I brevissimi 2018 – La luce dorata del palcoscenico di Flaminia Sterbini_Zagarolo(Roma)
_ Anno 2018 (I sette colori dell’iride – Il giallo)
Il sonno si era già posato sulle palpebre di cemento della città, che risuonava dei pochi passi di viandanti solitari. Una figura bianca come uno spettro si avvicinò lentamente alla balaustra del Pont Marie. I capelli corvini le ricadevano sulla vestaglia, sottile nonostante il freddo. La figura aggraziata poggiò i piedi nudi sulla balaustra di pietra e allargò le braccia, come se stesse per mettersi a danzare. I lampioni la illuminarono di luce dorata e i rami degli alberi fremettero come spettatori estasiati. Vivienne Delaney alzò sguardo alle stelle: fatemi dimenticare ciò che ho fatto pensò, fatemi diventare come voi, un punto luminoso nell’oscurità. Poi si lasciò andare. La caduta fu la sua ultima, insuperabile, mossa di danza.
Parigi, Estate 1876
Jacques, lo scienziato, entrò nel teatrino dai grandi becchi a gas fiammeggianti e roboanti manifesti. Il volantino recitava “Oggi ballerà per la delizia dei vostri occhi, Vivienne Delaney, un angelo sceso in terra…”. Si sedette in fondo per evitare i suoni striduli dell’orchestra, ma quando il sipario si alzò i suoi occhi non riuscirono più a staccarsi dalla figura che danzava al centro del palco, circondata da un’aurea dorata. Vivienne Delaney era la creatura più bella che avesse mai visto. Due trecce nere incorniciavano un viso incantevole, con dolcissimi occhi viola. Volteggiava come un albatros, come un granello di polvere. Jacques si sentì pervaso da un languido veleno, mai provato prima. Capì in quel momento che l’avrebbe amata per sempre.
Lo scienziato era poi riuscito a conoscerla: all’apparenza era ingenua come una bambina, ma aveva un’anima più profonda e oscura. Un argomento la ossessionava: le luci del palcoscenico. “Quelle luci sono così belle, calde come un abbraccio materno. Appena salgo sul palco non esiste più niente se non quelle luci gialle e accecanti. Jacques, farò qualunque cosa esse vorranno.” E aveva fatto qualunque cosa. La sera in cui Jaques aveva finalmente deciso di dichiararsi lei lo aveva rifiutato gentilmente quanto freddamente, inconsapevole di come gli stesse spezzando il cuore. Un ricco magnate della finanza, noto per il suo carattere violento, l’aveva notata e l’aveva convinta a sposarlo promettendole di farla ballare all’Opéra. “Lì le luci saranno molto più intense, ne sono sicura”, aveva detto.
Jacques aveva brancolato fino alla sordida cantina in cui viveva, distrutto ma risoluto. Aveva lavorato tutta la notte alla sua più grande creazione: una copia perfetta di Vivienne, una bambola così realistica da sembrare vera. Con gli occhi luccicanti di un fervore maligno, alla luce di un fulmine, lo scienziato si era chinato su di lei per portarla alla vita.
Parigi, Primavera 1877
Finalmente Parigi aveva superato quell’inverno freddo e incolore, e il giallo delle mimose illuminava la città. Vivienne poggiò il cesto dei fiori da vendere sul terreno. Non era la vera Vivienne, la famosa ballerina suicida dopo aver ucciso il marito che non amava, ma la copia. Si ricordava perfettamente il momento in cui Jacques aveva letto del suicidio sul giornale. Aveva iniziato a tremare, poi l’aveva guardata con odio. “Lo so che non si è suicidata, sei stata tu ad ucciderla!” aveva gridato. “Ti sei ingelosita perché non sei mai riuscita ad essere come lei!”. A quel punto aveva alzato un coltello per colpirla, ma si era bloccato alla vista delle sue lacrime. “Se solo le somigliassi un po’ di più” aveva sussurrato. Poi se n’era andato e lei non l’aveva più rivisto.
Vivienne, seduta accanto al suo cesto di fiori, sentì una musica lontana, portata dal vento. Uno strano impulso la costrinse a chiudere gli occhi e a sentirla palpitare nel petto. Lentamente iniziò a danzare. Anche quando la musica era sparita, lei danzava, seguendo i movimenti delle nuvole e degli astri nel cielo. Dietro le sue palpebre un puntino giallo e luminoso si allargò fino a diventare una luce dorata accecante, come quella di un palcoscenico.