La geopolitica di Damasco: tra ambizioni e problemi
Il caffè geopolitico – Siria 5 Febbraio 2011 di Marina Calculli
Il 2011 si è aperto per la Siria con una serie di nuovi dilemmi. Il regime di Bashar al-Assad, da tempo in cerca di un ruolo più centrale nella definizione degli equilibri regionali, si è trovato a confrontarsi con l’onda tellurica degli eventi che ha colto impreparati tutti i regimi arabi. Ecco quali sono le prospettive per Damasco
AMBIGUITA’? – Il vuoto di potere regionale che affligge il mondo arabo e musulmano dalla caduta del regime di Saddam Hussein e l’affacciarsi sulla scena di molti aspiranti egemoni non perfettamente in grado di farsi riconoscere da tutti gli altri attori come tali, ha fatto montare negli ultimi anni le ambizioni siriane sulla possibilità di eleggersi a nuovo “faro” della regione – ma soprattutto del mondo arabo – rispolverando niente più che uno dei principali e più datati cavalli di battaglia della propaganda baathista, che vede la Siria come fulcro naturale della “arabità”. Al contempo, tuttavia, numerose difficoltà interne hanno imposto al regime una discreta cautela nel muoversi sullo scacchiere regionale, facendogli prediligere una politica estera improntata alla multidirezionalità – una sorta di riproduzione meno strutturata della dottrina turca “0 problemi con i vicini” – che serve al regime per prendere tempo di fronte ai dilemmi sul futuro assestamento della regione. La Siria infatti nell’ultimo periodo ha rafforzato le sue relazioni con il Golfo, con l’Iran, con la Turchia e – sebbene sotto il segno dell’ambiguità – anche con i paesi occidentali. La gestione della crisi politica del vicino Libano, che nelle ultime settimane ha portato alla caduta del governo filo-occidentale di Saad Hariri e ad uno spostamento di maggioranza a favore della coalizione capeggiata dal partito di Hezbollah – direttamente sostenuto dal regime di Bashar al-Assad –è esemplificativa del pragmatismo che modella la politica estera siriana. Sul piano strutturale l’obiettivo della Siria, costretta dopo la “rivoluzione dei Cedri” del 2005 a rimuovere il controllo militare che esercitava sul Libano fin dal 1976, è quello di riprendere ad avere quanto meno una preminente influenza politica sul paese. Nel perseguire questo scopo, Bashar al-Assad ha mantenuto un tavolo privilegiato con l’Arabia Saudita, anch’essa direttamente coinvolta negli affari interni del Libano per la vicinanza con la famiglia Hariri e per i suoi ingenti investimenti nel settore dell’edilizia libanese; contemporaneamente il presidente siriano si è mosso in modo da non urtare i suoi rapporti con l’Iran, ideologicamente e politicamente legato all’Hezbollah libanese. La Siria ha strettamente bisogno dell’Arabia Saudita per motivi principalmente economici. Le relazioni commerciali tra i due paesi sono nella fase più fiorente della loro storia (nel 2010 gli scambi hanno raggiunto i 2 miliardi di dollari annui) e anche gli investimenti sauditi in Siria sono cresciuti notevolmente.
I RAPPORTI CON TEHERAN… – Dall’altro lato, tuttavia, il regime siriano, legato da un duplice filo di alleanza e rivalità con Teheran, sembra orientata a voler mantenere salda la relazione con il regime degli Ayatollah. Le ambizioni egemoniche iraniane in realtà disturbano Damasco, che di certo non ha gradito l’ovazione sciita con cui Ahmadinejad è stato accolto in Libano nell’Ottobre 2010 (anche perché è proprio a partire dal Libano che la Siria vorrebbe accrescere il suo potere geostrategico) ed è rassicurata dalle sanzioni internazionali che almeno per il momento pongono un freno all’ascesa iraniana. Tuttavia la Siria sembra essere cauta al cospetto dell’Iran, timorosa di poter perdere eventuali ricadute positive dipendenti dalla ascesa egemonica di Teheran.
… E CON WASHINGTON – Sul versante occidentale il regime siriano ha cercato negli ultimi anni di normalizzare anche le relazioni con USA e Unione Europea. La rinomina dell’ambasciatore americano a Damasco nel febbraio 2010 (che era stato ritirato nel 2005 a seguito dell’omicidio dell’ex premier libanese Rafic Hariri, di cui la Siria fu ritenuta mandante) è stato, se non un segno di disgelo delle relazioni USA-Siria, quanto meno un forte riavvicinamento. Anche in questo contesto è bene sottolineare che la riconciliazione non è stata tanto orientata dagli USA ma piuttosto dalla Siria. Sul piano economico interno, infatti, il regime ha negli ultimi anni aperto moltissimo alla liberalizzazione e al settore privato, mettendo in pratica una serie di riforme tese ad attirare sempre più investimenti da parte dei paesi occidentali. Grazie alla recente apertura economica il tasso di crescita del 2010 è stato del 4% (così anche nel 2009). Se però in questo momento alla Siria non conviene inimicarsi troppo l’Occidente, tuttavia, la normalizzazione delle relazioni non è stata priva di ambiguità. Gli USA infatti non accettano che Damasco continui a finanziare Hezbollah e Hamas, entrambi ritenuti dall’amministrazione americana gruppi terroristici (Obama ha infatti rinnovato nel marzo 2010 il Syria Accountability Act, che prevede una serie di sanzioni economiche e diplomatiche contro il paese) e la cosa non piace di certo neppure a Israele, che più volte di recente ha prospettato la possibilità di un confronto militare aperto.
LE QUESTIONI INTERNE – Sul piano interno, nonostante la crescita economica positiva degli ultimi anni, i problemi non mancano. Con le rendite petrolifere in calo costante da oltre 10 anni e le stangate che i cambiamenti climatici stanno dando all’agricoltura, principale settore produttivo del paese, la Siria ha sul tavolo una serie di sfide non poco impegnative, cui ha cercato di rispondere con l’adozione dell’economia sociale di mercato. A ciò si aggiunge una popolazione giovanissima (il 34,7% della popolazione ha meno di 15 anni) e in rapida crescita che si confronta con un tasso di disoccupazione quasi al 10% (non elevatissimo ma consistente).
RISCHI? – Il malcontento della popolazione nella repubblica siriana non è differente da quello del resto delle piazze arabe che in questi giorni stanno facendo il giro delle TV mondiali e la natura repressiva del regime non ha fatto da tampone all’effetto contagio della protesta: da due giorni infatti circolano su Facebook appelli a manifestazioni contro il governo di Bashar al-Assad. I vertici del partito Baath non si differenziano certo dagli standard dei regimi arabi autoritari sia per l’alto tasso di corruzione sia per i benefici di cui godono le élites politiche. Certo, qualora le proteste esplodessero anche nelle piazze siriane, la risposta dei militari sarebbe dura e devastante. Tuttavia è chiaro anche al regime che; se il pugno di ferro potrebbe inibire l’esplosione del malcontento, l’agenda delle riforme sociali non potrà essere procrastinata ancora per molto.