La costruzione del carro di cartapesta in onore di Maria SS. della Bruna
Il Carro 1996, fotografie: Piero Lasalvia, Domenico Bia, Dino Cotrufo
Le foto in bianco e nero sono relative a un lavoro fotografico frutto di una regolare frequentazione della fabbrica del Carro, avvenuta per diverse settimane del 1996. L’autore del manufatto fu Michelangelo Pentasuglia mentre Angelo Chico ne realizzò la struttura lignea. Nelle intenzioni di Pentasuglia il Carro di quella edizione avrebbe dovuto essere uno dei più appetibili dal punto di vista degli oggetti da poter conquistare al momento della distruzione ma, come noto dalla cronaca, pochi giorni prima del 2 luglio, giorno della Festa della Bruna, fu dolosamente incendiato e distrutto. Si riuscì a ricostruirlo, ovviamente molto diverso dal disegno originale, solo grazie ad un assemblaggio di pezzi donati da numerosi possessori di frammenti conquistati in anni precedenti. Un esito interessante che, partendo da un’emergenza, realizzò un’idea casuale e collettiva. La documentazione fotografica qui presentata è quindi la sopravvivenza di un oggetto che assunse una forte carica simbolica anche fuori dal rito della giornata del 2 luglio.
Il Carro 2006, fotografie: Dino Cotrufo
Le immagini a colori si riferiscono alla costruzione del Carro del 2006. Gli autori furono Francesco e Pasquale Nicoletti. Alla realizzazione però, per la prima volta, vi partecipano diversi altri collaboratori, potendosi così definire, il manufatto di quella edizione della festa, un’opera quasi collettiva. Caratteristica della costruzione di questo Carro è l’urgenza dell’anziano Francesco Nicoletti, attraverso il figlio Pasquale e alcuni giovani collaboratori, di trasmettere le sue conoscenze artigiane.
Il carro trionfale di Dino Cotrufo
Alla fine del ‘600, epoca a cui sembra risalire la prima costruzione del carro trionfale, le immagini sacre venivano stabilmente portate in processione nella località di San Pardo, secondo la leggenda luogo di apparizione della Madonna a un contadino. La data era quella del 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, quando il carro doveva essere stato ultimato in tutti i particolari e tirato fuori dal recinto in cui era custodito e rimanere all’aperto per essere ammirato dai cittadini. Era la prima apparizione pubblica del carro, data rimasta peraltro inalterata fino ad anni recentissimi, da quando cioè l’appuntamento è stato anticipato. Si sa che il carro era guidato, nei primi anni dopo la sua introduzione nella festa, da un cocchiere della famiglia Malvezzi(1), raramente dal cocchiere delle famiglie Pomarici o Del Duce. Lo storico locale Mauro Padula rileva, sottolineandone la continuità, come dopo le guglie, le piramidi, i castelli con le statue, le fontane, le navette, dapprima usate come supporto per i fuochi d’artificio e poi anche per il trasporto della Madonna in processione, si passi, verso la fine del ‘600, al carro trionfale(2). Dagli atti a disposizione risulta che il primo carro possa essere stato allestito nel 1690 a opera del falegname Leonardo Traietto che ne curò l’ossatura e la parte lignea ricevendo in cambio un ducato e quattro carlini, mentre la parte pittorica fu eseguita quasi certamente da don Leonardo Angelino(3). Risulta, dall’analisi degli atti, che il carro nei primi anni dopo la sua introduzione nella festa, non veniva distrutto e che venivano fatte costruire statue colorate e coperte di vesti di stoffa(4). Il carro successivo fu costruito dopo sette anni dal primo e per l’occorrenza vennero tessute nuovamente tele per ricoprirne le statue(5); date le spese ingenti si fece ricorso a contributi straordinari, oltre alle donazioni dell’arcivescovo Del Ryos, che versò la somma di cinque ducati. Diversi facoltosi cittadini: artigiani, canonici, maggiorenti e commercianti, in numero di 186, ne donarono 81. Con queste donazioni anche le classi medie legate alle professioni, mostravano di voler rafforzare il loro ruolo nella festa della Bruna, e il carro, elemento grandioso nello scenario tutto sommato modesto che aveva fino ad allora caratterizzato la festa, bene si prestava a essere strumento di esibizione dello status economico e sociale raggiunto alla fine del XVIII secolo da alcune famiglie di commercianti e artigiani locali. Gli amministratori della cappella, per poter conservare il carro, si preoccuparono di creare un recinto nella zona di San Pardo nei pressi di contrada San Lazzaro, e per maggior sicurezza l’ingresso fu murato. Ha inizio la consuetudine di ritoccare ogni anno il manufatto, che se non veniva distrutto, necessitava comunque di rinnovi nella parte ornamentale fatta, come ricordato, di carta dipinta e di alcune statue decorate di stoffa. Il compenso era limitato solo alla mano d’opera per il decoratore e il falegname, in quanto la cappella forniva tutto il materiale occorrente: “carta straccia, carta bianca, carte speciali, oro, argento, passa perle, pece navale, centre, colori diversi, colla carniccia ed altro”(6). Da notare come il carro subisse danni durante la lunga processione anche a causa delle strade malmesse, inoltre alcune parti di esso venivano offerte per devozione ai collaboratori più meritevoli(7). Ancora oggi una parte anteriore viene donata all’auriga, altre parti invece spettano per consuetudine all’autore del carro.
Nel 1754 si costruisce un lamione(8 che è servito per il ricovero e l’allestimento del carro fino all’anno 1957, anno in cui per costruire la nuova chiesa dall’Annunziata, nell’attuale rione Piccianello, furono abbattuti sia il lamione che la preziosa chiesa barocca preesistente. Il carro diviene rapidamente un’opera legata sempre più al suo esecutore e richiede sempre più tempo e risorse finanziarie per la sua realizzazione. Per tutto il ‘700 e l’800 la cappella continua a mettere a disposizione il materiale occorrente per la sua fattura. Il responsabile della sua realizzazione è per contratto un solo artigiano e se nel 1700 si offrono 12 ducati, la somma si attesta a venti ducati nel 1779 per salire a 46 nel 1800; nel 1813 si arriva eccezionalmente a 1649(9). Per quest’ultima opera l’incarico è affidato a Francesco Antonio Guarini, il quale realizza un carro fuori dell’ordinario, più grande del solito, tanto che è necessario resecare gli stipiti della Porta de Suso(10) per farlo passare e permettergli di giungere in piazza del Duomo. Dopo la notevole spesa di quell’anno per quasi un decennio fu imposta la conservazione del manufatto che aveva “dieci statue di legno di cui due venute da Napoli; quelle fatte localmente erano vestite di stoffa, ornate con fettucce, trini e velo crespo, avevano parrucche, orecchini, collane e ornamenti per la testa: una delle statue femminili raffigurava la Giuditta mentre le statue maschili avevano sciabola, lancia, ecc.”(11).
Non si fa menzione nei documenti, fino al 1831, di una nuova costruzione del carro, quello utilizzato è sempre lo stesso, la scarsezza dei mezzi suggerisce evidentemente un contenimento delle spese e in ogni caso questo confermerebbe che l’assalto al carro, nei termini in cui oggi è vissuto dai materani, è un’abitudine tutto sommato recente. Dal 1860, e per alcuni anni, il carro diventa palcoscenico di rappresentazioni sacre, “alcuni ragazzi mostrano il mistero di Adamo ed Eva”(12), l’anno seguente è la volta del mistero di Giuditta e nel 1866 appare un suonatore di basso a cui si uniscono alcuni cantori(13). Si tratta di una variabile interessante nell’uso del carro anche se solo una parentesi, sarà infatti presto abbandonato per motivi non chiariti dalla documentazione storica. Rimane forse un semplice tentativo di riproporre le rappresentazioni sacre assai diffuse fino al XV secolo in area mediterranea.
Il carro della Bruna è sempre stato costituito, fin dalla sua apparizione, di tre parti fondamentali, l’anteriore con il posto dell’auriga sormontato di norma da una proiezione di angeli e di colombe, la parte centrale occupata da immagini a tutto volume in cartapesta ed esprimenti il tema evangelico dettato dalla curia arcivescovile, la terza, a forma di torretta, riservata alla statua della Madonna, protetta posteriormente dallo “splendore” o “sfera”, una sorta di baldacchino. La base su cui è poggiata la statua è collegata a un argano che permette di abbassarla durante la processione in corrispondenza di alcuni passaggi critici, come ad esempio quello attraverso la porta di Suso e quelli sotto i cavi elettrici della pubblica illuminazione o sotto alcune basse luminarie.
Il carro è stato da sempre strettamente legato al suo autore, inteso come il decoratore del manufatto, mentre la struttura di legno sulla quale è creata l’opera, oggi interamente di carta pesta dipinta, è opera di un mastro falegname scelto dal decoratore, il quale comunque ne rimane sempre l’unico committente(14).
Alla costruzione si sono succedute vere e proprie dinastie di artigiani e non sempre materani: i Conversi, i Bonamassa, i D’Antona, i Pentasuglia, gli Epifania, i Nicoletti, per citare i più famosi. Alcuni hanno allestito il carro per più anni: Nicola Domenico Buonsanti, attivo nei primi decenni del ‘700, non ha interrotto la sua prestazione per un decennio ma il primato spetta a Nunzio Bonamassa che ne è stato autore per oltre trent’anni, mentre la sua famiglia ne ha curato la costruzione per circa ottanta tra ‘800 e ‘900. Tra i più prestigiosi vanno ricordati però Giovanni Battista e Vito Antonio Conversi, Francesco Saverio D’Antona, Vito Epifania, Francesco Paolo Pentasuglia e Francesco Nicoletti, i quali, durante la loro attività artigiana, all’impegno per la realizzazione del carro trionfale hanno affiancato un intenso lavoro di pittura, decorazione e restauro di opere sia religiose che profane anche fuori dalla città di Matera, come è il caso soprattutto dei Conversi.
Dall’osservazione visiva dei bozzetti e delle fotografie(15) di repertorio relative al carro della Bruna, si osserva nel tempo una sostanziale aderenza al modello “navalis” o “a navicula” o “a vascello”(16), che rimanderebbe a tipologie simili diffuse nell’area del mediterraneo. È noto che nell’antico Egitto e nella Grecia classica si svolgevano vere e proprie sfilate su queste navi su ruote in occasioni soprattutto di feste nuziali. Anche in Italia l’uso di queste macchine da festa è ben documentato, durante il Rinascimento infatti, artisti come Leonardo e Brunelleschi si sono dedicati alla preparazione di carri trionfali con rappresentazioni allegoriche per celebrare sovrani e mecenati. In Europa, tra ‘600 e ‘700, si diffuse l’uso di carri ricchi di suggestive scenografie spaziali sui quali prendevano posto musici e attori per esibirsi in rappresentazioni teatrali riproducibili così facilmente di piazza in piazza, di città in città. Questi erano prevalentemente di due tipi: a “vascello” o a “candelone verticale”, riferito al cero votivo, alla torre o a una guglia. Col tempo questi carri, creati da architetti e realizzati da artigiani qualificati, hanno acquistato una raffinata eleganza di forme e volumi tanto da essere utilizzati spesso dai potenti come strumento di propaganda in particolari e solenni occasioni civili. L’esposizione di queste scene allegoriche sembra abbia perso col tempo l’originario intento laico per assumerne sempre più uno di tipo religioso, legato cioè al momento processionale dedicato al Santo patrono nelle feste popolari.
Lo straccio del carro è certamente uno degli elementi più affascinanti e carichi di implicazioni simboliche della festa della Bruna. Allo smembramento “violento” vengono di solito assegnati significati legati al rinnovamento, al ritorno alla vita dopo la morte, al susseguirsi ciclico delle stagioni e alla pienezza dopo la spoliazione autunnale. Significati più precisi e funzionali sarebbe necessario però trarne dalle interpretazioni dei partecipanti in un contesto di ricerca etnografica che qualifichi la voce dei protagonisti dell’assalto al carro, evento a cui l’osservatore occasionale normalmente assegna una generica valenza “arcaica”.
1 Malvezzi era una famiglia nobile di grandi proprietari terrieri di origine veneta.
2 Cfr. M. Padula, C. Motta, La visitazione e la festa della Bruna cit., p. 106.
3 Cfr. Quinterno Bruna minore, Archivio Arcivescovile, Matera, 1690.
4 Ivi, 1695,1696.
5 Ivi, 1697.
6 Ivi.
7 Ivi.
8 Locale lungo e stretto, di solito con volta ad arco e con al massimo una sola finestra sul muro di fondo.
9 Cfr. Quinterno Bruna minore, Archivio Arcivescovile, Matera, 1813.
10 La porta di sopra, all’ingresso di piazza Duomo.
11 Cfr. Quinterno Bruna minore, Archivio Arcivescovile, Matera, 1813.
12 Cfr. Ivi, 1860.
13 Notizie frammentarie dai quinterni della Bruna minore, Matera, 1860-1866.
14 Con il falegname viene, a volte, stipulato comunque un contratto distinto.
15 Cfr. A. Giampietro, Giampietro, S. Longo, Matera: Le strade e la memoria, Matera, Paternoster, 1992.
16 Nel quinterno della Bruna minore del 1678 si parla di “Barchetta”.