I brevissimi 2017 – La corsa di Valerio Cruciani_Roma
anno 2017 (I colori dell’iride – rosso)
Ecco il mio autobus, entra in viale Marconi, ancora mancano dei metri alla fermata, ce la posso fare, inizio a correre ma con questi tacchi non è facile, la borsetta è un po’ troppo pesante, la gonna non mi permette lunghe falcate, posso a mala pena restare accanto al bus che si avvicina al marciapiede, magari quel semaforo passa a rosso, ma no, è diventato verde, però l’autista deve rallentare, inizio a non avere più fiato, e ho fatto solo qualche metro, ora vedo la targa e la pubblicità posteriore del bus, ma non è troppo lontano, ecco, si avvicina alla fermata, posso farcela, mi fanno attraversare sulle strisce pedonali, ci sono quasi però riparte subito, c’era solo un ragazzo ad aspettare, comunque sembra che il traffico delle sei venga in mio aiuto, ci sono molti semafori da qui fino al ponte, continuo a correre, ora sono accanto al bus, il rosso fiammante della sua carrozzeria nuova mi incita, mi ispira coraggio, mi dice che non devo mollare, che anche io sono rossa dentro, questo non lo so, ma so che devo essere tutta rossa in faccia, ho le pulsazioni a mille, è da una vita che non faccio esercizio e sono un po’ ingrassata, la frangetta mi va davanti agli occhi, ogni tanto riesco a distogliere lo sguardo dal bus per concentrarmi sulle buche del marciapiede, sulle carrozzine, i bastoni, i cani e le bancarelle, senza perdere di vista il bus che ora è di nuovo a una manciata di metri di distanza, riesco a buttare un occhio sulle vetrine che ridono della mia immagine un po’ goffa, con questo tailleur grigio e la camicia bianca di Zara, i capelli sempre uguali, queste scarpe scomode di plastica rossa che mi stanno stritolando i piedi, corro proprio male ma corro, corro senza fermarmi, sono Forrest Gump sulla Marconi, ecco, ci avviciniamo alla prossima fermata, il bus si accosta, ci sono quasi, sto per raggiungerlo ma il semaforo pedonale diventa rosso, mi fermo per poco, giusto per non finire sotto il tir, poi riattacco a correre, ormai ho dimenticato cosa significhi respirare, avrò la faccia blu ma non importa, devo prendere quel bus per arrivare in tempo in ufficio, la puntualità è essenziale, ogni ritardo un cerchietto rosso sulla scheda, dopo cinque cerchietti rossi un’ammonizione, al decimo ritardo c’è il licenziamento, ed io sono già a nove cerchietti, ma non è colpa mia, è colpa di queste gonne strette, sembro zoppa, non mi piaccio proprio, meglio non guardare le vetrine e concentrarmi sull’autobus, che intanto porca miseria non mi aspetta ed è ripartito, ma io corro, continuo a correre e a respirare il rosso del suo retro brillante, mi annodo un fazzoletto di seta sulla bocca e sul naso per non mandare giù quintali di diesel, ce la devo fare, il bus non è lontano, continuo a leggere la targa, anche se ora ci vedo doppio, un passo dopo l’altro, l’interno delle cosce sembra di carta vetrata, la borsetta mi intralcia, la frangetta continua a coprirmi gli occhi, ma tra i capelli vedo sempre il bus rosso ciliegia che non si lascia prendere, ecco il ponte, un po’ d’aria fresca, il semaforo è verde, oggi ci sono solo semafori verdi, ed io mi lancio nel traffico e proseguo, passo tra benzinai e bancarelle di cocomeri rossi, la fermata è lì, il bus però non si avvicina, la lucetta rossa al suo interno non lampeggia, nessuno deve scendere né salire, per fortuna una strettoia provocata da un incidente obbliga l’autista a rallentare, ma non lo arresta, niente e nessuno può fermare il bus infernale rosso pomodoro che avanza a dieci metri da me, quindici, poi sette, cinque, sono sempre più vicina, quasi inciampo su una radice ma vado avanti, le calze si strappano, il fazzoletto si snoda e cade a terra, non perdo di vista il bus, manca poco, ce la devo fare, ancora un milione di metri e arriva la fermata, ora riesco addirittura ad accelerare, non so da dove io stia prendendo ossigeno, forse sono già morta, ma corro, vedo i finestrini laterali, la gente che mi osserva, alcuni fanno il tifo per me, un altro bus lo fa rallentare, lo sto superando, ecco la fermata ma il mio autista accelera all’improvviso e mi mostra di nuovo la targa posteriore, che intanto si è quadruplicata, vedo angeli intorno a me e sento solo il rumore graffiante della mia respirazione irregolare, il sangue pompato dal cuore in fiamme che mi batte nelle orecchie, corro, il bus è sempre lì, siamo sulla Colombo, potrebbero falciarmi da un momento all’altro ma arriviamo a una piazzola.
Scendono tutti. Mi butto a terra e sbuccio via le scarpe cercando di morire in una posizione dignitosa.
Mi rendo conto che siamo al capolinea. Ho superato la mia fermata da un pezzo.
Il mio capo sta aggiungendo il decimo cerchietto rosso sulla mia scheda.
Devo alzarmi per prendere il bus nell’altra direzione e, stavolta, scendere alla mia fermata. Posso spiegare, posso evitare quel cerchietto, ma ho bisogno di ossigeno, mi fa male tutto il corpo.
L’autista riparte senza di me. Vedo tutto rosso.
È un papavero che cresce tra cacche di cane e buste di plastica.