La faccia del dolore_Michael Thang’wah
_Racconto finalista quarta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione a cura di Lucrezia Lenti
Lo sbattere delle porte e gli spari scossero improvvisamente l’aria gelida
di quella notte sonnolenta. Nella stanza, crivellata dai colpi, mio
padre giaceva, morto, in una pozza di sangue e mia madre, cieca, si straziava
dal dolore: il dolore di un’anima sconvolta e mutilata; il dolore di
un futuro incerto, di una giustizia rinviata, di una giustizia negata.
Ne aveva passate tante mia madre, nella sua vita. Fin dalla tenera età,
mi aveva confidato di essere stata spesso vittima di incesto per mano di
mio zio. A scuola, il preside la convocava spesso nel suo ufficio con il
pretesto di assegnarle dei premi come riconoscimento per i suoi successi
scolastici o per gli ottimi risultati ottenuti nelle attività extra-curriculari.
Era davvero una ragazza modello, mia madre, eppure ciò che accadeva
in quell’ufficio la faceva sentire sudicia, inutile e abusata.
Nonostante le sue qualifiche, non era riuscita a trovare lavoro. In tutti
gli uffici in cui era andata la richiesta era sempre la stessa: i suoi diplomi
e qualcos’altro. Del resto, essendo una donna, lei era “avvantaggiata”,
per dirla alla maniera del suo presunto datore di lavoro. Per ingraziarselo
ed ottenere il lavoro di cui aveva disperatamente bisogno, bastava
che lei fosse carina con lui. Per qualificarsi doveva superare un colloquio
a letto e soddisfare la lussuria del suo capo. E lei si sottopose a tutto
questo, con frustrazione ed umiliazione.
I guai non tardarono ad arrivare; mia madre rimase incinta e fu mollata dal
suo capo. Fu lasciata a marcire da sola, abbandonata nell’oblìo più profondo.
Nessuno era disposto ad aiutarla e fu costretta a vivere alla giorna-
ta almeno per portare avanti la gravidanza. Si ritrovò in un tunnel buio senza
il più piccolo barlume di luce che affievolisse quelle tenebre angoscianti.
Alla mia nascita la situazione si fece insostenibile. Fui accolto da un mondo
crudele ed ostile. Alla disperata ricerca di una vita migliore, mia madre
accettò una proposta di matrimonio per diventare una seconda moglie.
Sembrava l’inizio di una vita piacevole e promettente. Poi le cose
precipitarono. Mio padre e mia madre giocavano come il gatto con il
topo e scherzavano con il fuoco, senza sapere che ci si può scottare. Discussioni
con la prima moglie, un marito ostile, insopportabile e continue
ripicche: lei sopportava tutto questo per me.
Sono forse io figlia di un dio minore? Una reietta? Un vita fatta di stenti,
con i miei genitori sempre sul piede di guerra, azzuffandosi su una
vita amara, quasi come a voler esorcizzare la miseria. Fu durante una
di queste liti che gli occhi di mia madre furono strappati, divorati, da
mio padre ubriaco.
Certo che la vita è crudele. Dopo essere sfuggita all’ordalia mortale di
mia madre, mi ritrovo ad affrontare una vita di solitudine. Non riuscivo
a sopportare il dolore, sì, il dolore visibile sulle facce livide dei miei
fratelli morti. Non potevo immaginare che mia madre avesse assoldato
una gang per assicurarsi che l’anima di mio padre finisse all’inferno per
non ritornare mai più.
Gli assassini erano appena scappati via che si sentivano già le sirene della
polizia a tre isolati di distanza. Il mio cuore cominciò a tremare, diventando
sempre più debole ad ogni battito. Non potevo aspettare di vedere
mia madre trascinata via in macchina dagli sbirri. Il mio istinto mi
diceva di scappare ed io fuggii senza sapere dove.
Chi mai si ricorderebbe del giorno in cui sono nata? Perché sono stata
concepita – per soffrire ? perché non sono nata morta? Ora riposerei in
pace!
Vorrei essere morta e ora me ne starei in cielo. Là dove il male non ha
più potere e dove gli oppressi trovano riposo. Là non si sentono più le
urla dell’oppressore. Non esistono divisioni di classe, di status sociale,
non si soffre più.
E questo mondo sarebbe casa mia? Ho per cibo il mio dolore e per acqua
le mie lagrime. Ciò di cui ho paura accade, ciò che mi terrorizza
piomba su di me. I miei tormenti mi impediscono di riposare. Proprio
le cose che mi rivoltano costituiscono ora il mio nutrimento nella malattia.
Come uno schiavo che agogna l’ombra, ho davanti a me mesi di
futilità e notti di sofferenza. Se dico che il mio giaciglio mi conforterà,
che allevierà le mie pene, sono atterrita dall’insicurezza e terrorizzata
dalle minacce.
Se decido di soffocare i miei gemiti, dietro la maschera di un viso sorridente,
la paura mi afferra al pensiero delle mie sofferenze. Se mi metto
a faticare duramente, il mondo mi scaraventa in un letame, mi imbroglia
e mi deride. Sono abbandonata nel dolore e nella fatica: è forse
la mia vita segnata da un destino infausto? Chi mai si ricorderebbe del
giorno in cui sono nata?
La nube è così spessa e scura.
Che niente sembra andare bene,
e una spina mi lacera la carne,
un cuore gettato nella spazzatura.
Eppure da ogni nube traspare sempre un raggio di luce.
Perché è nascosto solo a me?
Lasciando i miei occhi così ciechi,
da impedirmi di vedere?
E’ una pillola troppo amara da ingoiare,
la rifiuto fin dentro il midollo.
La pillola di un domani incerto.
Nel dolore, voglio gridarlo a tutta la nazione.
Sporca e tatuata,
non valgo più nulla,
le lagrime mi inondano le guance,
l’angoscia è il mio unico nutrimento.
E’ davvero colpa mia
se devo ardere in questo fuoco?
La mia vita è una notte senza fine,
senza il minimo bagliore che affievolisca le tenebre.
Malattie da combattere,
povertà da sradicare.
Che fare?
Scendere a compromessi con il malgoverno?
Abbracciare la legge della giungla?
Le loro facce si girano per guardarmi,
l’aria si riempie dei loro mormorii,
delle loro dita frenetiche puntate verso di me,
eppure nessuno sembra badarmi,
sbronzandomi
metto a nudo il mio cuore.
La vita è ingiusta. Mentre io vivo alla giornata, nel pianto e nella più abietta
povertà, altri mangiano e bevono, godendo e piangendo lagrime di piacere;
si possono permettere un pasto di lusso per il loro cane, ed anche i
biscottini per tenerlo in forma. Io invece, serva nella loro casa, dormo in
magazzino, su una stuoia, mangio i loro avanzi, quando ce ne sono. Lavoro
duro per guadagnare una manciata di soldi. Certo che la vita è ingiusta.
Perché gli altri devono godere della mia fatica e del mio sudore?
Ho paura di alzarmi e di parlare, e sebbene sia piegata dalla miseria, io
voglio vivere ed il mio cuore è forte.
E’il destino che fa venire al mondo? Adesso sono per strada e non ho niente
per sopravvivere. La gente mi circonda ma nessuno sembra badare a
me, mi considerano una minaccia. Li fisso con uno sguardo penetrante,
uno sguardo che implora amore. Ma nessuno sembra accorgersene. Mi lanciano
soltanto occhiate sospette e fanno finta che io non stia parlando con
loro; continuano a camminare, affrettando sempre più il passo e mi superano.
Mi siedo vicino ad un pilastro, in una spaventosa solitudine, in questa
strada così piena di traffico e di gente. Sono anch’io piena di speranze
e di desideri. Vorrei tanto che qualcuno mi guardasse con amore e mi
dicesse: “Ti va di venire a mangiare con noi stasera?” Mio Dio, come
sono rari questi inviti, se mai ce ne sono.
I miei sogni sono infranti.
Si aprono nuove ferite,
nessuno mi rivolge un sorriso,
nessuno mi accompagna per un po’,
mi lanciano soltanto sguardi cupi
che prostrano la mia anima.
Aspetto al semaforo.
Ma per cosa?
Donne e uomini seri
suonano il clacson, aspettano il verde
così potranno ripartire, veloci,
ed evitare sporchi idioti
come chiamano quelli come me.
Ingoio la pillola più amara
maledicendo il giorno in cui sono nata.
Loro vedono soltanto le lagrime
ma non sentono quanto dolore ho dentro.
Faccio schioccare le mani sporche ed appiccicose, chiedo l’elemosina
sperando fortemente di avere qualche spicciolo dai passanti,
ma neppure un soldo,
neanche un boccone nella spazzatura.
Vedo solo passare veloci Benzes.
Sì, tutti i tipi di modelli,
ma nessuno sembra notare la mia presenza.
Un’ombra cala sulle mie audaci speranze.
Sto crescendo disprezzata, reietta!
Le notti per strada sono pericolose. E’ il momento in cui l’istinto animalesco
prevale sull’ego dell’uomo con tanta forza da spingerlo a fare
qualsiasi cosa per soddisfarlo. Tremo alla vista degli uomini. Per me sono
tutti delle bestie. Come lo chiamereste voi uno stupratore? Uno che
ha menomato e corrotto la mia innocenza? Come un ferro incandescente
che brucia tutto ciò che tocca, ha deturpato la mia innocenza quando
avevo otto anni. Sotto quel suo petto pesante e peloso, su quel pavimento
ruvido, io mi sentivo disperata e inerme.
Alle mie grida soffocate, rispondeva picchiandomi e neppure i miei singhiozzi
lo intenerivano.
Si affannava, ansimava come se stesse facendo una bella cavalcata,
senza curarsi di quanto io fossi piccola e minuta. Era deciso a deturparmi
fino in fondo, senza la minima vergogna, senza nessuna pietà.
Mi lasciò là, sul pavimento, sfigurata nel mio essere donna. Mi ritornarono
alla mente, con amarezza, i giorni della mia infanzia: ero stata
rifiutata sin da quando ero nel ventre di mia madre e non avevo mai avuto
una figura paterna. Il tempo non aveva curato le mie ferite, nonostante
il matrimonio di mia madre con un alcolista. Io odio sussurrare, “mi stuprava
sotto minaccia”. Quindici anni dopo il ricordo ancora mi sconvolge,
come se fosse ieri.
Il destino mi ha costretta ad imboccare una strada di vanità. Accorciò
la memoria della mia esperienza con gli uomini e mi ritrovai di nuovo
sulla strada. Questa volta a guadagnare bene per conto mio. Diventò una
vita intensa e di piacere. Decidevo io con chi e cosa … soltanto per soldi.
Quanti feti sono finiti nella spazzatura nel tentativo di mantenermi
attraente. Mi guadagnavo da vivere ebbra di piacere. Ma non senza
AIDS. Ora la mia vita è imprevedibile. Con un corpo macilento che sembra
quello di un camaleonte malnutrito, senza vigore, senza anche per
ancheggiare, con una femminilità sfigurata ed una morte violentemente
in agguato, la vita non è più la stessa.
Ci vuole tempo per curare le ferite del passato, e molta pazienza per attendere
quello che il domani ci offrirà. Con i miei sogni nel cassetto e le mie
speranze frustrate, ho paura di restare zitta; ho paura di alzarmi e di parlare.
Perché la natura è così crudele? Mentre giaccio nel mio letto penso: “quando
sarà giorno?” E poi appena arriva il giorno penso: “quando arriverà la
sera?” Questo pensiero mi tortura, mi lascia a marcire in silenzio.
Che senso ha la mia vita? Giacere qui inerme aspettando che la morte mi
trascini sotto terra? Troppo vicina alla gente e tuttavia troppo lontana per essere
accettata, senza che mai mi abbiano mostrato una briciola di umanità.
Vorrei poter rivivere la mia adolescenza! Lavorerei instancabilmente per ricostruire
la mia vita. Vorrei che voi ascoltaste! Adesso! Affinché non cadiate
nel precipizio, per ritrovarvi soli, senza aiuto e disperati, a marcire in
silenzio. I vecchi bidoni puzzano, l’acqua dei sotterranei è amara. I pilastri
cedono, come si reggerà in piedi l’edificio? La spazzatura riversa mi porta
verso una immensa discarica, lasciandomi senza fiato, soffocandomi. Mai
desiderare di condividere la coppa del piacere: è troppo eccitante assaporarla
ma poi ti sputa addosso tutto il suo veleno e ti porta alla tomba.
Un mattino di rugiada inondato di “sangue”.
Urla e sangue di un’anima abbandonata,
paramenti neri coprono il dolore,
i gemiti di una vita sprecata.
Addio cara nostra sorella,
una ferita che tu hai lasciato e che nessuno può curare.
Non meritavi di morire nella lusinga.
Addio, ci rivedremo.
“Noi ce la faremo,
sì, un giorno ce la faremo.
Quando la razza umana sarà felice,
per guarire le ferite della storia e vivere nella luce”.
Esiste un Dio che regni oltre la storia?
È Lui che dovremmo cercare!
È Colui che guarisce la nostra follia,
che muove la nostra fortuna perduta.
Questo è il gemito di tanti cuori. Tutti cercano un cuore sollecito e desideroso,
un cuore che possa offrire gioia e senso alla vita. Un cuore pronto
a sacrificarsi per il bene di un altro. Chi curerà il mondo dal cancro
della corruzione? Chi fermerà questa terribile malattia, l’AIDS? Chi porrà
fine alle violenze nella famiglia? Esiste una soluzione a tutti questi
mali della vita? La risposta è nei nostri cuori.