La perifrastica attiva e Woody Guthrie_Maurizio Bettelli
_Nell’America degli anni ‘30, quando il frantoio della grande crisi sbriciolava i risparmi di una nazione e le tempeste di polvere soffiavano vite e speranze da un confine all’altro del Grande Paese, c’era una canzone che andava per la maggiore: This World Is Not My Home (Questo mondo non è la mia casa). Era un inno metodista che veniva cantato durante le funzioni religiose in molte parrocchie del Midwest degli Stati Uniti. La canzone diceva, più o meno, “questo mondo non è la mia casa ed io sono qui solo di passaggio, le mie ricchezze sono tutte al di là del cielo, gli angeli mi chiamano su dalle porte socchiuse del paradiso, e io non mi sento a casa in questo mondo qua”. Woody Guthrie, testimone e cantore di quegli anni e di quell’America, non poteva sopportare quella canzone e comprese immediatamente l’effetto che quei versi avevano sulla gente schiacciata dalla miseria e dalla disperazione. Era come se quella canzone dicesse loro di attendere e di essere miti, perché alla fine sarebbero stati ricompensati, ma… in un’altra vita, in un altro mondo. Era come se quel canto suggerisse loro di accettare la fame, la disoccupazione, le baracche e i disagi. Gli diceva di non scioperare, di non ribellarsi, di rassegnarsi all’inevitabile: in una parola, di non agire. Woody Guthrie prese quella canzone, tenne la melodia, ma ci mise dentro altre parole. Le parole che ci mise dentro sostenevano semplicemente che questo era il suo mondo, che questa era la sua casa e che proprio questo era il tempo di vivere e di agire. E se qualche banchiere senza scrupoli, o qualche strozzino spietato, avevano depredato lui e tutti quei poveracci dell’Oklahoma derubandoli delle loro cose e delle loro case, era giunto il momento di reagire, di riprendersi il diritto di vivere con dignità.
Oltre che cantare l’esodo dalle campagne del Midwest e le lotte sindacali degli anni ‘40, Guthrie è stato testimone e cantore del New Deal rooseveltiano, dell’entrata in guerra degli USA nel secondo conflitto mondiale e di tante altre vicende ancora. Ha potuto assaporare, seppur brevemente, i frutti della ripresa economica del dopoguerra e della grande accelerazione del consumismo di massa degli anni ’60 prima che la malattia lo mettesse definitivamente a knock-out.
In quegli anni di crescita e di benessere le macine del frantoio, almeno temporaneamente, si erano fermate. Si erano fermate soprattutto perché una certa politica tentò di alzare gli occhi dalla miseria e dalla rassegnazione, e si sforzò di spingere lo sguardo più avanti e più in alto. Non certo verso le porte semiaperte del paradiso e il richiamo degli angeli – come cantavano i metodisti del Midwest – ma verso una linea di possibilità e opportunità in continuo divenire: quella che il brain trust attorno a Kennedy aveva avventurosamente chiamato la Nuova Frontiera: “… non è una frontiera che assicuri promesse, ma soltanto sfide, ricca di sconosciute occasioni, ma anche di pericoli, di incompiute speranze e di minacce”. E quella Nuova Frontiera stava chiedendo all’uomo degli anni’60 di sfidare l’impossibile, di alzare lo sguardo e spingersi oltre. Avevano capito che per tenere in pausa il frantoio era fondamentale muoversi, avanzare, agire. Perché se ti soffermi a contemplare nostalgicamente il passato, o a corrodere con ragionamenti sterili e intrisi di trascendenza ogni tentativo di spinta propulsiva, ecco che la macina del frantoio si rimette in moto alimentata dal rassegnato pessimismo e dall’inazione.
Questo però non significa che devi agire freneticamente e senza meta, per il solo fine di stare in movimento. È necessario trovare una misura per tenere in equilibrio l’energia spesa nella definizione degli obiettivi e quella impiegata per raggiungerli, così da garantire un movimento continuo e in costante progressione. Soffermarsi troppo sull’analisi dei dati o muoversi in percorsi circolari senza soluzione di continuità sortirebbero il medesimo risultato: fare ripartire il frantoio.
Quando Felice Lisanti mi ha chiesto di intervenire con una mia riflessione sul concetto di futuro remoto, gli ho istintivamente risposto che… avrei cercato di ripassarmi il futuro, così da capire meglio il remoto che verrà. Mi resi conto subito che la consecutio temporum era andata in malora! Trattandosi di tempi verbali, ho pensato che un piccolo aiuto potesse arrivare dalla grammatica, e visto che si trattava di ripassare il futuro, lo sono andato a cercare proprio sui libri di scuola. La grammatica italiana non prevede l’uso, e nemmeno contempla l’esistenza, di un tempo futuro remoto, mentre la grammatica latina (ah… i classici!) propone un interessantissimo participio futuro che ci spalanca le porte alla perifrastica attiva.
E cos’è la perifrastica attiva? Non proprio il paradiso metodista, ma – per quanto mi riguarda – una via di salvezza per uscire da questo ginepraio! Ecco qua: la perifrastica attiva è una perifrasi che esprime l’imminenza di un’azione, l’intenzione di fare qualcosa e la predestinazione a compierla, ossia tutte quelle sfumature che sussistono in italiano con le circonlocuzioni «sto per», «mi accingo a», «sono sul punto di», «ho intenzione di», «sono destinato a», «sono in procinto di», etc. Ecco allora che se mi trovo nella condizione di essere destinato a fare qualcosa, o se sono sul punto di farla, vuol dire che qualcosa si sta già muovendo: vuol dire che l’azione ha avuto il sopravvento sulla rassegnata inazione. Vuol dire che il frantoio tace.
Quello che Felice Lisanti e gli ideatori e i curatori del Premio Energheia hanno fatto, è stato creare e poi mantenere attiva la loro iniziativa culturale, rifornendola di energia come se si trattasse di un motore da mandare avanti, ripetendosi ogni giorno: “sto per organizzare la prossima rassegna del premio”. E così ogni anno, da vent’anni, Felice Lisanti e compagni hanno dato la possibilità a giovani scrittori di farsi leggere e conoscere in Italia e all’estero. In questi anni il premio Energheia ci ha regalato nuove parole e nuove storie, migliorando la nostra visione del mondo e, contemporaneamente, indicando una via da seguire per tenere lontana Matera – e con essa tanto meridione, d’Italia e non solo – da certe gabbie e certi cliché costantemente in agguato. Negli ultimi anni, il Premio Energheia ha anche fornito un pilastro importante a quel ponte sottile e in balia delle correnti che si sforza di tenere insieme e in armonia le scritture del Mediterraneo, offrendo la possibilità di un dialogo anche a quelle voci che non sempre sono in grado di ascoltarsi, o disposte a parlare la stessa lingua. In sintesi: i ragazzi del Premio Energheia sono riusciti a tenere in pausa le macine del frantoio, senza guardare al passato e senza arrendersi con rassegnazione a quello che verrà, ma rimboccandosi le maniche e operando con passione e determinazione perché quel motore continui a scoppiettare e a produrre ancora energia vitale per tutti.
Aveva proprio ragione Woody Guthrie quando sosteneva che il tuo tempo è ora, che il tuo mondo è questo, che la tua casa è qui… e sono certo che, se fosse tra noi in questo momento, sicuramente Woody canterebbe che il tuo futuro remoto è adesso!