La casa del giardino, Isac Paéz Catalan, Siviglia
25_Racconto vincitore Premio Energheia Espana 2015.
Traduzione di Laura Durando.
Poche volte si era sentita così sicura di qualcosa e nessuno ormai avrebbe potuto convincere Fabienne del contrario: il giardino era improduttivo. Non le bastava vedere i gatti o il suo cane scorrazzarci, quell’appezzamento aveva immense possibilità che non aspettavano altro che essere realizzate. Era da parecchio tempo che erano a corto di mezzi, suo marito Frédéric guadagnava sempre meno, entravano a mala pena clienti nella sua parruccheria in rue de Macau; e lei non aveva più contribuito agli introiti famigliari da quando aveva lasciato il proprio lavoro dopo la nascita del primo figlio. Però, da quel giorno, erano trascorsi già ventisei anni e suo figlio non viveva più con loro a Bordeaux, ma a Parigi, dove il giovane aveva trovato lavoro come bigliettaio di un cinema e si presentava di rado inaspettatamente dalle loro parti. Tante notti di veglia, tanta sofferenza e inquietudine mentre sono bambini per poi vederli un giorno uscire dalla porta come degli sconosciuti. I figli sono i parenti più lontani, diceva Fabienne a volte, arriva un giorno in cui si staccano dai genitori e si stabilisce una distanza che dura per sempre, estranei che condividono il cognome e poco più.
Fabienne aveva bisogno di sentire di poter fare qualcosa, le fatture li sfiancavano ogni volta di più e restavano loro ancora otto anni per finire di pagare l’ipoteca del locale della parruccheria. Fortuna loro, la casa l’avevano ereditata grazie a Frédéric, così come la Renault 4 che funzionava ancora perfettamente, Frédéric ne eseguiva di persona tutte le revisioni e accertamenti: a che pro spendere inutilmente i soldi in un’auto nuova potendo mantenerne una che avevano già. Tuttavia, da alcuni anni tutto andava peggio, veramente andava peggio per tutti, ma non era una consolazione. Entrambi abbandonarono alcuni dei loro piccoli vizi o spese straordinarie. Frédéric smise di comprare dischi in vinile su Internet e Fabienne mise da parte gli studi in letteratura. Ogni cosa a suo tempo, pensò, e alla sua età voler intraprendere una carriera universitaria sembrava ridicolmente naif. Ripose i libri di teoria della letteratura in scatole di vino che aveva conservato a scopo decorativo e si disse che ci sarebbe stato il tempo di riprendere a studiare in seguito. Smise anche di comprare le riviste di decorazione che le piacevano tanto, e quando passava davanti al chiosco dov’era solita comprarle chinava la testa o fingeva di paralare al cellulare. Eppure, in quelle riviste che aveva custodito negli anni trovò una via d’uscita alle ristrettezze economiche. Lesse un articolo su come in molti installassero capanne prefabbricate all’interno dei propri giardini e le utilizzassero come rifugio o alloggio per i figli: un’intimità oltre i muri dell’abitazione senza discostarsi dal concetto di focolare. Fabienne pensò di installarne una per affittarla a turisti stranieri, in fondo, Bordeaux era una città molto turistica, chi non avrebbe voluto visitare i suoi vigneti o mangiare ostriche al mercato, perciò non avrebbero dovuto mancare inquilini per tutto l’anno. Espose la sua idea a Frédéric, ma da dove tirar fuori i soldi per comprare la capanna, disse lui. Lei gli spiegò i suoi calcoli tutta emozionata: se il prezzo della capanna era all’incirca di 4.000 euro ma la affittavano a 400 euro la settimana, affittandola otto settimane in estate più tre settimane distribuite nel corso dell’anno avrebbero recuperato l’investimento, da lì in avanti sarebbe stato tutto guadagno. Bisognava solo convincere la banca a concedere quel piccolo prestito: Fabienne e Frédéric, infatti, mancavano di risparmi, avendo speso tutto man mano, e vivevano alla giornata come quando si erano sposati poco più che ventenni. Frédéric vide l’idea di buon occhio e decisero di andare in banca il giorno dopo.
Fabienne non riuscì quasi a chiudere occhio, ma iniziò la giornata entusiasta: si truccò, si fece due codini (che era la pettinatura che ostentava i giorni in cui era particolarmente bendisposta) e si mise il vestito aderente in vita che piaceva tanto a suo marito. Andarono in bicicletta fino all’ufficio della banca che rimaneva subito dopo aver attraversato il giardino botanico in direzione centro. Erano anni che si recavano in quell’ufficio e il direttore, quasi dovesse fare un favore che avrebbe messo in pericolo la propria incolumità, concesse un credito di 5.500 euro. Ora potevano comprare la capanna, aggiustare il giardino e equipaggiare la capanna con opportuni elettrodomestici. L’entusiasmo fu tale che già un mese e mezzo dopo era pronta per essere affittata. Lavorarono duramente per sistemarla, ricorrendo a tutto ciò che poteva essere d’aiuto: un amico idraulico, un parente elettricista, materassi usati di un vicino che traslocava. Così, alla fine, Fabienne poté contemplare la sua capanna in fondo al giardino e ci passava le ore a guardarla dal finestrone del salone, sognando inquilini che arrivavano da tutte le parti del mondo. E siccome il giardino aveva un suo ingresso dalla strada, non le restava che mettere una serratura con codice affinché gli inquilini potessero accedere a qualunque ora del giorno o della notte. Il codice, C2406X, lo scelse perché era la targa di un’auto che suo padre le aveva comprato negli anni Ottanta da un immigrante spagnolo che se ne tornava al suo paese. Quella targa spagnola si era scolpita nella sua memoria e non ne seppe mai il motivo, ma la ricordava così bene da essere la prima opzione che le venne in mente al momento della scelta del codice. Poi, mise l’annuncio su Internet e ogni giorno controllava la posta elettronica non appena poteva, nella speranza che qualche viaggiatore si interessasse alla sua accogliente capanna, almeno, così la descriveva l’annuncio.
In un paio di settimane arrivarono le prime risposte e chiuse le prime prenotazioni della capanna. Così sarebbe iniziata per loro una nuova tappa, ne era certa. Prima dell’arrivo degli ospiti ripassò tutti i dettagli della capanna, comprò del vino per accoglierli e mise delle persiane per dare maggiore intimità al soggiorno, salvo alla porta principale, il cui vetro fu coperto solo con una tenda scorrevole trasparente.
I primi inquilini furono una coppia di italiani appena sposati che viaggiavano per la Francia. Sembrarono felici del posto, perciò diedero il denaro, ricevettero il codice di accesso e la loro bottiglia di vino come regalo di benvenuto. Sarebbero rimasti una settimana, e data la forza smisurata con cui si sogliono iniziare i viaggi, i primi tre giorni si lasciarono a malapena vedere per il giardino. Fabienne si affacciava al finestrone ma non vedeva nessun movimento, si chiedeva se stessero bene nella capanna: quella prima esperienza era importante per sapere come indirizzare la nuova attività. Ma a partire dal terzo giorno cominciarono a trascorrere più tempo nella capanna. Fabienne e Frédéric, a luci spente, si accasciavano davanti al finestrone che dava sul giardino e li osservavano. Quegli italiani alzavano appena le persiane, eppure sì, intravedevano le loro sagome attraverso la tenda della porta principale. Ne intuivano gli abbracci mentre cenavano, la luce che si spegne e i bagliori della televisione rimanere a latere come un fuoco d’inverno. I restanti giorni che gli italiani rimasero lì, Fabienne e Frédéric li trascorsero osservandoli ogni volta che potevano. Quando osservavano non parlavano tra di loro, guardavano solo, nient’altro. Non ne traevano alcuna utilità, ma non riuscivano a smettere. E così accadde anche con gli inquilini seguenti, spegnevano le luci o si liberavano delle tende e si dedicavano a contemplare gli estranei come biologi ad analizzare il comportamento di una specie animale fino allora sconosciuta. Ogni visitatore con le proprie abitudini, orari e lingue; riuscirono a vedere litigi di coppie, sbornie fra amici, addii al celibato, qualunque tipo di atto sessuale. Anche se, più che vedere, si trattava di intuire grazie alle ombre riflesse sulla tendina dell’ingresso che faceva le veci di un lenzuolo dove si riflettevano le ombre cinesi di una realtà che altro non era se non la realtà delle loro osservazioni.
La capanna si affittava con frequenza e le cose cominciarono ad andare meglio. Presto, come aveva predetto Fabienne, recuperarono l’investimento, poterono alleggerire il debito e cominciare a vedere la luce alla fine del tunnel. Ricevevano ospiti quasi tutto l’anno. Nessuno si intratteneva normalmente più di una settimana; gli ospiti pagavano quando arrivavano e se ne andavano con discrezione. Fabienne sentiva che alla fine Frédéric apprezzava le sue iniziative, che non era più una semplice casalinga. Riprese anche gli studi in letteratura all’università e tornò a comprare le sue riviste di decorazione. Pure Frédéric recuperò alcuni dei suoi vizi congelati, ma anche se non se lo dicevano, ciò che ora amavano più di tutto era guardare gli ospiti, osservare gli estranei, interpretarne i movimenti nell’oscurità e riconoscerne gli atti dalle loro ombre. Come se guardassero, attraverso una spaccatura, la felicità che era loro negata. Se la spassavano ascoltando altre lingue, la tonalità distinta delle risa, i passi che scricchiolavano sul legno dell’atrio della capanna. L’osservazione divenne lo sport ufficiale del matrimonio per i tre anni successivi, tempo che per loro implicò la ripresa economica e il reciproco silenzio. A volte si parla per riempiere il vuoto di ciò che possono percepire altri sensi, loro lo sapevano, per questo parlavano a malapena, perché la vista si era piazzata davanti ai propri compagni di viaggio. E tutto continuò così fino all’arrivo di un ospite alquanto misterioso. Un giovane inglese che affittò la capanna per due settimane. Aveva pagato (come si doveva fare in quella casa) in anticipo, aveva ricevuto una bottiglia di vino e un panino come gesto premuroso di benvenuto, aveva ringraziato e si era chiuso nella capanna. Appena entrato, alzò tutte le persiane e sollevò anche la tendina trasparente che copriva l’ingresso principale, sistemò una sedia di fronte al vetro della porta e restò lì immobile a guardare verso la casa di Frédéric e Fabienne. Si insospettirono entrambi, quel giovane sapeva forse che lo stavano osservando? Era impossibile, guardavano sempre dai piccoli fori lasciati dalle persiane nelle giunture delle lamine, e nessuno avrebbe potuto avvertire cosa o chi ci fosse dall’altra parte. Il matrimonio, stranito, continuò a osservare il giovane senza che costui cambiasse posizione per ore, si muoveva solo leggermente per bere da un calice e segnare degli appunti in un taccuino. Il giorno dopo, quando Fabienne e Frédéric si alzarono, videro il giovane avere lo stesso atteggiamento del giorno prima. Si dedicarono alle proprie faccende, Frédéric in parruccheria, mentre Fabienne si incamminò per fare la spesa. Ma al ritorno il giovane era sempre lì. Non sapevano come interpretare la cosa, né cosa dirsi l’un l’altro. Quando le persone, a differenza degli uccelli, vengono osservate fissamente, e sono coscienti di quello sguardo, si paralizzano, si sentono in imbarazzo. Cominciavano a sentirsi entrambi seccati ad avere un simile degenere a guardarli senza sosta e a prendere appunti in un taccuino. Eppure non potavano dirgli niente, così facendo il giovane avrebbe saputo di essere stato osservato dai suoi padroni di casa, inoltre, era nel pieno diritto di fare ciò che credeva opportuno a patto che rispettasse le regole stabilite nel contratto d’affitto. E ogni notte si rivelava più inquietante della precedente, a vederlo lì prostrato, a scrivere e bere. Fabienne, chiaramente influenzata dalla sua vocazione di studentessa di letteratura, pensò che poteva trattarsi di uno scrittore, ma ne cercò il nome su Google e non comparve nemmeno un dato riferito alla persona che occupava la sua capanna. Fabienne giunse a sentire una certa eccitazione nel pensare che quel giovane poteva essere intento a guardarla, e nel profondo di sé smaniava per ciò che le parole e i gesti quotidiani si sforzavano di condannare, arrivò persino a credere di aver visto il giovane masturbarsi, ma dopo aver trascorso tanto tempo a fissare lo sguardo sullo stesso punto tutto diventava torbido e poco affidabile. Per quanto pensasse che si trattava di un pazzo e volesse vederlo andar via, la verità era che non le sarebbe dispiaciuto tenerlo lì, di fronte a lei, per un tempo indefinito, come un amante del quale analizzare ogni gesto. Frédéric, da parte sua, lo osservava con una specie di cameratismo professionale rispetto a sua moglie, come se avessero formato una società di osservatori che in realtà non vedevano niente dell’estraneo, e non è che non si rendesse conto dei pensieri più reconditi di Fabienne, ma semplicemente non gli davano fastidio; e quella stessa assenza di fastidio gli faceva maledire la freddezza che da tempo sentiva duramente nel suo matrimonio.
Giunto a scadenza il soggiorno, Fabienne decise di andare fino alla capanna per salutare il giovane e augurargli buon viaggio, anche se in realtà andava per cercare di scoprire qualcosa sull’atteggiamento enigmatico che aveva mostrato, unitamente alla sua necessità di vederlo. A differenza degli altri giorni, il giovane non era prostrato davanti alla porta, e nemmeno se ne intravedeva la sagoma all’interno. Fabienne, alla porta, chiamò svariate volte, ma non rispondeva nessuno, così decise di entrare per paura che al giovane fosse successo qualche guaio e per la pura curiosità di entrare e sapere cosa stesse accadendo. Aprì lentamente la porta e vide il pavimento completamente coperto di bottiglie vuote, avanzi di cibo, indumenti sporchi e fogli di carta con parole scollegate scritte in inglese come swan o singing; c’erano fogli anche sulle pareti: le sembrò l’opera di un vero pazzo. Del giovane inglese nemmeno l’ombra, era svanito come un fantasma. Fabienne impiegò più di tre ore a rimettere in ordine per l’arrivo degli ospiti successivi, e, quando si ritrovò con Frédéric all’ora di cena, parlarono per un paio di minuti su come fosse possibile che nessuno di loro si fosse accorto di tutto ciò che aveva fatto quel misterioso inglese. Poi, tornarono al solito silenzio, e mentre Fabienne guardava sorridendo la sua casella di posta elettronica sul cellulare, andarono avanti così, con il suono delle posate a far loro da unico testimone.