Le guglie di San Noè_Matteo D’Arienzo
_Stretto tra le montagne e lontano da tutto, si annidava un tempo il paesino di San Noè, un modesto agglomerato di case popolato da una comunità straordinariamente longeva. Era come una piccola isola, se non fosse che a circondarla non era il mare ma il verde esplosivo dei pascoli e una coroncina di guglie rocciose che, illuminate dal sole, sembravano animarsi. A San Noè l’età media era elevatissima. Forse per lo stile di vita salutare o forse solo per un dono di natura, gli abitanti campavano almeno fino a 130 anni, ma non era raro che si arrivasse a sfondare il tetto dei 150.
Quel giorno, la prima ad accorgersi che qualcosa di strano stava succedendo fu la maestra Savina ritirando i temi scritti dai bambini della sua classe. Era piuttosto fiera del titolo che aveva loro assegnato e che negli ultimi 63 anni di scuola le aveva sempre riservato grandi soddisfazioni: “Come immagini la tua vita quando sarai grande?”. Non appena ebbe ritirato i quaderni per la correzione si accorse, però, con stupore stizzito, che i fogli erano completamente bianchi. Non solo quello di Geppino, l’ultimo della classe, da cui tutto sommato ci si poteva aspettare una simile inadempienza. Ma tutti, proprio tutti i bambini, compresi i più bravi, non avevano scritto neanche una parola. Subito, andando su tutte le furie, pensò a uno scherzo. O magari a una qualche forma di protesta che andava stroncata sul nascere. Fu così che, decisa a rimettere a posto i piccoli ribelli, sfoderò la sua arma più temuta: i verbi. E cominciò a interrogare a salti i malcapitati sulle forme verbali più difficili schierando verbi difettivi e irregolari con l’intenzione di non lasciare alcun dubbio su chi realmente comandasse in quella classe. Con sua sorpresa, però, i bambini rispondevano correttamente, sbagliando con regolarità solo quando chiedeva un futuro o un futuro anteriore. “Futuro del verbo percorrere!”, tuonava imperiosa dalla cattedra. E dai banchi proveniva un flebile “Percorsi!”. E ancora: “Futuro anteriore del verbo dirigere!”. “Ebbi diretto”, fu ancora la risposta. Quando anche i bambini più diligenti cominciarono a rispondere con forme passate ogni volta che veniva chiesto loro un futuro, la maestra Savina cominciò a insospettirsi. E, non senza un certo timore, le venne il dubbio che questa improvvisa amnesia fosse da mettere in relazione con i temi lasciati in bianco.
Uno stupore non dissimile attraversò gli occhietti vispi e occhialuti di Duilio, l’operoso impiegato dell’ufficio di collocamento, quando con un gesto consumato dall’abitudine e dagli incipienti reumatismi dovuti ai suoi 103 anni, alzò la veneziana del suo sportello. Vuoto. Ma sì, per quanto fosse incredibile, l’ufficio era indiscutibilmente vuoto. Eh sì, perché – è inutile dirlo – di solito traboccava di persone in fila: considerato che quasi nessuno andava in pensione prima dei 120 anni, difficilmente i giovani di San Noè trovavano lavoro prima dei 40. Ma del resto a quell’età potevano dirsi poco più che ragazzi e avevano ancora “tutta la vita davanti”, come spesso rinfacciavano loro con finta bonarietà la maggior parte degli anziani che vedevano in quella sfrontata prospettiva, a loro ormai preclusa, una legittimazione a risarcirsi trattenendo per sé posti, privilegi e incarichi.
Nei giorni seguenti, accaddero tanti altri episodi strani che misero in allarme buona parte della comunità. Don Eleuterio, il parroco, aspettò per ore sul sagrato della chiesa, contornato da un gruppetto di familiari tirati a lucido, due giovani sposi che non si presentarono al loro matrimonio. Amerigo, storico impiegato della banca, vide sfumare ben tre mutui destinati all’acquisto e alla ristrutturazione di immobili per la mancata sottoscrizione da parte dei contraenti, tutti giovani al di sotto dei trent’anni. Ed Emidio, gestore della scuola guida, vide annullare nel giro di poche ore tutte le lezioni già prenotate per il mese successivo. Ormai i segnali non potevano più essere ignorati: un torpore demotivante aveva assalito i giovani di San Noè paralizzandoli in un limbo senza speranza e rendendoli incapaci di pensare al futuro. D’urgenza il sindaco Gavino, un individuo grassoccio giunto al suo nono mandato, convocò il consiglio comunale per affrontare la questione. E il consiglio cominciò a discutere e a litigare per giorni e giorni in cerca di un accordo. Finché i giorni non diventarono mesi. E i mesi anni.
Così il paese invecchiò, e invecchiò ancora. E non solo d’età. Mancava nell’aria la gioia di andare incontro alla vita. Tutto galleggiava sospeso in un presente asfittico e remoto. Alcuni abbandonarono quel villaggio in cui non era più bello vivere, altri si rinchiusero in casa aspettando tra gli scricchiolii della sedia a dondolo che la mattina diventasse sera e che la sera diventasse mattina. Il verde sfrontato dei pascoli pian piano si spense. E anche quella coroncina di guglie, che circondava il villaggio, sembrò appassire, come un mazzo di tulipani a fine stagione.