I brevissimi 2016 – La gola e il cuore di Anna Paola Lacatena, Taranto.
Anno 2016 (I sette peccati capitali – la gola)
Trotterellando tornava da scuola con una cartella rossa in spalla.
Quel luogo, considerato il divieto di accesso durante il servizio, si faceva mistero e magia.
Usciva la donna a darle un bacio e di tanto in tanto si affacciava ad una finestrella dalla quale, suonando un campanello, richiamava l’attenzione degli addetti alla sala.
Un sorriso, una strizzatina d’occhio, la rassicuravano sulla durata dell’attesa: «… ancora qualche minuto, piccola.»
Danzava quella donna tra i fornelli, inondata dagli odori dei piatti in cottura.
Con il tempo, la bambina aveva imparato a distinguerli.
Dolce e avvolgente era il profumo del pan di spagna che si levava di consistenza delicata dal forno a tre paini.
Più intenso e aspro di vino rosso evaporato era quello dell’arrosto alle mele verdi.
Uno dei suoi preferiti restava, però, il tocco di noce moscata sullo sfritto di carne del sugo alla bolognese.
Di tanto in tanto la donna rimescolava, lasciando sobbollire a fuoco lento, quella mistura rossa.
Esondava gorgogliando il pomodoro a cui, per eliminare acidità, vedeva spargere in superficie qualche granello di zucchero.
Il piatto fondo, quello piano, il piattino da dessert. Ad ogni pietanza il suo spazio. Il pieno e il vuoto. Il bianco e i colori.
Sentiva nelle sue narici la prestanza del composto all’arrabbiata da cui pungente si levava la prepotenza del peperoncino.
Un grande cucchiaio di legno, un mestolo, una spatola, tutto le sembrava una bacchetta magica nelle mani della sua fata.
Pentole, padelle, coppapasta, fruste, grattelle, tutto le appariva prodigioso in quel regno incantato.
La vedeva muoversi con grazia tra i fuochi, allestire con armonia tutta femminile ogni singolo componente sui piatti da portata. Sentiva il privilegio di essere creatura nata da quel potere creativo che si rinnovava di vita e alimenti ogni giorno.
Era un mistero per lei solo la pentola a pressione, se c’era quello strano attrezzo in cottura non poteva rimanere in quel laboratorio dalle mille invenzioni neppure per un istante. Si era sentita ripetere tante volte «…è pericoloso!».
Nell’attesa sentiva espandersi l’appetito. Doveva aspettare, però. Attendere il giusto tempo. La cucina in fondo è il sacrario monumentale dell’attesa e del tempo. E la bambina voleva condividere il pasto con lei.
La vista, l’odore, anche solo il pensiero le producevano “acquolina in bocca”.
Ancora qualche minuto.
«… via al 3! Due tagliate e un salmone. La cucina calda è chiusa!»
Sapeva che quella meravigliosa ingiunzione non avrebbe tardato a rivelarsi.
Solo allora la bambina correva ad abbracciare la donna, mentre il grembiule della stessa le restituiva di odori il menù del giorno.
Le bastava affondare il nasino in quella divisa per sentire la passione con cui la donna portava avanti il suo lavoro. Finalmente poteva stringerla forte, se la sarebbe mangiata tanto il suo amore le faceva gola.
Quella bambina ora è una donna. Ama cucinare anche se i dolci non le sono mai riusciti, troppo anarchica per un settore dove la precisione è indispensabile.
Preferisce i salati.
Ricorda ancora le parole che le sono state donate: «La cucina è arte… quello che servi è piacere… non avere fretta…».
Ricorda gli odori del suo grembiule, le temperature alte della cucina, il sapore della crema assaporata in una coppetta… come un gelato che nessuno aveva mai il tempo di portarla a comprare.
Ha due pentole a pressione in casa ma non le ha mai usate.
Quella di cui affiorano alla mente ancora tanti ricordi era la cucina del ristorante della sua famiglia.
Quella donna era sua madre.