La storia di noi due…_Nadia D’Angelo, Solofra(AV)
_Menzione Giuria quattordicesima edizione Premio Energheia 2008.
La storia che sto per raccontarti forse sarà successa anche a te e potrai di certo capirmi… Una storia d’amore che mi ha distrutto, che mi ha tolto la voglia di vivere e di continuare ad andare avanti. Alex aveva un sogno, un desiderio che si stava avverando e se quel giorno avessi potuto immaginare cosa sarebbe successo, avrei tentato in mille modi di fermarlo…
Ma vi racconto tutto dall’inizio…
Avevo 17 anni e mi trovavo ad aver esaudito tutti i miei piccoli sogni e non mi restava altro che sperare in quelli che erano troppo grandi per quell’età che purtroppo, ma anche fortunatamente, avevo. Credevo nell’amore e avevo già provato sulla mia pelle, troppe volte, quel sentimento che mi aveva rotto il cuore in mille pezzi e che pian piano ricostruivo come un puzzle. Nella mia scuola non c’era nessuno che cogliesse particolarmente la mia attenzione, ma soprattutto vedevo quei ragazzi troppo lontani da quello che io immaginavo come mio “principe azzurro”. Ma proprio quando non ci credevo più, vidi passare un ragazzo accanto a me… Stupendo, anzi no, era troppo perfetto per essere vero, ma come tutte le cose perfette, a volte, non sono destinate a continuare… I nostri sguardi si incrociarono e vidi quegli occhi azzurri come il mare scrutare i miei, come se mi conoscesse da una vita. Solo poche volte lo rividi in giro per la scuola e pochissime persone, che tra l’altro non conoscevo, sapevano qualcosa di quel ragazzo che con un solo sguardo aveva acceso qualcosa di strano in me… Le pagelle erano già state consegnate e quell’anno avevo preso tre in matematica, proprio non mi entravano in testa tutti quei numeri e teorie di studiosi e matematici che avevano deciso di rendermi la vita impossibile. Il corso di recupero sarebbe iniziato proprio quella settimana e proprio il giovedì, l’unico giorno libero tra la danza e la palestra che mi occupavano parte della settimana… Ricordo quando sono entrata in quell’aula appena lasciata da piccoli geni che, al mio contrario, erano riusciti a capire le dure leggi della matematica… Ero proprio al primo banco, quello più vicino alla lavagna, ma naturalmente accanto alla finestra, quando lui entrò, il ragazzo misterioso, che era già al centro dei miei pensieri e non sapeva nemmeno di esserci. Iniziò a fare lo slalom tra zaini e sedie sparsi ovunque ed arrivò accanto a me guardandomi di nuovo con quegli occhi così belli e penetranti e mi chiese:«Scusa è libero?» presi il mio zaino dalla sedia accanto a me e sorridendo dissi: «Si, prego…». Ancora non sapevo che se non avessi fatto quella scelta adesso non starei qui alla mia scrivania con carta e penna a raccontare di noi, di quella coppia così diversa, ma allo stesso tempo uguale… Le ore in quell’aula sembravano non passare mai, mi sforzavo per capire tutte quelle incognite scritte alla lavagna, ma in fondo pensavo soltanto ad Alex e alla sua forza di volontà nel capire e apprendere tutte quelle regole. Grazie alle sue spiegazioni la matematica sembrava semplice e utile, ma perdevo subito la concentrazione appena i suoi occhi si soffermavano sui miei; passò un mese e il corso, purtroppo, finì. Eravamo tutti seduti ascoltando le ultime parole che la prof doveva dirci sull’ellisse e lessi uno strano numero…
Quello, riuscivo a riconoscerlo, era un numero di cellulare e stravolta mi girai verso di lui che, sorridendomi, avvicinava quel pezzo di carta alla mia mano ancora fredda e tremante per l’emozione. A mia volta strappai un pezzo dal mio block notes e annotai: “Hai da fare dopo??? Ho bisogno di urgenti lezioni di matematica per il compito in classe”. L’unica cosa che riuscì a notare fu un occhiolino veloce per scappare alle grinfie della perfida professoressa e dei suoi perfidi seguaci, a noi noti come “incognite x e y”. L’appuntamento fu uno dei migliori della mia vita, mi portò con la sua moto su una collinetta, dove c’erano dei tavolini da pic-nic e dove il sole ci stava lentamente lasciando per dare la luce a giovani coppie dell’altro polo della Terra. Erano le sette e non avevo più voglia di studiare, anche se la luce soffusa dei lampioni e il colore rossastro che il sole aveva regalato al cielo mi invogliava a restare lì per ore; faceva freddo e iniziai a tremare come una bambina. Allora Alex si alzò, andò alla moto, prese la sua giacca e me la diede… Era enorme per me e vidi tremare un po’ anche lui, per quel fresco vento primaverile che soffiava su di noi, mi avvicinai a lui e misi la giacca sulle nostre spalle, lui mi abbracciò per stare più vicini, il mio cuore batteva a mille così si avvicinò alle mie labbra dandomi un bacio dolce, caldo, lento, di un sapore che mille altri non avevano e che solo lui possedeva. I giorni trascorrevano felici e pian piano riuscimmo a prenderci il diploma e decidemmo di vivere una vita felice insieme per sempre; ormai pensavamo solo ad accumulare, con i nostri miseri salari, una buona somma di denaro per comprarci una piccola casa e per poterci finalmente sposare. Avevo appena compiuto 21 anni e lui trovò lavoro in un cantiere come muratore, la paga non era il massimo, ma con il mio lavoro da commessa in un negozio d’abbigliamento, riuscivamo a racimolare un paio di euro in più da accumulare tutti insieme.
Quel maledetto giorno, mi alzai dal letto con un groppo alla gola, non sapevo cosa fosse, ma sapevo che di sicuro qualcosa sarebbe successo; solo il giorno prima ci aveva chiamato l’impiegato della banca riferendoci che avevamo raggiunto la somma che ci eravamo prefissati per l’acquisto di una nuova casa in centro… Proprio quel pomeriggio saremo andati a visitare la nostra nuova dimora e a iniziare i preparativi per vivere in una casa tutta nostra; come al solito avevo preparato il caffè ma Alex già era andato al cantiere dimenticandosi, come sempre, il pranzo sul tavolo della cucina…
Che sbadato!!! Anche quel giorno sarei dovuta scendere con la macchina e lasciarglielo sotto i commenti dei suoi colleghi di lavoro che simpatizzavano sulle mie premure da “mogliettina”. Guardai l’orologio, presi le chiavi della macchina e corsi su quella strada percorsa troppe volte, il groppo alla gola ancora non mi abbandonava e sentivo una terribile sensazione d’ansia che mi uccideva… Arrivai al cantiere, scesi dalla macchina e vidi tutti gli operai accerchiarsi, chi gridava, chi chiamava il datore di lavoro, non sapevo cosa fosse successo, non sapevo cosa mi stesse aspettando dietro quel gruppo di persone… Invano lo cercai tra la massa di operai che si stava radunando, quando all’improvviso dietro di me arrivò d’urgenza un’autoambulanza; solo allora vidi Alex… _____Il pranzo cadde a terra, i miei occhi si velarono di amare lacrime mentre l’istinto mi spingeva a correre verso il corpo di quell’uomo che conoscevo da una vita; un uomo mi blocco e mi portò accanto a quel veicolo, mentre io non sapevo nulla di cosa fosse successo… L’uomo che mi bloccò aveva enormi braccia, Alex diceva che era il suo collega, sentì solo che diceva ad un infermiere: «È la sua ragazza, la porto io in ospedale…». Volevo solo capire cosa fosse successo, perché tutti mi guardavano con quello sguardo di pietà, perché nessuno mi diceva cosa stesse succedendo… Mi ritrovai nella macchina di quell’uomo e solo quando arrivai in ospedale trovai i miei suoceri intorno a un dottore che si stringevano facendosi forza, sentivo il pianto della madre che echeggiava tra quelle mura troppo piccole… Pochi istanti dopo il mondo mi crollò addosso, la madre mi vide, mi abbracciò e disperandosi disse:<<È MORTO…»… In un istante esplosi in lacrime, la madre addolorata reggeva il mio esile corpo e pian piano mi spiegò che Alex era caduto dall’impalcatura, che non c’era stato nulla da fare, secondo i medici si trattava di un’emorragia interna, che era morto senza soffrire… Il mio Alex, i nostri sogni felici… In un istante ricordai la sera del giorno prima, sorridendo mi diede un bacio come solo lui sapeva fare, e lentamente mi sussurrò “buonanotte dolce stellina, sei e sarai per sempre nel mio cielo…”.
Quelle parole erano come una lama rovente che tagliavano in mille pezzi quel povero cuore ormai perfettamente incollato dall’amore che nutrivo per lui… Lo rividi, disteso su un lettino bianco, tra le mura di un obitorio, dove le lacrime scendevano vedendo le salme sorridenti per aver raggiunto il loro dolce finale, Alex aveva un espressione felice, rilassata…
Sembrava la stessa espressione che aveva tutte le sere, quando stendendosi sul letto si lasciava massaggiare dolcemente dalle mie mani, la stessa espressione che aveva quando mi ascoltava mentre gli raccontavo tutta la mia giornata, era più bello del solito e non riusciva a rendersi conto del male che mi stava facendo avendomi lasciata lì, sola con il mondo, un mondo che purtroppo odiavo. La madre ripeteva che Dio l’avrebbe accolto tra le sue mani, Dio… Quel Dio che me l’aveva strappato per sempre, quel Dio che si era ripreso il suo angelo più bello per riaverlo accanto a sé… Intanto i suoi colleghi venivano a porgere il loro ultimo saluto a quel ragazzo, così giovane, così inesperto della vita… I fiori degli amici, le frasi consolatorie di quelle persone che stavano sempre con noi e il sostegno di quelle amiche di sempre; quella sera fu la più drammatica, tutto intorno a me parlava di lui, il letto, la cucina, il salotto, il divano, dove la sera guardavamo la tv abbracciati… Quella sera non riuscì a dormire, mia madre dormì con me prendendo il suo posto nel letto, tentando di fare la stessa compagnia che solo lui, e unicamente lui, riusciva a fare… L’indomani presi il suo vestito, quello che avrebbe dovuto indossare al nostro matrimonio, non l’aveva mai indossato davanti a me, per non rovinarmi la sorpresa, e vederlo adesso in una bara, disteso, aveva turbato profondamente il mio animo già distrutto…
Non avevo più parole, il mio sguardo era perso, il mio sorriso non esisteva più, l’allegria di quei giorni felici sembrava non esserci mai stata. Era andato per sempre via da me, dai nostri progetti, dalle nostre idee, le lacrime scendevano da sole e mentre il prete su l’altare esprimeva il suo dispiacere per un’altra morte ingiusta sul lavoro, io immaginavo che quel prete stesse proclamando il sacro giuramento del nostro matrimonio…
Mi alzai da quella panca e guardai il prete, il portale, poi la bara… Lui non c’era ad aspettarmi, lui era già andato via, il destino me l’aveva rubato per sempre… Sua madre mi prese, per il braccio e mi fece risedere, tremando e piangendo come non avevo mai visto fare prima d’ora: la cerimonia finì, il corteo di amici ci accompagnò fino a quella cappella di famiglia dove sarebbe rimasto per sempre… Lì mi resi conto di averlo perso davvero, che non sarebbe stato più accanto a me nei momenti difficili e né nei momenti felici, guardando quel loculo capì che non aveva senso continuare a vivere senza lui, che amare un altro sarebbe stato impossibile…
Le notti sembravano terribilmente lunghe e buie, ritornai a casa dei miei nel mio letto da diciassettenne, ritornai sola dopo tanto tempo, con mille foto di Alex attaccate alla parete… Mia madre diceva che non l’avrei dimenticato mai, e ogni giorno mi recavo a quella cappella, ogni giorno portavo una rosa al mio amore, ogni giorno piangevo per quel sentimento che non avevo più… Una notte, stranamente, riuscii a dormire senza difficoltà; lo sognai… Eravamo di nuovo al nostro primo appuntamento lì, mi teneva abbracciata più che mai, stavolta non avevamo 17 anni ma 21, e vedevo il suo viso ridere come se nulla fosse successo, all’improvviso lui disse:«Scusa se ti ho fatto soffrire, scusa se ti ho rovinato la vita, tu meriti felicità amore mio, ma voglio che prima di dimenticarmi per sempre, tu scriva di noi, della nostra storia, è l’unica richiesta che ti faccio, voglio che tutti sappiano quanto ti amo e quanto soffri per me.. Io sarò sempre accanto a te, nella gioia, nel dolore, ti aspetterò qui finché tu non arriverai, potrai innamorarti di nuovo, sappi che presto avrai una dolce sorpresa che ti ridarà la forza di riacquistare quel bel sorriso che mi ha fatto innamorare di te…». Pronunciò le ultime parole, mi rubò un bacio e scomparve… Mi svegliai nel cuore della notte con le lacrime agli occhi, corsi da mia madre e le raccontai il mio sogno, pianse con me e mi esortò a scrivere di noi, dovevo esprimere il suo desiderio, quel desiderio che mi aveva espresso in sogno, come il suo ultimo addio… Dio quella notte era stato buono e ci aveva fatto incontrare dietro un sogno, ma mi bastava, mi bastava aver sfiorato di nuovo la sua pelle e aver sentito di nuovo la sua voce per essere meno triste… La notte ripassò lentamente, sentendomi sempre più male; al mattino, passai a porgere un’altra rosa accanto alla sua foto, c’era anche sua madre, mi guardò, e disse che doveva parlarmi… In quei giorni non si era più fatta sentire perché tra la roba di Alex aveva trovato una lettera per me… Era stata scritta due giorni prima dell’incidente e lei non aveva fatto a meno di continuare a leggere quelle poche righe; Alex voleva un bambino, Alex desiderava una famiglia felice e mi aveva fatto un regalo… Mentre mi disse quelle parole, caddi a terra priva di sensi… Mi risvegliai in ospedale con mia madre e mia suocera; una dottoressa mi visitò e con un sorriso sulle labbra disse:«Congratulazioni, tra otto mesi avrai un meraviglioso bambino». Iniziai a piangere, mia suocera raccontò tutto alla dottoressa che si scusò e mi rassicurò consigliandomi di tenere il bambino come unico ricordo del mio amato… A casa tutti festeggiarono per la notizia, tranne la persona che speravo fosse con me in quel momento… Qualsiasi sarebbe stato il suo sesso si sarebbe chiamato come il padre, come unico ricordo indelebile nella mia memoria. E proprio quando la stessa dottoressa mi disse che sarebbe stato un bambino, iniziai a scrivere, di noi, del nostro amore e delle nostre vite, e lentamente le lacrime scendevano giù, tra una parola e l’altra, mentre Alex scalciava nella mia pancia per uscire e vivere un mondo che purtroppo sarà senza suo padre.
Un po’ mi dispiace di aver finito di raccontare di noi, spero solo che da lassù il suo desiderio si sia avverato, che adesso mi aspetti felice in cielo finché non riesca ad essere come lui un angelo e a vegliare su quelle persone che tanto amiamo in vita e che tanto ameremo anche dopo la morte, perché l’amore vero vince anche una distanza forte come quella.