La realtà africana
fotoracconto finalista Premio Kaleidos Africa’s Pictures 2012_di Fabio Maratia
sezione 18-19 anni
“L’acqua non ha frontiere, è una risorsa comune che necessita di cooperazione internazionale.”
Questo è uno degli undici principi stabiliti dal Consiglio Europeo di Strasburgo nel 1968, il quale creò così una Carta dell’Acqua, la quale afferma il valore di tale risorsa e ne da indicazioni sulla sua tutela. Da quella data fino ad oggi si sono susseguiti una moltitudine di consigli generali tutti aventi lo scopo di tutelare l’acqua e renderla accessibile anche a quelle popolazioni più povere, quella che da sempre sono definite “Popolazioni in via di sviluppo”. Nonostante ciò la situazione in questi paesi soprattutto in Africa rimane grave: qui la popolazione lotta ogni giorno contro le intemperie del caldo afoso e della siccità che distrugge i raccolti e uccide gli animali, e non solo; infatti ogni anno, a causa della mancanza di quello che è stato definito dall’Onu “Oro blu”, muoiono circa 8 milioni di persone e il dato più terribile è che tra questi 8 milioni ci sono ben 3.900 bambini che rischiano la vita ogni giorno.
“L’accesso all’acqua in quantità (40 litri al giorno) e in qualità sufficienti alla vita deve essere riconosciuto come diritto costituzionale umano e sociale, universale, indivisibile e imprescrittibile”.
Questo è invece quello che viene stabilito nel 2° Forum Alternativo Mondiale a Ginevra del Marzo 2005: ci si chiede, però, come mai ciò non accada in questi paesi dell’Africa? Sono per caso esenti da tale diritto costituzionale umano e sociale? Hanno o no diritto a 40 litri di acqua al giorno? E perché nel XXI sec. dobbiamo ancora assistere a orrendi scenari del genere? Tutto ciò appare dunque inconcepibile, e inconcepibili sono anche i forti contrasti con il mondo industrializzato, mondo in cui sono sopraelevati gli sprechi di tale “Oro blu”: il problema è proprio questo, il fatto che non si consideri paragonabile all’Oro tale risorsa, perché è proprio l’Oro, purtroppo, il vero Dio di questo mondo e se l’acqua fosse considerata allo stesso modo magari non vi sarebbero situazioni di tale degrado.
Degrado visibile anche nelle “abitazioni” , se così si possono chiamare, dove queste popolazioni vivono. Ogni giorno milioni di africani percorrono, così, molti kilometri per portare nelle loro capanne una piccola quantità di acqua che basta se non altro al loro difficile sostentamento. Sarebbe dunque il caso di non parlare più di uno stile di vita, bensì di sopravvivenza per cui tali popolazioni sono costrette a passare la giornata alla ricerca di una fonte di sostentamento capace almeno di assicurargli la sopravvivenza di un giorno. Qui vi è inoltre un forte contrasto visibile all’interno dello stesso continente, senza il bisogno di ricercarlo all’interno dei paesi industrializzati: infatti mentre gran parte della popolazione vive all’interno di baraccopoli dove le estreme condizioni igenico-sanitarie sono causa di migliaia di morti, poco più in la nelle regioni poco più sviluppate (come ad esempio Zanzibar e Kenya) si assiste ad un’orrenda speculazione dove è il grande mercato del turismo a far da padrone. Così mentre nelle baraccopoli c’è chi lotta per la sopravvivenza, in Zanzibar e in Kenya c’è chi lotta per assicurarsi la proprietà di una enorme villa con splendida vista sul mare (vista questa che cancella, così, la vista delle baraccopoli che potrebbe creare vari disagi morali a chi vuole trascorrere una bella vacanza!); per questo su internet vediamo apparire slogan del tipo:
“Ecco un modo diverso, diretto e affascinante per vivere la tua vacanza indimenticabile in Kenya: una villa con piscina magari da condividere con famiglia o amici. Tutti i servizi e comfort inclusi. “ (servizi magari offerti da africani scampati alle baraccopoli che però ora sono vittime dello sfruttamento).
O ancora
“Al centro dei due complessi sorgono due meravigliose piscine a disposizione degli ospiti. Data l’importante richiesta d’affitto per questa tipologia di villa, l’acquisto diventa un ottimo investimento.” (Per loro è giusto così, anziché investire sulle associazioni Onlus che lottano ogni giorno per un’Africa diversa)
Così ancora una volta è visibile come il “Dio Denaro” sia in grado di sovrastare di importanza le condizioni disastrose di una società e, come se non bastasse, di specularci sopra, al fine di trarne giganteschi guadagni.
Ovviamente l’acqua e le baraccopoli non sono gli unici problemi che la società africana deve fronteggiare; infatti l’altro rischiosissimo tema è quello del cibo. Come l’acqua anch’esso scarseggia e rende sempre più difficili le condizioni di sopravvivenza della popolazione. Così di recente molte sono state le associazioni che si sono poste come obbiettivo quello di portare viveri e dunque sostentamento, se non a tutta la popolazione, ma almeno alla maggior parte. Per questo si è cercato di trovare “cibi alternativi”, che anche in piccolissime quantità riescono a favorire la sopravvivenza dell’individuo. Nonostante ciò anche riguardo a questo tema sorgono contrasti molto forti, come quelli messi in luce da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food (fondato a Parigi il 1989;“si pone come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto innanzitutto come un piacere ed è pensata come risposta al dilagare del fast food e alla frenesia della vita moderna, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche), il quale afferma come anche in questi paesi sottosviluppati vi sia un’enorme spreco di cibo, in quanto si scartano i cibi locali per importare quei cibi a lungo conservabili: ciò viene definito dal sociologo come una “iattura”, poichè rende la popolazione in qualche modo “tossico-dipendente” di quei cibi che vengono da fuori a basso costo. Così, afferma ancora Petrini, mentre in occidente bisogna ridurre lo spreco di cibo, che avviene per “sciatteria, per poca attenzione”, -come lui stesso dice – nei paesi poveri bisogna creare quelle infrastrutture in grado di conservarlo, le strade per portarlo nei villaggi e l’elettricità per la sua refrigerazione: tutti fattori, questi, assenti e che provocano così un dispendio enorme di cibo.
Vi è un altro fattore importante che viene messo in luce dallo stesso Petrini, quando gli vien fatta una domanda: “Alla luce della crisi economica che investe l’Occidente, i paesi ricchi ce la faranno a dare una mano a quelli poveri?”
Lo studioso risponderà facendo l’esempio emblematico dell’Italia i cui aiuti alle popolazioni povere, sono pressoché nulli non per niente è ultima nella classifica generale degli aiuti. Di seguito afferma che in un periodo di recessione come il nostro proprio questo rapporto che manca nei confronti di questi paesi, sarebbe invece la chiave giusta per risanare l’economia; continua, poi, dicendo che la causa effettiva di questa ultima posizione nella classifica degli aiuti è dovuto a troppi “tagli” fatti dal governo, che, come dice lui stesso, “ha tagliato tutto”. A constatazione di ciò vi sono gli ultimi responsi della Caritas i quali affermano che la povertà in Italia è aumentata e 8,3 milioni di italiani (pari al 13%) vivono in condizioni di indigenza (purtroppo, come dice Pertini, sono “abbandonati a se stessi”). Fare dunque investimenti in questi paesi sarebbe la chiave per uscire da queste crisi finanziare e ambientali, e allo stesso tempo la chiave per salvare milioni di persone che ogni giorno in Africa lottano contro malattie, siccità, mancanza di acqua, cibo e condizioni igenico-sanitarie adeguate. Per questo la loro e la nostra salvezza parte da noi, l’unico motore in grado di cambiare realmente qualcosa, dare una svolta positiva a queste pessime condizioni sociali e morali in cui siamo costretti a vivere, anzi Sopravvivere.