sei una criminale e farò in modo che tutti lo sappiano! Monnie non può permettere che succeda una cosa del genere nella sua casa di famiglia!»

«Solo perché qualcosa è su Internet non significa che sia vero. Allora dimmi cosa hai letto».

Pagine di speculazioni su un forum irlandese, persone che discutono il caso giudiziario. Conosco qualcuno che lavorava per gli avvocati.

Ha rovinato tutto perché aveva una relazione con il ragazzo’.

È stata licenziata?’

Non tecnicamente, ma ha chiesto di andarsene’.

È pazzesco, sembra una storia uscita da ‘Eastenders’.

Povero ragazzo. Non stava nemmeno spacciando; è stato trovato con l’erba addosso. Ha finito per cavarsela, almeno per questa volta, con un avvertimento’.

La discussione era continuata, intensificandosi fino a diventare un ruggito di indigitazione, dell’impotenza del sistema giudiziario.

Il suo volto rimase stoico. «Questo non significa niente».

Keith si lanciò in avanti per strapparle le pagine dalle mani, dondolandosi da un lato all’altro.

«Quindi non stanno parlando di te?»

«Hai una relazione con uno spacciatore?»

Le sue mani tremavano mentre cercava di aggrapparsi alle pagine. «Dove li hai stampati?»

Le sue mani la afferrarono di nuovo.

«Ah, quindi stanno parlando di te?»

«Non ho detto questo. Dove li hai stampati?»

«Alla Biblioteca. Restituiscimelo, ok?»

«Chi li ha visti?»

«Quello che lavora alla scrivania».

Indicò le scale della cantina. «Hai aperto questo?»

Alzò le spalle. «Era aperto, quando sono arrivato qui».

«Non fare lo stupido, Keith».

«Ho passato anni a venire qui ogni giorno, certo. Conosco il posto dentro e fuori».

«Hai una chiave?» Me la devi restituire. Adesso il posto è mio».

«Non c’è speranza che ti restituisca la chiave!»

Lei ruggì. «Keith, vuoi smetterla?»

Il suo viso si contrasse quando lo vide cadere a faccia in giù dai gradini di pietra, con le pagine che gli volavano attorno.

***

Erano passati due mesi dalla morte di Keith. La sua morte avrebbe dovuto essere la risposta ai suoi problemi. Era il vicino più vicino, l’unico che rappresentava una minaccia per il suo piano.

Nessun altro, qui intorno, sapeva del suo segreto; era libera.

Keith era un «patito del bere», peggiorato da quando Monnie era morto. Non c’era alcun sospetto che non si fosse ubriacato e fosse caduto.

Nessun famigliare rimasto per esaminare le circostanze.

Non credeva nell’aldilà o nel paranormale, ma era sicura che Keith la stesse perseguitando.

Forse era paranoia. Non dormiva molto e aveva iniziato a fumare più del solito. Era l’unico modo in cui poteva dormire senza sognare Keith che strillava mentre le sue gambe corte cadevano sul suo corpo, con la testa che schizzava sul pavimento di pietra.

Una volta arrivato Asen, sarebbe stata bene.

Questo è quello che si disse di notte, quando sentì lo stesso scricchiolio sui gradini della sera in cui Keith era lì.

Erano le 2:34 del mattino. Si svegliò con il telefono che vibrava. Aveva fumato uno spinello e si era addormentata con lo spinello in mano.

Era Stefano. Il migliore amico di Asen. Non lo conosceva, gli aveva parlato solo una manciata di volte. Il suo cuore batteva forte.

«Oh Dio, Carla, non so cosa fare». Singhiozzava al telefono.

«Cosa c’è che non va?»

«Voleva farti una sorpresa».

«Cosa intendi?»

«È stato rilasciato presto da Mountjoy. Sarebbe venuto direttamente a casa e ti avrebbe fatto una sorpresa».

Si sedette dritta. «Cosa è successo?»

Lanciò un urlo. «Mi dispiace tanto. Avrei dovuto tenerlo d’occhio, ha mescolato troppo e troppo presto».

«È morto?»

Riattaccò il telefono e uscì, in cantina. Le luci forti della cantina le bruciavano gli occhi. Non era ancora cresciuto nulla all’interno, quindi prese della scorta che aveva comprato e iniziò a rollare.

Sbirciò nell’angolo; Keith le sorrise; i suoi denti coperti di sangue. Accanto a lui un altro omone.

Scoppiarono a ridere insieme.