Lacrime di vetro, Fabiola Lucia_Cosenza
_Racconto finalista ventitreesima edizione Premio Enerrgheia_2017
Mi rendo conto solo ora di quanto sia triste vedere qualcuno in lacrime, vederlo e non poter fare nulla. Sentirsi impotenti e incapaci di mettere le cose a posto. Non aveva mai pianto dinanzi a me, adesso mi rendo conto che sotto quella forte corazza di chi sembra non mollare mai, si cela una fragile fanciulla che soffre più di tutti. Io non sono mai stata come lei…
Da quando nostra madre se n’è andata, è stata la mia guida, il mio porto sicuro, e adesso la vedo crollare dinanzi a me, vedo la sua corazza di cristallo frammentarsi in tante piccole schegge taglienti. Quella sera in auto, eravamo insieme ad un’amica, stavamo tornando a casa e fuori c’era tanta neve; era lei alla guida dell’auto, quando di questa perse il controllo, trascinandoci contro un albero. Subito dopo esserci schiantate, eravamo spaventate, lievemente ferite, ma ci sembrava tutto a posto…
Era tutto a posto, finchè, non vedemmo quel ramo penetrato nel petto. L’ambulanza arrivò svelta, ci portò tutte lì in Pronto Soccorso e, definite “codice d’emergenza”, ci condussero di corsa in un’ampia sala bianca. Quella notte fu lunga, ci fecero pernottare lì, insieme. Un paio d’ossa rotte, qualche graffio, niente di grave. Ma quel ramo… quel ramo era stato il vero, rovinoso pugnale che, come un dito nella sabbia, aveva trafitto un cuore. “Un’operazione delicata”, era così che avevano definito quell’intervento che avrebbe determinato il destino di una fanciulla. Una vita sorretta da un filo. Ma lei era forte, lo era per tutte. Diceva che tutto sarebbe andato per il meglio e che, a distanza di poco saremmo andate a riparare l’auto per andare a sciare. La mattina seguente quel lettino fu riportato in sala operatoria presto, era appena sorto il sole, ma eravamo tutte svegli; durante la notte nessuna delle tre aveva chiuso occhio, il cielo era limpido, si contavano le stelle; così sotto lo sguardo attento di quelle silenti spettatrici notturne, attendemmo l’arrivo del giorno.
Circa sette ore dopo le porte si aprirono e da quella sala ne uscì una barella, che fu subito ricondotta in camera. Ci vollero delle ore prima che quegli occhi neri potessero scorgere gli sguardi di coloro che attendevano speranzosi il responso, ma quegli occhi non restarono aperti a lungo, il netto suono causato dalla macchina, che affinacava quella vita sopsesa decretò un decesso. Lacrime. Singhiozzi. Urla.
Era questo che echeggiava in quella stanza. Pianse così tanto, sprofondò. Tenne fisso lo sguardo su quella linea dritta che mostrava lo schermo per tutto il tempo possibile, sperando che ricominciasse ad altalenare su e giù. Dietro di lei lacrime silenziose. Sensi di colpa continuavano a ossessionarla, come se la colpa fosse sua, come se quella sera, fosse stata una sua scelta sbandare. Da bambina l’avevo vista in pensiero per tante cose; e anche quando la mamma è morta, ho visto scendere su quel volto solo una lacrima. Vederla soffrire mi rendeva e mi rende triste tuttora. Quella stanza è stata sgomberata, le lenzuola intrise di lacrime e sangue cambiate, e quel corpo inerme portato laddove nessuno osa proferir parola, ove chi manca di respiro, giace in silenzio. A tarda sera, tornate a casa, ella, gettandosi sul freddo lettino della sua camera, continuò a versare lacrime amare e tristi. La porta socchiusa, e io poggiata con la tempia alla parete la osservo silenziosa.
Vorrei piangere, ma non ci riesco, mi sento crudele, causa delle sue sofferenze… Ora mi sento in colpa, per non aver lottato proprio come lei mi aveva supplicato di fare. Ora vorrei tanto poterla stringere fra le mie braccia, proprio come lei faceva ogni volta che le lacrime solcavano il mio volto, facendomi sentire a casa, protetta da qualsiasi cosa, ma non posso…
Vorrei tanto farmi vedere, per poterle dire che non è stata colpa sua, che tutto quello che è successo è stato solo un brutto sogno e che da domani riprenderemo a ridere, a litigare e a lottare con i cuscini per l’ultima fetta di torta; ma so che tutto questo non è un incubo…
Quei suoi grandi occhi verdi, lucidi e arrossati guardano verso di me, ma non scorgono la mia figura; io, come dietro una lastra di vetro, continua a fissarla. Vorrei tanto potermi sedere accanto a lei, anche solo per darle un’ultima carezza, quell’ultima che non le ho mai potuto restituire. È da quella sua ultima carezza che il mio cuore si è spento…
Ho visto le sue lacrime bagnare le mie mani, che ha continuato a stringere imperterrita, finchè gli infermieri non l’hanno allontanta. Oggi pomeriggio tante persone sono venute a dirmi addio, non credevo che mollando tutto avrei fatto soffrire così tante persone, ho visto tante lacrime, tanti singhiozzi…
Sento qualcosa trapassarmi, come se fossi nulla, come se non ci fossi; la presente figura è di nostro padre, che, dopo l’accaduto è tornato in città; in altre circostanze, in questo momento saremmo corse insieme urlando di felicità ad abbracciarlo, ma stavolta qualcosa è diverso…
Anche lui ha il viso rigato di lacrime e, sedendosi accanto a lei, l’abbraccia in silenzio. Scosta quei sottili fili d’ebano che le coprono il volto e continua a fissarla in silenzio con uno sguardo devastato, ma al contempo compassionevole, sussurrandole parole che non riesco a percepire. Sollevandosi in piedi, ripercorre la camera e si sofferma su una parete costellata di scatti che ci raffigurano insieme, felici…
Ancora lacrime. Esce dalla stanza in silenzio, quasi a voler fuggire da quei ricordi, lasciandola ancora una volta da sola. Mi avvicino e inginocchiandomi affianco a lei, tento di stringerle la mano, ma questa mi sfugge e allora rammento tristemente di non essere più partecipe di questo gioco chiamato vita. Le lascio un ultimo invisibile bacio sulla fronte, e lei, quasi sentendomi, solleva la testa rivolgendo quegli occhi devastati verso di me.
Mi allontano lentamente e, varcando l’uscio di casa, che ho tante volte oltrepassato, scorgo la tersa figura di colei che anni fa è scomparsa, proprio come sto facendo io ora. Mi porge una mano, e io, quasi in lacrime la stringo seguendola in silenzio e, prima di scomparire, porgo un ultimo sguardo su quella casa dove per troppo poco tempo ho vissuto e scorgo la figura di lei, mia sorella, che in un sussurro pronuncia un ultima volta il mio nome. Denise…