La storia della dolce Katiwa_Cosmos M. Nzilili
_Racconto finalista sesta edizione Premio Energheia Africa Teller.
Traduzione di Katia Basile
Katiwa era una giovane ragazza, figlia della prima moglie di suo padre.
Aveva una sorellastra Kaala, nata da suo padre e dalla sua seconda moglie.
Perse sua madre in tenera età e spettò a suo padre e alla madre di
Kalaa occuparsi dell’educazione delle due ragazze. Era da poco morta
sua madre, che si imbatté nell’ostilità della sua matrigna. Non riceveva
mai abiti, né gioielli come le ragazze della sua età, mentre per Kaala si
compravano sempre gli oggetti più belli dell’intero villaggio. Suo padre
non immaginava che sua figlia orfana ricevesse un così terribile trattamento.
Ogni giorno Katiwa doveva recarsi al fiume e nella boscaglia per procurarsi
la legna. Al suo ritorno era la sola a preparare la colazione, il
pranzo e la cena. Doveva lavare gli indumenti dei genitori, occuparsi
delle faccende domestiche e lucidare persino i gioielli della sorellastra.
La sua matrigna la picchiava per qualsiasi piccola omissione nei suoi
compiti quotidiani a tal punto che non riusciva a capire se aveva lavorato
bene o male.
Una mattina si recò al fiume per prendere l’acqua. Dopo aver riempito
d’acqua la calebassa si accorse che il coperchio di legno era caduto nell’acqua.
Pensò: “Come farò a tornare a casa senza il coperchio? Mia madre
mi ucciderà”. Era sconvolta. La sola alternativa era quella di cercarlo.
Si avviò verso il fiume facendosi largo tra le piante acquatiche
che incontrava alla ricerca del vecchio coperchio di legno. Sopraggiunse
la notte e non lo aveva ancora trovato. Dormì nelle grotte sulle
sponde del fiume e si svegliò molto presto al mattino per proseguire la
sua ricerca.
Ad un tratto scorse nell’acqua una grande varietà di perle e di conchiglie.
Non aveva mai visto nulla di così bello. Nemmeno i gioielli che la
sua matrigna comprava per Kaala erano così belli. Subito dopo udì una
voce. “Ehi, passante, prendili per te”. “A ciascuno il suo, non prendo
ciò che non conosco”, rispose soddisfatta e proseguì la sua ricerca. Scese
la sera e non aveva ancora trovato il coperchio. L’avrebbero ammazzata
se fosse tornata a casa senza il coperchio. Nella boscaglia trovò un posto
in cui dormire. L’indomani proseguì con fermezza la sua ricerca.
Lungo il corso del fiume vide altri bei gioielli come quelli che una sposa
indossa sempre il giorno delle nozze. Erano così belli che si sedette
lì solo per ammirarli. All’improvviso una voce gridò: “Ehi passante, fa’
come ti pare”. “A ciascuno il suo, non prendo ciò che non conosco”, rispose
per le rime. Fu più volte allettata dagli oggetti lungo il corso del
fiume che ebbe la tentazione di prenderli per sé.
Trascorsero molti giorni e non aveva trovato il coperchio. In una giornata
particolarmente soleggiata si riposò sotto un albero che cresceva
sulla sponda del fiume. Mentre stava lì tutta sudata, sentì una pesante
goccia cadere sulla sua spalla sinistra. Volse il capo e scoprì che era
una goccia di miele. Fece finta di niente e continuò a riposare. Un’altra
goccia cadde sulla sua spalla destra. Era un’altra goccia di miele.
La ignorò, si sedette e si appisolò. Al suo risveglio si guardò intorno
stiracchiandosi. “Fumo!”. Si sorprese nello scorgere del fumo dopo tanti
giorni nella boscaglia. Si era nutrita di frutti selvatici e di acqua durante
le giornate in cui aveva camminato lungo il fiume serpeggiante,
alla ricerca del coperchio della sua matrigna. A breve distanza dal
fiume, vide del fumo uscire dal tetto di una piccola capanna di paglia.
Non riusciva a capire dove fosse esattamente. “Forse se andassi in quella
casa potrei incontrare della gente?”. Stava pensando al da farsi. “Potrebbero
farmi un altro coperchio?”. Non c’erano risposte ai suoi continui
interrogativi. Decise infine di recarsi in quella casa, avrebbe potuto
trascorrere lì la notte per poi proseguire con la sua ricerca la
mattina seguente.
Nella piccola capanna viveva un’anziana signora che la accolse cor-
dialmente senza chiederle nulla. La donna le diede la coda di un grasso
agnello su cui sedersi, del porridge con del latte e le mostrò il luogo
in cui riposare. Al suo risveglio, verso sera, l’anziana signora appena
conosciuta le diede del miglio per rimuovere la pula con mortaio e pestello.
Con sua grande meraviglia batté soltanto una volta e tutta la pula
andò via. Le mostrò il camino dove preparare la cena. Non riusciva
a capire per quale motivo o in quale modo, ma si sentiva a casa e si fermò
lì a lungo. Per tutto il tempo si sedette sulla coda d’agnello che le
era stata data il giorno in cui era arrivata. L’anziana donna la trattò come
una figlia. Non pensò più al coperchio perduto.
Un giorno l’anziana donna chiese a Katiwa se desiderasse ritornare a
casa del padre. Katiwa era molto emozionata. Sentiva la mancanza di
tutti. All’improvviso sentì il bisogno di vedere suo padre, la sua sorellastra
Kalaa e la sua matrigna. Non ricordava più le percosse che
aveva ricevuto né il coperchio perduto. Disse immediatamente alla persona
che l’aveva ospitata che le sarebbe piaciuto tornare a casa. Come?
Non lo sapeva, non sapeva neanche quale direzione prendere. Quella
sera l’anziana donna le diede due bidoni. Uno era oleoso, ma tenuto
con cura, l’altro era molto vecchio, danneggiato, in stato di abbandono
e incenerito. Le chiese di sceglierne uno, entrarvi dentro e chiudere
gli occhi. Scelse il bidone incenerito, vi entrò e chiuse gli occhi. Poco
dopo aprì gli occhi e si ritrovò sul soffitto di legno della casa di suo
padre. Era sera e gli animali erano appena stati portati in casa. La sua
matrigna aveva mandato Kaala ad accendere il fuoco. Il camino era
proprio sotto Katiwa.
Mentre Kaala stava accendendo il fuoco, sentì alcune gocce cadere e
spegnerlo. Gridò alla madre: “Qualcosa sta spegnendo il fuoco dal soffitto”.
Sua madre fece finta di niente. Cercò di riaccendere il fuoco, ma
si spense di nuovo. Corse via spaventata lamentandosi che qualcosa sul
soffitto stesse urinando sul camino. Sua madre decise di accendere il camino,
ma si trovò davanti alla stessa terribile situazione. Suo padre decise
di scoprire che cosa potesse essere successo. Chiese il suo arco e
frecce ed ordinò a chiunque o qualunque cosa fosse sul soffitto di scendere,
altrimenti avrebbe colpito. Katiwa si identificò ad alta voce davanti
all’incredulità dei suoi parenti. “Allora, perché non scendi, figlia
mia?”, le chiese suo padre. Katiwa gli spiegò: “prendi della vecchia pelle,
distendila con della cenere in direzione dell’apertura del soffitto”. Tutta
la famiglia era in preda a qualsiasi tipo di stato d’animo.
Il padre seguì le istruzioni e invitò la figlia che aveva perduto a scendere
dal soffitto. Non appena aprì la porta del soffitto, una luce abbagliante
irradiò la casa del padre. Katiwa indossava gioielli magnifici e
preziosi. Emanavano bagliori di luce dappertutto. Indossava gioielli
che ogni ragazza avrebbe sognato, oro, diamanti, argento e perle di ogni
tipo. “Non può essere Katiwa, o almeno quella che ora dovrebbe essere
morta! Deve essere un fantasma”. Erano tutti increduli. Il padre era
più confuso di tutti gli altri membri della famiglia. Pensò e disse ad alta
voce: “Perché ha chiesto della pelle incenerita quando sta scendendo
con così tanti bei gioielli?”.
Katiwa si sedette sulla pelle incenerita, era davvero lei, suo padre ne fu
felice. La sua matrigna provò un misto di odio, invidia e gelosia, la sua
sorellastra fu felice perché Katiwa avrebbe certamente diviso i suoi
averi con lei. Appena si sedette raccontò l’intera storia, dal momento in
cui aveva perso il coperchio, aveva temuto di ritornare a casa senza di
esso, era andata alla sua ricerca e aveva trovato l’anziana donna che si
era presa cura di lei per tutto il tempo in cui era stata via. Il padre commosso
sgozzò una capra e festeggiò il ritorno della figlia perduta.
Trascorsero alcuni giorni e Kaala le chiese dei gioielli. Katiwa spiegò
gentilmente: “Poiché tua madre è viva e compra tutto quello di cui
hai bisogno e poiché io non ho nessuno che mi compri qualcosa, per
favore lasciami stare con i miei gioielli e lascia che tua madre ti compri
quelli più belli”.
Pervasa dalla gelosia e dall’invidia, Kaala decise di seguire il fiume come
Katiwa aveva fatto. Un giorno si recò al fiume e dopo aver riempito
d’acqua la calebassa vi fece cadere il coperchio per poi immergersi
nelle acque alla sua ricerca. Per lei fu una vera e propria caccia al tesoro.
Voleva andare in quei luoghi dove Katiwa aveva trovato i suoi gioielli.
Non molto lontano vide perle e conchiglie scorrere nell’acqua. “Ehi
tu, passante, prendili”, la invitò una voce. “Sì!, Sì! Deve essere stato qui!”.
Pensò alla bellezza di Katiwa mentre raccoglieva i gioielli. “Oh, no!”,
c’era solo acqua tra le sue mani. Continuò lungo il fiume. Tutta la sua
attenzione si riversava sui gioielli e non sul coperchio. Vide bellissimi
anelli, collane e molti altri oggetti scorrere nel fiume. La stessa voce la
invitò “Raccoglili!”. Non c’era nient’altro che acqua nelle sue mani e
nessun gioiello nel fiume.
Era affranta, ma decisa a tornare a casa solo dopo aver trovato i gioielli,
come Katiwa aveva fatto.
Dopo aver trascorso molti giorni e notti nella boscaglia senza trovare
nient’altro che inviti, trovò l’albero dove Katiwa si era riposata. Non
appena arrivò lì, una goccia di miele le cadde sulla spalla sinistra “Wow,
miele!” leccò la goccia. Un’altra goccia le cadde sulla spalla destra, leccò
anche quella. Si appisolò e al suo risveglio vide del fumo fuoriuscire
da una capanna. Si avvicinò e fu accolta molto calorosamente dalla
stessa anziana donna che aveva vissuto con Katiwa per molti giorni. Le
fu data una grossa coda di agnello su cui sedersi. Non appena si sedette
cominciò a raccogliere e mangiare la coda del grasso montone fino
ad appiattirla e assottigliarla. Le fu dato del miglio per rimuoverne la
pula. Batté, ma la pula non venne via. Fu sufficiente all’anziana donna
battere solo una volta per rimuovere tutta la pula. Mangiarono e dormirono.
Kaala non sentì il bisogno di proseguire la sua ricerca né di ritornare
a casa. Visse lì a lungo fino a quando un giorno l’anziana donna
le chiese se desiderasse ritornare a casa. Era contenta e acconsentì
soltanto se le avesse indicato la strada. Quando i due bidoni furono rimossi
si ricordò dell’episodio raccontato da Katiwa. “Katiwa deve aver
scelto quello liscio e oleoso” immaginò. Scelse il bidone oleoso, vi entrò
e chiuse gli occhi come suggerì l’anziana signora.
Al suo risveglio si ritrovò sul soffitto della casa di suo padre. Katiwa
stava accendendo il fuoco quando sentì alcune gocce spegnerlo. Gridò
alla sua matrigna: “Qualcosa sta urinando sul fuoco”. La matrigna corse
in casa esaltata fingendo di lamentarsi. Sapeva che doveva trattarsi
di sua figlia Kaala. “Cosa c’è? Non c’è niente qui”. Si chinò per accendere
il fuoco, ma si spense di nuovo. Chiamò il padre di Katiwa. “E’ vero,
qualcosa sta spegnendo il fuoco”. L’anziano uomo entrò in casa e chiese
a chiunque fosse sul soffitto di identificarsi. Prese il suo arco e le frecce
e minacciò di colpire qualunque cosa o chiunque fosse sul soffitto.
Kaala si identificò gridando. Chiese al padre di oliare della pelle e di
posizionarla in direzione dell’apertura del soffitto. “Perché oliare della
pelle? Deve essere molto più bella della sciocca orfana Katiwa” immaginava
la madre di Kaala in preda all’esaltazione. Quando tutto fu pronto
Kaala aprì il soffitto pronta a scendere. Che orrore! Sua madre svenne,
mentre suo padre spalancò la bocca incredulo. La sua sorellastra era
in stato di shock. Il corpo di Kaala era interamente avvolto da strisce di
pelle secche e consunte. Produceva un suono terribile man mano che
scendeva: “lo-ko-ko-ko-ko”. Era come se le strisce si rompessero in mille
pezzi. Alla fine si sistemò sul tappeto di pelle oleato. Nonostante una
tale spregevole visione, suo padre, dopo essersi composto, sgozzò la capra
per la festa di benvenuto.
Il ritorno di Kaala fu un altro terribile momento per Katiwa. La sua matrigna,
la sua sorellastra e in modo evidente suo padre le manifestarono
odio. La maltrattavano e la picchiavano minacciandola di privarla di
tutti i suoi bellissimi gioielli. La sua matrigna la accusò di stregoneria.
Non c’era giorno senza litigi, non c’era più pace nella casa di suo padre.
Fu costretta ad andar via, ma non sapeva dove andare. Indossò
tutti i suoi averi e si recò nella boscaglia. Mentre girovagava, incontrò
dei cacciatori che scuoiavano i loro animali. Ogni qualvolta li incontrava
chiedeva loro della pelle appena rimossa per coprirsi. Così
fece per nascondere i suoi bellissimi gioielli affinché nessuno potesse
ammirarla o derubarla.
Mentre girovagava, incontrò dei giovani uomini che conducevano i loro
animali al pascolo. Nel vederla tutti scapparono via tranne uno. Sembrava
un fantasma con quei pezzi di pelle umida. Il giovane che era rimasto
in disparte si chiamava Ngumbau o il coraggioso. Andò incontro
a Katiwa che per lui era una persona normale. Vide in lei una futura moglie
e le propose di sposarla immediatamente. Lei acconsentì e trascorsero
il resto della giornata insieme. Il resto dei mandriani separò i propri
animali da Ngumbau sostenendo che non potevano farli pascolare
insieme ad un fantasma. Al calar della sera Ngumbau riconduceva gli
animali a casa dove lo aspettava sua madre come sempre. Era molto contento
e non vedeva l’ora di presentare sua moglie a sua madre. “Di che
diavolo stai parlando? Quel fantasma spettrale, una moglie! Sei fuori di
senno?”, rispose sua madre con disgusto. “Non potrei condividere una
casa, nemmeno una cucina con un fantasma. Fuori da casa mia!”, gridò.
Ngumbau, per nulla turbato dal rifiuto che sua madre aveva manifestato
per sua figlia, non si arrese e sistemò la cucina accanto alla sua
casa. L’amicizia con sua madre era finita.
Sin da allora, tutti i giorni, Ngumbau e Katiwa si presero cura degli animali
insieme. Mentre li portavano al pascolo, si recavano a turno nel
fiume per lavarsi. Per tutto quel tempo Katiwa non aveva mostrato i suoi
bei gioielli a Ngumbau. Si toglieva le strisce di pelle, poi gli abiti, si lavava
e poi si rivestiva riacquistando il suo aspetto spettrale. Tuttavia,
Ngumbau aveva la sensazione che sua moglie gli stesse nascondendo
qualcosa. Un giorno, giunto il turno di Katiwa di lavarsi al fiume, decise
di spiarla. Tolse le strisce di pelle mostrando scintillanti gioielli d’oro,
d’argento e diamanti. Ngumbau ansimò, non riusciva a credere a quello
che stava vedendo. Katiwa finì di lavarsi, rimise i suoi abiti e i suoi
gioielli. Non appena prese le strisce di pelle, Ngumbau urlò correndo
verso il fiume dove Katiwa giaceva spaventata. “Perché mi hai nascosto
tutte queste bellezze? Perché non mi hai mai detto nulla?”. Ngumbau
non sapeva quali domande porre e che cosa dire. “Te lo avrei detto,
ma temevo che gli altri mandriani potessero derubarci”, spiegò Katiwa.
Giunse la sera e i due ricondussero gli animali a casa. Ngumbau
aveva riacquistato le sue forze. Sua madre fu molto felice nel vedere il
nuovo aspetto di Katiwa. Pensò che Ngumbau avesse cambiato Katiwa
e trovato una nuova moglie. Tuttavia, Ngumbau le spiegò che cosa era
accaduto. Soddisfatta e molto dispiaciuta per aver disonorato sua figlia
acconsentì di vivere con loro. Katiwa e Ngumbau continuarono ad andare
nella boscaglia insieme.
Dopo un pò di tempo, Katiwa rimase incinta. Un giorno mentre era nella
boscaglia diede alla luce un bambino. Lo lavarono, gli diedero da mangiare
e giunta la sera non vollero portarlo a casa. Sua madre avrebbe
chiesto a Katiwa di restare a casa con il bambino mentre Ngumbau avrebbe
condotto gli animali al pascolo da solo. Misero il bambino in un alveare
vuoto. Al ritorno mantennero il segreto e non dissero alla mamma
che aveva avuto un nipote. Da quel momento in poi uscirono con
gli animali prima del solito. Raggiunto l’albero dove stava l’alveare, Katiwa
cantava ad alta voce: “Syana ii sya maithyaniii, singilya mbwii usin-
gilye siamba usingilye ngao”, “voi piccoli del gregge, fate risuonare i
pianti, le catene, gli scudi”. Il bambino gridava “Ah, Ah, Ahaa”. Lo toglievano
dall’alveare e Katiwa lo allattava di tanto in tanto mentre
Ngumbau si prendeva cura degli animali.
Tuttavia, la madre di Ngumbau aveva notato molti cambiamenti nel
corpo e nel comportamento di Katiwa. Sospettava già che sua nuora
stesse allattando. Decise di indagare e trovò la soluzione da sola senza
chiedere.
Una mattina Ngumbau e Katiwa si recarono nella boscaglia come sempre.
La loro mamma li seguì a distanza, in incognito. Questa volta era
lei la spia. Voleva sapere a tutti i costi che cosa facevano i suoi figli oltre
al prendersi cura degli animali. Raggiunta la zona dove spesso portavano
gli animali al pascolo e dopo che gli animali si erano sparpagliati
per mangiare, si posizionò strategicamente in un punto dove poteva vedere
tutto quello che facevano. Poi giunse il momento tanto atteso. Katiwa
si fermò sotto l’albero dove si trovava l’alveare e cantò: “Syana ii
sya maithyaniii, singilya mbwii usingilye siamba usingilye ngao”, “voi
piccoli del gregge, fate risuonare i pianti, le catene, gli scudi”. Il bambino
gridò “Ah, Ah, Ahaa”. La madre vide tutto questo. Era felice, incredula,
in preda allo shock e al rancore. Perché i suoi figli le avevano
nascosto suo nipote? Si poneva ad alta voce molte domande senza risposta.
Attese pazientemente che Katiwa finisse di allattare il bimbo,
raggiungesse suo marito e si prendesse cura degli animali. Non appena
gli animali si allontanarono in modo da non poter sentire o vedere dove
tenevano il bambino, la nonna, tutta felice, si diresse lentamente e
furtivamente verso l’albero. Cantò nello stesso modo in cui aveva sentito
cantare sua nuora: “Syana ii sya maithyaniii, singilya mbwii usingilye
siamba usingilye ngao”, “voi piccoli del gregge fate risuonare i
pianti, le catene, gli scudi”. Il bambino gridò “Ah, Ah, Ahaa”. Aprì rapidamente
l’alveare, prese il bambino e lo portò a casa ansimando. Fu
il giorno più bello della sua vita. Aveva atteso a lungo il giorno in cui
l’avrebbero chiamata nonna. Giunta a casa, fece mangiare il bambino e
lo nascose nella sua camera da letto. Conoscendo le abitudini dei bambini
il mattino seguente gli diede da mangiare di nuovo non appena i
suoi figli si erano allontanati con il bestiame.
Giunto mezzogiorno, Katiwa si recò presso l’alveare e cantò: “Syana ii
sya maithyaniii, singilya mbwii usingilye siamba usingilye ngao”, “voi
piccoli del gregge fate risuonare i pianti, le catene, gli scudi”. Nessuna
risposta. Cantò di nuovo, ma invano. Chiamò suo marito che cantò senza
alcun esito. Si arrampicò sull’albero e scoprì che l’alveare era vuoto.
Cominciarono a gridare e cantare in tutta la zona, ma non sentirono nessun
vagito. Giunse la sera e ricondussero gli animali a casa. I loro occhi
erano rossi e gonfi dal pianto. Non potevano dire alla loro mamma
preoccupata ciò che era successo. Ogni giorno si recavano nella boscaglia
e cercavano il bambino dappertutto. Nel frattempo, la loro mamma
si prendeva cura felicemente del suo bel nipote. Smisero le ricerche, ma
continuarono a portare gli animali al pascolo insieme.
Una sera, mentre Katiwa stava preparando la cena, pensò ai giorni in
cui aveva il bambino. Si ricordò di quando cantava e di come il bambino
rispondeva piangendo. Si ritrovò a cantare la canzone ad alta voce:
“Syana ii sya maithyaniii, singilya mbwii usingilye siamba usingilye ngao”,
“voi piccoli del gregge, fate risuonare i pianti, le catene, gli scudi”. All’improvviso
sentì un forte e familiare vagito di un bambino provenire
dalla camera da letto della mamma. “Ah, Ah., Ahaha”. Tutti sentirono
il bambino piangere. Katiwa e suo marito Ngumbau corsero verso la porta
della camera da letto della mamma. “Vergogna! Vergogna! Perché state
andando nella camera da letto di vostra madre?”. La loro mamma stava
gridando ma nessuno sentiva i suoi urli nella frenesia di raggiungere
il bambino. “Mamma, perché lo hai fatto?”, Ngumbau era ipnotizzato.
Katiwa non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo bambino, non aveva
la forza di fare domande. Aveva perso suo figlio e lo aveva ritrovato.
La madre di Ngumbau spiegò come aveva sospettato dei loro piccoli
sotterfugi, li aveva seguiti, aveva preso e nascosto il bambino e perché
lo aveva fatto. Li rimproverò di averle nascosto la verità sin dal primo
momento. Si perdonarono l’un l’altro e la dolce Katiwa si prese cura di
suo figlio. Lei e Ngumbau vissero felici per sempre.