I racconti del Premio letterario Energheia

L’attimo, Ginevra La Rosa_Noto(RG)

Finalista Premio letterario Enerrgheia 2024 – Sezione giovani

C’era una rosa davanti ai suoi occhi.

Una rosa, fragile, screziata d’azzurro, lì davanti ai suoi occhi castano chiaro, e vi era una figura non proprio familiare che la stringeva fra le mani senza alcun timore di potersi fare del male.

Quel fiore gli sembrava tanto delicato quanto l’immensità del cielo e lo fissava senza quasi riuscire a respirare: la ragazza che la tratteneva tremava dal freddo, la sua figura era fradicia della tristezza del cielo, i capelli che un tempo sarebbero dovuti essere ricci e indomiti, ipotizzò lui, ricadevano sulle sue spalle come onde bionde senza vita.

La guardò, la rosa, senza mai osare alzare gli occhi sulla figura ignota che la proteggeva, come se una forza del passato lo avesse avvertito di non farlo; di non buttarsi in questo tremendo gioco dal quale non sarebbe potuto uscirne che perdente.

“Perchè?” chiese inutilmente Lorenzo, dopo un silenzio colmo di frastornanti pensieri, e sentì un leggero sospiro uscire dalla bocca della ragazza: come se fosse un peccato che non ci arrivasse da solo.

E Lorenzo continuava a chiedersi perché, perchè spingersi a tal punto per uno come lui, uno che un genuino gesto del genere, non se l’era mai meritato; per lui, che aveva sempre rinnegato quell’unico sentimento che tutti bramano, quell’unico sentimento che potrebbe giustificare un’intera esistenza; per lui, che le donne le aveva sempre abbandonate in un angolo della strada dopo una parola troppo seria.

Ricordava bene le parole di suo padre, erano impresse in lui come marchi a fuoco, tatuaggi che mai avrebbero abbandonato la sua persona: “Non innamorarti, Lorenzo. Non farlo mai, fatti furbo in questa vita che cerca sempre di distruggerti. Non pensare che l’amore possa darti la felicità, perchè forse è l’unica cosa che te la distrugge. Prometti di ascoltare le mie parole, figlio mio.

Suo padre non era mai, mai, mai, riuscito ad accettare il fatto che sua madre non lo amasse più: Lorenzo aveva quattordici anni quando aveva trovato per la prima volta suo padre in lacrime e circondato da lattine di birra vuote ed accartocciate; vi era un odore acre, alcol mischiato a lacrime, per lui quello, per sempre l’odore della tristezza infinita, di una delusione devastante, un odore che simboleggiava una vita al limite, senza futuro.

Fu la prima di tante, tantissime, volte.

Fino alla sua morte. Quella condizione durò fino ai suoi 19 anni: suo padre a 45 anni fu colpito da un infarto che gli fu fatale.  La cosa non lo sorprese, ma trovarlo disteso per terra mentre cercava di raggiungere il telefono per chiamare aiuto, sommerso dal disordine, lo segnò per sempre.

Nonostante la giovane età, suo padre non era mai riuscito a rifarsi una vita perchè “nessuna sarebbe stata come Lei”. La sua esistenza si era conclusa nell’esatto momento in cui avevano firmato le carte del divorzio, andò in frantumi quando venne a scoprire che l’ex moglie e il nuovo compagno sarebbero convolati a nozze.

La sua vita finì qualche giorno dopo aver appreso la notizia che l’unica e sola donna della sua vita aspettava un figlio da un uomo che non era lui.

Per tali ragionevoli motivi, Lorenzo mantenne dentro di sè una sorta di diniego nei confronti dell’amore. Era famoso per essere il cattivo della situazione, quello a cui non fregava niente delle ragazze che frequentava, uno di quei ragazzi che non conosce l’amore.

E non gli è mai importato di spiegare che lui, l’amore, l’aveva sempre toccato con la pelle; lui l’amore l’aveva visto e ne è rimasto terrorizzato.

Lui, l’amore vero, ce lo aveva marchiato sulla pelle.

L’amore vero, quello terrificante.

Quell’amore crudele, unico e devastante. Quello che divora.

Quell’amore che vuole, vuole, vuole sempre di più, senza freni: un’occhiata, solo un’occhiata ancora, osservare l’orlo di un sorriso, guardare un frammento di cuore.

Quell’amore che mette radici nel cuore e stritola, stritola, stritola fino a toglierti il fiato, fino ad ucciderti.

Suo padre si era consumato atrocemente per amore. Fino ad arrivare a morire per quell’amore stesso.

“ Perché..” iniziò la ragazza davanti a lui, con un tono leggero e sommesso e tanto delicato da fargli venire un brivido, “ieri mi sembravi triste.”

Senza motivo, dopo aver ascoltato per la prima volta la voce di quella ragazza senza volto, gli vennero alla mente vecchi, vecchissimi ricordi, che ormai credeva sepolti e dimenticati.

Gli venne in mente sua madre che, una volta, poco prima che tutto si distruggesse, gli disse “Basta un attimo, amore mio. Ricordatelo. Basta davvero un solo attimo. Basta la parola giusta per cambiare. Basta uno sguardo per innamorarsi: guardi quella persona per la prima volta e capisci che è lei che stavi aspettando.

Era dalla morte di suo padre che Lorenzo aveva definitivamente chiuso i rapporti con sua madre, non la sentiva da anni nonostante le sue insistenti richieste. Era per colpa sua che suo padre si era ridotto ad essere uno scheletro, era colpa di quella donna che lui era perseguitato da incubi, che era diventato un disastro ambulante che non credeva più, non sperava più.

Era lei la ragione per la quale lui non aveva mai voluto amare e buttarsi in una vita degna d’essere chiamata tale.

La odiava, la odiava con tutta la sua essenza, odiava tutto ciò che faceva parte della sua vita, odiava sé stesso per essere stato partorito da quella donna, eppure…

Eppure la sua voce rimbombava chiara nella sua testa, il suo tono pacato riempiva tutti i suoi pensieri con quel suo “Basta un attimo, tesoro mio. Prima o poi arriverà quella persona che stai aspettando.”

Lorenzo era convinto di non star aspettando nessuno nella sua vita: eppure, alla vista di quella semplice rosa azzurra, quella convinzione era andata in frantumi, come se non fosse mai stata vera per davvero.

D’improvviso gli tornò quella sensazione perenne di inadeguatezza che lo perseguitava, quell’istinto folle che lo portava a cercare qualcuno di indecifrabile tra le folle indomite: la convinzione che la risoluzione a tutti i suoi incubi fosse la delicatezza di quella rosa bizzarra gli lampeggiò forte in testa.

“Perché a me?” Delicatamente, lei gli porse la rosa e, invece di rispondere, disse semplicemente, “guardami.”

Ascoltare quel monito fu uno sbaglio: fu come se tutto in quel momento avesse preso una nuova prospettiva, come se i traguardi raggiunti finora fossero solo una finzione, raggiunti da una persona che non era realmente lui, ma solo dalla persona che pensava di dover essere. Una maschera, un meccanismo di difesa che aveva attuato fin dalla prima volta che suo padre lo aveva avvisato, che gli aveva ricordato di come l’amore crei dentro di noi radici stritolanti che non ti lasciano respirare a dovere, che ti credi in una favola ma non ti rendi conto che da essa cola inchiostro torbido che ti macchia l’esistenza.

Era diventato quella persona che suo padre gli aveva fatto promettere di diventare nella speranza di allontanare il mondo, di allontanare le sensazioni travolgenti, gli sguardi complici: semplicemente, di allontanare l’amore.

Era diventato la versione peggiore di sé.

Lentamente, con la calma di chi sa di aver appena scoperto cos’è la vita, spostò lo sguardo dalla rosa al volto della ragazza che gliela stava porgendo.

Quando si guardarono, sentì qualcosa dentro di sé che mai, mai sarebbe tornata come prima.

Lei gli sorrise, “perchè a me non è mai importato il modo in cui pensavi di dover apparire. Ti ho sempre visto per quello che sei, Lorenzo.”

Il modo in cui le sue labbra pronunciarono il suo nome, diede un nuovo significato al mondo che lo circondava. Si chiese se fosse possibile restare folgorati da un suono: come tutto di lei affermava, fu una melodia tanto delicata da impaurirlo.

Quel familiare brivido gelido che lo inseguiva da tutta la vita lo fece tremare, ed ebbe l’impulso di chiudere la porta e ignorare, come era solito fare, qualsiasi accenno che potesse disordinare il suo equilibrio, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito.

La sua vita non sarebbe potuta tornare come prima: l’immagine dei suoi occhi chiari che scintillavano nella penombra di una cristallina determinazione, le lentiggini delicate sul suo volto, la bocca colorata di un pacato rosa, l’avrebbe perseguitato anche nei suoi più oscuri incubi.

Non sarebbe riuscito a ignorare quella nuova visione del mondo, la concreta possibilità di smettere di fingere di essere una persona che non era mai stata, di poter essere libero da quelle catene che lui stesso si era legato attorno al cuore. Si chiese se una persona del genere potesse davvero aver scelto di manifestare la propria esistenza a lui. 

Fu davvero un attimo come aveva profetizzato sua madre tanti anni addietro, lui afferrò con mani incerte la rosa e lei gli dedicò un sorriso caldo, tanto genuino da arrivare ad incresparle gli angoli degli occhi. E Lorenzo capì per la prima volta, provò quel sentimento tanto impetuoso da poter portare alla morte più pietosa ma l’allettante prospettiva di vivere e non più sopravvivere lo affogò.

Si fece da parte, e con un sospiro chiuse e riaprì gli occhi, con un nuovo sentimento a colorargli lo sguardo, “il massimo che posso offrirti, al momento, sono dei vestiti asciutti e una cioccolata calda, mi dispiace,” e il tormento che lui non fosse mai stato delicato nella sua vita lo impaurì, spaventato dalla possibilità di poter spezzare anche la ragazza davanti a lui.

Lei scosse la testa e, con un accenno di un sorriso colmo di gratitudine, gli riferì “è molto più di quello che desiderassi,” e fece un passo oltre la soglia di casa sua.

Vederla aggirarsi fra le stanze fu fatale, sentì quel marchio a fuoco, quelle urla graffianti che lo avevano perseguitato svanire come se non fossero mai realmente esistite.

Mentre preparava le bevande calde, lo schermo del suo telefono si illuminò, e vide quella notifica che, forse, da troppi anni ormai ignorava.

Prese il telefono, e dopo solo uno squillo sentì una voce, quella che faceva profumare tutti i suoi ricordi più belli, colorata da una crescente agitazione, “Lorenzo, Lorenzo, amore, è tutto a posto? Stai bene?” 

Lui sorrise alla ragazza che vestiva dei suoi abiti e che lo guardava con aria confusa, “tranquilla, è tutto a posto. Mi chiedevo se ti andasse di vederci uno di questi giorni, mamma.